Israele, un paese di poco più di 8 milioni di persone, è un caso di scuola con oltre 3mila startup tecnologiche attorno a Tel Aviv (una concentrazione seconda solo alla Silicon Valley) che generano per il Paese oltre 6 miliardi di dollari l’anno dagli exit (fusioni, acquisizioni, quotazioni in Borsa), secondo i dati dell’Ivc Research Center di Israele. Per fare un confronto con l’Italia, con 60milioni di abitanti, sono iscritte all’apposito registro (quasi 6 mila startup innovative. Ma a parte la maggiore densità delle startup (3,75 contro 1 ogni 10mila abitanti), è significativo, per le startup made in Israele, il livello di investimento di 4,43 miliardi di dollari nel 2015, soprattutto di provenienza internazionale, se confrontato con poco più di 100 milioni investiti nelle startup italiane.
È dunque interessante capire come Tel Aviv abbia definito, praticamente a costo zero, una collaborazione con le startup per favorire l’innovazione a favore dei cittadini e consolidare il ruolo di startup City del Paese.
“La grande domanda che ci siamo posti è stata come il Comune deve investire sulle startup – ha raccontato Liora Shechter, Cio della città di Tel Aviv nel corso della Major Cities Europe Conference 2016 svoltasi nei mesi scorsi a Firenze – La prima risposta è stata: credere nell’ecosistema. Il Comune deve fornire servizi ai cittadini, ma la comunità commerciale, quella delle imprese e quella degli sviluppatori potrebbero unire le forze per migliorare e arricchire i servizi”. Inoltre la città può favorire l’innovazione svolgendo il ruolo di beta site per le nuove applicazioni. Questo approccio ha portato alla nascita di 1000 nuove startup negli ultimi 6 anni, con un incremento del 40%.
“Per fare leva sulla comunità delle startup e incoraggiarle a utilizzare le informazioni per tradurle in servizi ai cittadini abbiamo creato un framework, dopo aver definito insieme le loro necessità: a volte hanno bisogno di dati, altre di scambi di opinioni con esperti sui temi delle città, di luoghi dove provare i loro prodotti o semplicemente dove stare per lavorare, in ogni caso necessitano di agevolazioni fiscali”.
Il Comune di Tel Aviv ha puntato su quelle startup che si proponevano di creare servizi per migliorare la vita della città e di aiutare a promuovere Tel Aviv come smart city.
“Si è partiti con l’offerta di luoghi di lavoro, riconvertendo parzialmente quattro biblioteche, dove si è creata un’atmosfera capace di ispirare l’innovazione”, ha spiegato Shechter. Qui è prevista ospitalità di 3-6 mesi con la disponibilità di infrastruttura di comunicazione e le tecnologie necessarie. Si è messo a disposizione il data base della città, con la possibilità di condividere qualunque informazione, fatta salva la privacy per dati personali.
“La municipalità si è offerta come beta site per le soluzioni sviluppate, fornendo un feedback, un approccio che ci ha costretti a nostra volta ad innovare al nostro interno”, ha aggiunto Shechter.
Per aumentare il numero di clienti, necessario alle startup per crescere, il Comune ha pubblicizzato i servizi proposti in cambio di una riduzione dei costi per i residenti. Esperti sui temi della città hanno messo la loro competenza a disposizione degli startupper, generalmente specializzati nell’It, a tradurre il linguaggio, da tecnico a business. La riduzione delle tasse applicata in Israele a tutte le aziende hi-tech è stato esteso alle startup innovative. In più è prevista una riduzione fino al 66% delle tasse locali per il Comune di Tel Aviv. Inoltre, la disponibilità di wi-fi in qualunque punto della città agevola l’utilizzo dei servizi creati dalle startup. Per stimolare la creatività e lanciare i temi di interesse della città, vengono proposti almeno due hackathon l’anno. L’ultimo, lo scorso marzo, sui temi della mobilità urbana (App2go), ha visto 400 iscritti, solo la metà dei quali ammessi e la creazione di 40 gruppi di lavoro in competizione.
Alcune startup e Pmi Italiane per le città
In occasione di Major Cities Europe Conference 2016 erano presenti anche alcune startup e Pmi italiane con soluzioni pensate o applicabili nell’ambito delle città, nate però in modo “spontaneo”.
È il caso di Nivi Green, che ha mostrato il sistema informatico T&C Solution che consente di monitorare e controllare da un’unica interfaccia il territorio, le reti, le infrastrutture viarie e i complessi urbani ed extraurbani. La startup è nata nel 2015 con spin-off del gruppo Nivi, si occupa di servizi e prodotti tecnologici nei settori della Mobilità Sostenibile, Smart City e Telemedicina applicata allo sport e ai servizi pubblici attraverso tecnologie particolarmente innovative.
