Le aziende sembrano sempre più consapevoli che, in un panorama di digital disruption, il contributo proveniente dalle tradizionali fonti di innovazione è insufficiente. Puntano allora ad un concetto di innovazione più aperta, un’open innovation con particolare interesse per le startup, come evidenzia la ricerca 2016 “Innovazione Digitale per le Imprese nel 2017” degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence del Politecnico di Milano che si basa su una survey rivolta a 205 Cio e Chief Innovation Officer di aziende italiane e Pubbliche Amministrazioni.
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Imprese: cultura e organizzazione per un’open innovation efficace |
“Le imprese ricercano modelli più agili e una cultura più aperta e sperimentale per affrontare le iniziative più innovative e per contrastare i fenomeni della digital disruption – ha spiegato Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell'Osservatorio Startup Intelligence, in occasione del recente convegno Open Digital Innovation: imprese e startup insieme per ridisegnare il futuro. – Startup, centri di ricerca, università e clienti le fonti di innovazioni a cui i manager guardano con maggiore attenzione per il futuro. [ndr: sono infatti quelle che manifestano in maggior incremento nei prossimi tre anni, vedi figura 1]. Ciononostante, la strada è ancora lunga e non sono molte le imprese che hanno intrapreso azioni concrete e non estemporanee di Open Innovation”.
Le startup possono rappresentare per le imprese non solo fornitori di tecnologia a basso costo ma soprattutto un modello a cui ispirarsi per riorganizzare i processi interni di innovazione, rendendoli più aperti, veloci e partecipativi.
Nonostante le dimensioni, in valore assoluto ancora ridotte, l’ecosistema delle startup hi-tech nazionale sta assumendo crescente visibilità e credibilità. Aumentano infatti i finanziamenti da parte di istituzioni finanziarie e di singoli investitori e quelli diretti da parte di grandi imprese, mentre si manifesta un crescente interesse degli investitori stranieri. Passando alle cifre, gli investimenti in capital Equity di startup in Italia, stimati nel 2016, hanno raggiunto i 182 milioni di euro (+24% rispetto al valore totale consolidato del 2015), con un incremento sia da parte degli investitori formali (come banche e società finanziarie) sia informali (privati come i business angel). A questi andrebbero sommati investimenti provenienti da attori internazionali, stimati dall’Osservatorio in 35 milioni per il 2016 (figura 2).
L’ecosistema delle startup vale come un’impresa grande…
Come ha evidenziato l’Osservatorio Startup Hi-tech promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con Italia Startup, le startup hi-tech nel loro complesso hanno fatturato 247 milioni di euro nel 2015 (+ 34% rispetto al 2014), con 2.420 fra dipendenti e collaboratori (+ 55% sul 2014). Si può dunque dire che l’insieme delle startup hi-tech italiane valga quanto una grande azienda in forte crescita. Aumentano anche le startup con finanziamenti e fatturato superiori al milione di euro: erano rispettivamente 45 nel 2016 contro le 36 del 2015 e 67 nel 2015 contro le 51 del 2014.
Analizzando i settori di appartenenza delle 90 le startup che nel 2015 hanno ricevuto finanziamenti da attori formali, la stragrande maggioranza (75%) fa riferimento al comparto Digital. L’Osservatorio rileva anche la tendenza a specializzazioni settoriali concentrate nei settori tipici del made in Italy, rivisitati in chiave hi-tech e digitale, come il Foodtech e il Winetech, il Fashion e il Tessile avanzato, in termini sia di materiali intelligenti sia di tecnologie di produzione, ma anche nel turismo digitale.
Per quanto riguarda la distribuzione geografica, pur confermandosi il Nord Italia cuore dell’ecosistema delle startup sia in termini di finanziamenti ricevuti (58%) sia di numerosità di startup finanziate (65%), aumenta il peso del Sud e delle Isole, che passa dal 30% del 2014 al 36%, per gli investimenti formali.
“Nonostante l’aumento riscontrato quest’anno, in Italia i Venture Capital (Vc) investono ancora solamente un settimo di quanto fanno le controparti tedesche e circa un sesto di quanto finanziato da parte dei Vc in Francia, mentre viene superato di pochi milioni di euro il valore degli investimenti domestici dei Vc spagnoli”, commenta Antonio Ghezzi, Direttore dell’Osservatorio Startup Hi-tech del Politecnico di Milano, presentando i risultati dell’Osservatorio.
Critico anche l’aspetto degli exit (per acquisizione da parte di aziende consolidate o per quotazione-Ipo) che risultano ancora limitati almeno per quanto riguarda i valori elevati: erano 25 nel 2015 e 19 a inizio ottobre 2016. Molte delle difficoltà potrebbero però essere in gran parte superate e la crescita dell’ecosistema accelerata grazie alla partecipazione diretta nel capitale delle startup e un coinvolgimento industriale delle grandi e medie imprese che potrebbero a loro volta trarne vantaggio in termini di accelerazione e riduzione dei costi dell’innovazione. Non mancano esperienze in questa direzione se pur ancora embrionali.