Quale lezione possiamo trarre, per la PA e per il Paese, dalla gestione della pandemia? Quanto accaduto ci aiuterà ad affrontare più preparati problemi vecchi e nuovi? Come è cambiato il ruolo del digitale nei mesi passati e come cambierà nei prossimi? Sono queste alcune domande alle quali hanno cercato di rispondere due ministre, autorevoli maître à penser, esperti di tecnologia e di economia internazionale, nel corso di due tavoli di discussione durante Forum PA 2020: “Una PA semplice, vicina e veloce per far ripartire il Paese” e “Fare rete: la trasformazione digitale per la coesione, la partecipazione e lo sviluppo della comunità nazionale”.
La crisi Covid19 e il conseguente lockdown hanno portato alla luce trasformazioni già in atto, accelerandole, e criticità già presenti. Il digitale è emerso non più come elemento accessorio o come qualcosa ancora da sperimentare ma come una necessità.
“L’emergenza ha offerto un’occasione di riconcepire il lavoro – ricorda la Ministra per la Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone – Abbiamo dovuto scegliere fra un lockdown che avrebbe bloccato completamente il Paese o continuare a fornire i servizi da remoto”.
Il nuovo modo di lavorare “agile” non sarà un fatto temporaneo, come conferma un emendamento approvato alla Camera (all’interno del DL Rilancio) che proroga fino a fine anno il lavoro a distanza, per il 50% dei lavoratori che svolgono attività che si prestano ad essere svolte in modalità agile, e prevede da gennaio di arrivare al 60%, con l’impegno di predisporre Piano Organizzativo del Lavoro Agile.
Come sottolinea Massimo Moggi President & CEO di WestPole: “È sterile il dibattito se lo smart working sia temporaneo o no; non si torna indietro nella trasformazione del modo di lavorare”. Affermazione non limitata alla PA.
Il digitale che scolla e incolla
Va ricordato che l’emergenza ha portato alla luce caratteristiche già intrinseche nelle nuove tecnologie e nel digitale, come evidenzia Luciano Floridi, Professor of Philosophy and Ethics of Information, University of Oxford. “Le nuove tecnologie hanno portato scollamento; il digitale, come sua peculiarità può scollare e incollare le cose”, sottolinea, portando due esempi di scollamento fra localizzazione e presenza: il medico di famiglia e la banca. Un esempio di incollamento è invece quello fra identità e dati: “L’idea che un individuo e i suoi dati coincidano sarebbe stato inconcepibile per i nostri nonni”.
E dunque la PA, se non vuole restare nel secolo scorso, deve fare i conti con questa nuova realtà, con una trasformazione digitale ineludibile nell’attuale contesto di incertezza e instabilità, come sostiene Antonio Menghini, Direttore Generale, Div. Settore Pubblico, DXC Sud Europa.
Carenza di banda e competenze, due delle criticità che l’emergenza ha portato alla luce
La PA è riuscita a mantenere una certa operatività, dovendosi scontrare con problemi annosi.
Uno di questi è la carenza di banda, come evidenzia la Ministra Dadone: “La PA ha dimostrato una grande voglia di andare anche oltre limiti oggettivi come l’assenza di banda larga; ci siamo messi in gioco e abbiamo accettato la sfida della riorganizzazione in modalità di lavoro agile”.
Si tratta di una carenza ben nota alle imprese, soprattutto quelle dislocate in aree periferiche, come rammenta Carlo Robiglio, Vice Presidente di Confindustria e Presidente Piccola Industria, portando il punto di vista degli imprenditori.
Ma il nodo maggiore si è rivelato, non a sorpresa, quello delle competenze.
Serena Sorrentino, segretaria Cgil funzione pubblica, ha evidenziato non solo che la conversione a lavoro remoto è stata effettuata “senza neppure un’ora di formazione”, ma ricorda anche “la desertificazione delle figure tecniche”. Situazioni che andrebbero affrontate, a suo parere, sia attraverso un turn-over selettivo sia con una formazione che, per essere adeguata alla trasformazione digitale, dovrebbe essere concepita come “rivoluzione cognitiva”.
La prende ancor più alla lontana, Floridi focalizzandosi sulla necessità di creare un’ambiente favorevole all’innovazione: “La disubbidienza è una innovazione riuscita, ma nella PA i disubbidienti vengono puniti. Non è l’unico ambiente dove l’innovatore che si colloca fuori dalla gaussiana non viene premiato”, dice facendo riferimento anche alla scuola e a prestigiose università come quella dove insegna.
Il livello politico è consapevole del problema anche se le risposte sembrano ancora deboli: “Per un’amministrazione smart servono persone smart – dichiara Dadone – Ecco perché fin dalla legge di bilancio ho insistito per togliere il tetto di spesa alla formazione, imposto negli anni alla PA”. Fra le iniziative in campo ricorda il progetto di assessment delle competenze e i conseguenti corsi di formazione.
Paola Pisano, Ministra per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione, da parte sua, evidenzia la necessità per la PA di “attrarre talenti, persone che hanno sviluppato servizi digitali nel mondo privato”.
Il nodo dei servizi digitali e del loro utilizzo
Un nuovo modo di lavorare smart per continuare a fornire servizi ai cittadini si scontra con il tema dei servizi digitali, tuttora mediamente di scarsa qualità ma soprattutto poco usati dai cittadini.
