Vita da CEO

David Bevilacqua si racconta: “In azienda devi essere te stesso. Mai recitare il copione di qualcun altro”

Lo stile di leadership, la cultura aziendale, il mercato, le esperienze vissute in multinazionali e startup. Le considerazioni del top manager in una vita dedicata all’ICT

Pubblicato il 29 Lug 2019

Ritratto di David Bevilacqua – Illustrazione di Lorenza Luzzati

Oltre 20 anni spesi in Cisco con ruoli di crescente responsabilità fino a diventare vice president europe. E poi la decisione di cambiare tutto con un’analisi lucida del reale significato di ciò che si fa e di come lo si fa. Per poi riprendersi il proprio tempo e i propri spazi (consiglio la visione di questo video sull’importanza del tempo e delle parole).

Gli innumerevoli check-in e le scalette degli aerei hanno lasciato il posto agli incontri per lanciare la startup Yoroi focalizzata sulla cybersecurity (“lì mi sono reso conto di cosa vuol dire fare impresa e di cosa vuol dire gestire un’impresa”).

E poi il tempo dedicato ai progetti di consulenza, agli speech, allo studio e alla formazione (“quando partecipo ai convegni come relatore ascolto sempre tutti gli altri speaker: c’è sempre molto da imparare”).

David Bevilacqua non è solo un manager di successo. Per molti suoi collaboratori era sì il punto di riferimento ma più semplicemente anche il collega che passava a salutarli prima di uscire. Perché “alla fine di tutto, sono le persone a fare le aziende”.

ZeroUno: Lavori nel settore dell’ICT da oltre venti anni: cosa è cambiato e cosa è rimasto immutato?

David Bevilacqua: Quello che è cambiato rispetto ai primi tempi è che finalmente la tecnologia è nell’agenda di business dei CEO. Non è più un tema confinato fra gli esperti di bit, ma è molto più orizzontale. Un altro elemento importante è l’aumento della conoscenza della tecnologia all’interno delle aziende. Molto spesso tante idee innovative arrivano direttamente dai collaboratori e dipendenti che sperimentano, portano contaminazione ed esperienze personali. Un terzo elemento è che finalmente il ritorno sugli investimenti tecnologici sta perdendo di significato. Oggi per certi tipi di innovazione, non è questione di ROI ma di “quando” fare. Quanto si perde se non si fanno ora questi investimenti?

ZeroUno: E cosa è rimasto è immutato?

David Bevilacqua: Quello che non è cambiato è che i vendor continuano ad avere un approccio molto di prodotto e in diversi casi senza un’adeguata conoscenza del cliente. Soprattutto per le tecnologie emergenti, si crea un forte distacco – oggi come ieri – rispetto al lessico comune dei manager di impresa. Si continuano a parlare lingue diverse e non ci si capisce. Un altro tema che è cambiato poco nel corso degli anni riguarda gli investimenti ICT nelle PMI. Mentre le nostre grandi aziende – a livello di innovazione – non hanno nulla da invidiare alle large corporation internazionali, le piccole e medie imprese fanno mediamente ancora fatica.

ZeroUno: Perché secondo te?

David Bevilacqua: Perché i vendor non riescono a seguirle adeguatamente. Per i fornitori di tecnologia il costo di andare sul territorio è molto oneroso e quindi la copertura viene demandata al canale. E non sempre il canale è strutturato per essere veicolo di cultura dell’innovazione, anziché di vendita di prodotti. E si ritorna a quanto dicevo precedentemente. Mediamente le PMI non vengono ben seguite e non si parla un linguaggio comune. Vedo tre grandi classificazioni per le imprese italiane: ci sono le aziende in cui l’IT è abilitante, in cui l’informatica è “ordinaria”; ci sono poi quelle un po’ più innovative che usano la tecnologia come differenziatore, per cercare un vantaggio competitivo sul mercato a livello di prodotto/servizio; infine ci sono quelle poche illuminate dove la tecnologia è “embedded” nelle strategie di business e fa parte del DNA dell’impresa stessa. Ecco, supponendo di fare una classificazione a piramide, la stragrande maggioranza delle aziende è nella base dove l’IT è ordinaria. E sono convinto che il problema sia nell’ecosistema dell’IT italiano, non nelle PMI.

ZeroUno: Troppa frammentazione?

