Sembra proprio essere un libro “coraggioso” questo Pivot verso il futuro – Liberare valore e generare crescita nell’era post disruption (edizioni Egea – scritto da Omar Abbosh, Paul Nunes e Larry Downes, tre C-level e analisti di Accenture). Perché con i suoi consigli e indicazioni di esperienze aziendali, vuole andare oltre l’accettazione, ormai scontata, che le tecnologie digitali provochino disruption nei modelli organizzativi e culturali delle imprese, nonché nei business in cui devono competere. Il concetto (e la sfida) proposto, è infatti quello di affrontare l’innovazione come elemento di cambiamento continuo, che attraversa ogni aspetto di business dell’impresa nelle sue dimensioni old (dove esiste un’offerta core su cui si deve mantenere la focalizzazione ma che può essere rivitalizzata dal digitale), now (di gestione di prodotti e servizi attuali di successo su cui dover creare nuove opportunità) e new (la definizione di strategie e offerte future che sappiano prevedere tempi e modi della disruption in arrivo). “Pivot verso il futuro” vuole dare un forte scossone alla cosiddetta “saggezza convenzionale” del business, spingendo a ripensare convinzioni consolidate su una prospettiva temporale di lungo periodo per sfruttare, invece di subire, la disruption continua, trasformandola in valore di innovazione, adattandosi alle tecnologie emergenti e ai nuovi mercati.
Un’elaborazione che deriva dall’esperienza diretta
Il libro è frutto dell’esperienza diretta di disruption vissuta da Accenture (nel dover ripensare strategicamente il proprio modo di operare sul mercato) e dal rapporto che la società di consulenza ha, in questa era di cambiamento, con imprese di tutto il mondo. Un’attività di confronto e studio, sintetizzata nei suoi risultati nel libro, che ha portato Accenture Research (il think tank interno) ad analizzare per oltre due anni l’impatto disruptive delle tecnologie digitali su migliaia tra le principali aziende per fatturato nel mondo, intervistando manager e indagando, anche attraverso uno studio dettagliato, ben 30 settori industriali.
Alla presentazione del libro nell’Aula Magna dell’Università Bocconi di Milano, erano presenti Fabio Benasso, Presidente e AD Accenture Italia, e Paul Nunes, global managing director per la Thought Leadership di Accenture Research, co-autore del libro.
Il “Wise Pivot” (così come citato nel libro; lo possiamo tradurre come un punto fermo di saggezza, ottimale) è in pratica una gestione equilibrata tra vecchio e nuovo ma il cui carattere di novità consiste non tanto nel definire un modello statico di riferimento, quanto un modello operativo che faccia della capacità di re-inventare continuamente operations, organizzazione, processi, management, leadership e culture, il punto di forza per liberare valore e generare crescita sostenibile nel tempo (un tempo di disruptions). Serve però costruire un modello replicabile nel lungo periodo, non sacrificando la faticosa ricerca dell’innovazione sull’altare dei risultati a breve termine.
Su cosa costruire l’adeguamento dinamico alla disruption
Proprio a Fabio Benasso abbiamo chiesto quali possono essere gli elementi di focalizzazione in impresa su cui costruire un adeguamento dinamico alla disruption: “Serve riconcepire – ha detto nella sua interessante risposta il top manager – il sistema di impresa da elemento di possesso dell’asset ad un concetto di orchestrazione dell’innovazione diffusa, riconducendola a un modello di ecosistema; bisogna sviluppare una nuova capacità nel combinare in modo flessibile e continuo i vari pezzi in una dimensione open, evitando i lock-in. Con le persone – ha concluso Benasso – è un fatto di cultura; servono leader inclusivi, co-progettazione, collaborazione e tecnologie open. E i dati e le informazioni sono il collante di tutto”. E Nunes ha aggiunto: “I leader devono condividere questo orizzonte, vedere la pluralità dei business e saper come attivare le opportune sinergie, guidando il cambiamento e investendo in innovazione come una voce essenziale per il futuro dell’impresa”.
Un appunto in chiusura: interessante notare che in questi nostri tempi abbastanza oscuri, in cui tuttavia si cominciano ad intravedere nella società i primi anticorpi di rifiuto di eccessiva decadenza morale, la via indicata per costruire una nuova identità aziendale, passi dall’accettazione di valori positivi quali l’inclusione, la diversità, la multidisciplinarità, la collaborazione, la co-operazione, l’apertura, la contaminazione. Tutti elementi imprescindibili per muoversi, come organizzazioni e persone, nella business disruption ma che, evidentemente, possono esondare, dal mondo delle imprese alla società, perché, è noto e sottolineato nel libro, “un sistema chiuso è destinato a implodere”.