Come ricorda Federico Tota, Country Manager, Adobe Italia, l’Italia si colloca al 25-esimo posto (su 28) nell’indice DESI per adozione dei sistemi digital:. “La digitalizzazione non si realizza con una norma di legge ma con la capacità rendere i servizi facili, sicuri e coinvolgenti”, dichiara.
Pisano, nell’enunciare le linea guida per la digitalizzazione della PA, fa riferimento alle caratteristiche del servizio: digitale e sul cellulare. “Ecco perché abbiamo lanciato la app io su cui devono confluire tutti i servizi digitali che devono essere facili, accessibili, inclusivi e progettati in ottica europea”, spiega.
David Osimo, direttore di ricerca, the Lisbon Council , che considera la PA digitale come “servizio essenziale” e sottolinea la favorevole congiuntura dell’orientamento concreto UE alla digitalizzazione, porta diversi esempi per evidenziare che le PA hanno funzionato bene, in fase di lockdown, e sono riuscite a fornire servizi completamente digitali in breve tempo soprattutto, naturalmente, le amministrazioni di quei Paesi che già funzionavano bene prima: “Se un servizio non è utilizzato – dice, sottintendendo il caso italiano – dipende dal design, dal linguaggio, dalle sua reale utilità…”. Le PA dovrebbero dunque essere valutate, suggerisce, non sul numero delle app o dei servizi digitali pubblicati ma da quanto vengono effettivamente utilizzati.
Ancora più esplicito, Floridi nota: “Il successo è determinato dalla capacità di implementare piattaforme che viaggiano sulle loro gambe: meglio funzionano e più persone le usano; più funzionano meglio funzionano”.
C’è da chiedersi quanti servizi digitali della PA camminino sulle proprie gambe.
Imporre pagamenti alla PA solo digitali o lo SPID come unico mezzo per accedere ai servizi, come indicano le linee guida di Pisano, sarà il modo giusto per sviluppare servizi digitali di successo?
Per un Paese competitivo serve una PA smart
La pandemia ha messo in evidenza il ruolo centrale della PA per l’innovazione e la competitività del Paese.
“Come PA, con 3,2 milioni dipendenti, il 14% della forza lavoro, siamo l’azienda più grande d’Italia;”, sottolinea Pisano, una grande potenza di fuoco se si aggiungono le partecipate come Poste, Ferrovie, Eni… “La PA ha in mano le leve per guidare la trasformazione digitale del paese”, aggiunge, ma si rammarica che Paese abbia tante eccellenze che non fanno rete.
“La PA va considerata un asset di sviluppo e la più grande impresa del Paese”, concorda Robilio, ma senza una PA al meglio delle sue possibilità non si sviluppa la competitività Paese. Da qui la proposta di “un grande patto sociale: fra privato, impresa e PA”, che superi le reciproche diffidenze. Gli imprenditori vedono i dipendenti pubblici deresponsabilizzati con quella che il VP di Confindustria definisce “la malattia della fuga dalla firma”, che potrebbe essere superata dal provvedimento [ndr: all’interno del DL Semplificazione] che sanziona i comportamenti dei funzionari pubblici, solo se dolosi. “La politica vede l’imprenditore come qualcuno che vuole avvantaggiarsi in ogni situazione. Ma anche questo pregiudizio va superato dando maggior forza alle autocertificazioni, con le quali gli imprenditori si assumono le proprie responsabilità, e prevedendo sanzioni incisive per coloro che cercano scorciatoie”. Robilio suggerisce dunque un patto sociale all’insegna della trasparenza, della fiducia e della responsabilità.
La fiducia è la condizione per la collaborazione fra impresa e amministrazioni anche per Agostino Santoni, Amministratore Delegato, Cisco Italia: “Per poter fare rete e collaborare con le amministrazioni bisogna prima aver fatto i compiti”. Non solo con la proposta di soluzioni adeguate come le reti Cisco, “semplici, aperte programmabili, intrinsecamente sicure”, ma anche con l’impegno verso il territorio, come il ruolo delle Academy Cisco evidenzia.
Moggi sostiene che si deve continuare a investire sulla collaborazione fra pubblico privato, grandi e piccole imprese, startup, non più in un’ottica di sperimentazioni ma puntando all’execution.
Giorgio Migliarina, Vodafone Business Italy Director, considera indispensabile fare rete per realizzare soluzioni per interpretare il futuro e non per ritornare a fare quanto si faceva prima. “Dopo avere garantito, nella prima fase, la continuità di comunicazione e contribuito a monitorare la mobilità delle persone, aver mantenuto, nella seconda fase, le aziende dei settori più colpiti in una situazione di continuità, garantendo i contatti con i clienti, ora stiamo lavorando per capire come interpretare il futuro”, dice.
L’aspirazione di tutti è la possibilità di andare verso un’Italia migliore, non come risultato della pandemia, ma avendo imparato qualcosa dalla pandemia. Sarà capace l’Italia, con il supporto della PA, di unire le politiche verdi (economia green, circolare e dello share) e le politiche blu (economia digitale e dell’informazione), come auspica Floridi nel suo ultimo libro?