VirtuItaly è una startup nata a luglio 2015 come spinoff di Centrica, con l’obiettivo di valorizzare il patrimonio culturale e creativo italiano e realizzare mostre virtuali interattive e immersive. Uffizi Virtual Experience è la prima mostra di questo tipo realizzata in Italia e porta in tour i capolavori della Galleria degli Uffizi: con oltre 1150 immagini digitali ad altissima risoluzione, multiproiezioni immersive e tecnologia abilitante.
Evodevo, nata come startup nel 2007, dall’esperienza dei soci, manager di grandi aziende multi-nazionali e professori universitari, oggi si rivolge sia alle grandi imprese e organizzazioni sia alle amministrazioni pubbliche locali, grazie alle competenze su estrazione di conoscenza tramite tecnologie semantiche, data mining e text mining, GIS (sistemi geografici), sistemi di supporto alle decisioni e knowledge management.
Confronto con l’Italia
Queste, come altre startup e Pmi italiane, sono nate nel tempo senza un vero e proprio “patto” con il Comune o l’amministrazione di riferimento del loro territorio e, per quanto siamo riusciti a verificare, non ci sembra di aver trovato, nei Comuni e nelle amministrazioni italiani, niente di analogo a quanto messo in atto a Tel Aviv.
Certo non mancano iniziative per attrarre le startup nel territorio comunale o regionale, con bandi di vario tipo e distribuzione di finanziamenti, per lo più modesti.
La prima edizione di App4Mi (2013) , lanciata dal Comune di Milano in collaborazione con Rcs e DigitalMagics, ad esempio, aveva registrato un importante coinvolgimento della cittadinanza con più di 1.000 iscritti ai corsi gratuiti di App4Mi Open Campus organizzati da Digital Magics, per la creazione di app pensate per Milano. Le migliori 10 app hanno avuto premi per 20mila euro in totale e alcuni stage. Ma poi la cosa non ha avuto seguito. Sempre a Milano c’è da segnalare il progetto “startup town” di Assolombarda, lanciato nel 2014, che punta a stimolare la nascita e la crescita di startup e aiutarle a creare relazioni con altre imprese, piccole e grandi, associando oltre 220 startup a Confindustria con l’offerta di servizi gratuiti per i primi 4 anni. Ma la focalizzazione è soprattutto verso le imprese.
Il Comune Milano ultimamente ha lanciato un bando “Startupper”, dedicato agli aspiranti imprenditori che vogliano far nascere e crescere le loro attività nelle aree periferiche della città che sembra avere come obiettivo soprattutto la rivitalizzazione delle periferie.
La Regione Lazio, come ha ricordato Miriam Cipriani, Direttore “Cultura e Politiche Giovanili” della Regione in un recente convegno dedicato alle startup presso ForumPa, ha istituito un fondo di 1,5 milioni dedicato al sostegno e allo sviluppo delle imprese nel settore delle attività creative (audiovisivo, editoria, tecnologie applicate ai beni culturali, artigianato artistico, design, ecc.) da cui sono nati 54 progetti di startup. La prima classificatasi fra quelle finanziate è stata Oniride, startup nata da un gruppo di ragazzi tra 30 e i 35 anni, che utilizza una tecnologia all’avanguardia per entrare virtualmente nel mondo dell’arte. Sempre a sostegno del progetto è nata nel 2015 la rete pubblica di FabLab della Regione Lazio con lo scopo di favorire l’accesso diffuso ai più recenti strumenti utili per le attività creative (fra cui le stampanti 3D). L’obiettivo del progetto sembra però soprattutto quello di sviluppare un distretto dell’industria creativa.
Anche la Regione Emilia-Romagna, con una dotazione di circa 6 milioni (nell’ambito del Programma operativo regionale Fesr 2014-20) punta a favorire la nascita e la crescita di startup in grado di generare nuove nicchie di mercato attraverso prodotti, servizi e sistemi di produzione a elevato contenuto innovativo in settori come: agroalimentare, edilizia e costruzioni, meccatronica e motoristica, industria della salute e del benessere, industrie culturali e creative, innovazione nei servizi.
Rispetto a queste e altre esperienze, il valore aggiunto che il modello di Tel Aviv porta ci sembra essere la finalizzazione immediata della startup e la sua possibilità di utilizzare la città come test di prova, per confermare l’idea di business, aggiustarla o rinunciare. Un supporto che vale ben più di un finanziamento pubblico che, come ha recentemente evidenziato uno studio dell’Università del Salento sulle startup pugliesi, rischia di far galleggiare per anni l’azienda grazie ai fondi pubblici: delle 36 esaminate in dettaglio, 26 non fatturano, 31 hanno un solo addetto e 9 sono inattive o in liquidazione; mentre solo tre fra quelle esaminate (Echolight, Biofordrug e Safewheat) hanno avuto un significativo impatto socioeconomico sul territorio. Si tratta di un segnale per ripensare i modelli seguiti anche in altre aree italiane.