David Bevilacqua: Il vendor oggi è estremamente disintermediato. In genere si passa dal distributore, che va sul reseller che vende alla PMI. La catena è talmente lunga e frammentata che è difficile trasferire quella cultura dell’innovazione sul territorio di cui le PMI hanno bisogno. Il canale deve diventare un po’ evangelizzatore sui temi del digitale e dell’innovazione. C’è bisogno di un salto di qualità. Il business è ancora molto di fiducia, di intimacy, di vicinanza.

David Bevilacqua yoroi
David Bevilacqua, Co-Founder Yoroi – Ex CEO di Cisco Italia e Vice President Europe di Cisco

ZeroUno: Dopo una lunghissima esperienza in Cisco, hai fondato una startup. Che cosa è voluto dire trasformarsi da top manager di una multinazionale a imprenditore?

David Bevilacqua: L’errore più grosso all’inizio è stato pensare che la startup fosse un gioco da ragazzi. Pensavo di doverci dedicare una parte minima del mio tempo e invece ho avuto la conferma che il part time nel lavoro non esiste. Non è questione di quante ore ci dedichi, è questione di impegno e di mindset. Altra lezione: non puoi gestire per analogie. È un errore replicare quanto fatto in passato su una scala più piccola. Bisogna fare tesoro del passato ma le sfide che hai davanti sono tutte nuove. Bisogna mettersi nuove lenti e vedere il mondo con occhi diversi. Umiltà nel tornare indietro e imparare: ecco il segreto. Mi sono occupato di attività che prima davo per scontate: il circolante, l’IVA, le ferie giusto per citarne alcune. Nelle aziende strutturate hai processi e sistemi che ti aiutano, nelle startup bisogna costruire tutto da zero. Passi da un modello dove tipicamente la formazione viene erogata dall’azienda a un modello dove la formazione parte dal basso ed è destrutturata.

ZeroUno: E a livello di decisioni strategiche?

David Bevilacqua: Se lavori in una multinazionale la strategia è definita su altri tavoli. Certo, in base al ruolo puoi contribuire alla discussione, ma spesso il compito è di execution intelligente. In una startup devi essere pronto a riconsiderare le tue scelte, soprattutto all’inizio del percorso imprenditoriale. Magari avevi un’idea in testa che scopri non funzionare nella pratica. Bisogna essere pronti a cambiare rotta velocemente. Una lezione che ho imparato è che questi continui aggiustamenti di rotta portano poi alla fine verso una direzione di cui sei convinto. Ecco, quando arriva quel momento, non devi avere più distrazioni: quella è la rotta e bisogna seguirla fino in fondo, anche magari rinunciando a business “più facili” che sono al di fuori però del percorso fissato.

ZeroUno: Ci sono decisioni che hai preso con un approccio da “multinazionale”?

David Bevilacqua: Ovviamente sì. In particolare su due aree aziendali ho ragionato da grande impresa: la comunicazione e il legal. In entrambi i casi la professionalità e l’esperienza fanno una grandissima differenza. Molto più che in altre aree. Su tutto il resto ho invece più ragionato da startup.

ZeroUno: Com’era la tua giornata tipo quando lavoravi in Cisco?

David Bevilacqua: Iniziavo verso le 9-9.30. Mediamente si divideva equamente fra la gestione interna, le persone e gli incontri fuori dai clienti o per eventi. Finivo mediamente verso le 20 e tipicamente un paio di sere a settimana ero impegnato per meeting o cene di lavoro. Quando ho assunto una responsabilità europea avevo l’aereo il martedì mattina e tornavo il giovedì sera con vita molto itinerante e impegnativa.

david bevilacqua ritratto da lorenza luzzati
Ritratto di David Bevilacqua – Illustrazione di Lorenza Luzzati

ZeroUno: E adesso?

David Bevilacqua: Quando ho cominciato con Yoroi ero molto sbilanciato verso l’esterno. Direi un 60% fuori, un 20% per la gestione interna e un altro 20% con le persone. Ora non ho più un ruolo operativo e il mio tempo si suddivide fra speech, advisory e progetti di consulenza. Rispetto al passato sono giornate molto più frammentate. L’avere più tempo a disposizione mi porta a dedicare maggiore energia su tanti progetti, con un’efficacia migliore rispetto ai tempi dettati dall’agenda aziendale. Alla fine di tutto, il coinvolgimento su un progetto non si esprime tanto con le ore dedicate ma con l’ingaggio emozionale.

ZeroUno: Si ritorna un po’ ai temi del time management.

David Bevilacqua: Guarda. Si dice spesso che non c’è tempo per fare questo o quello. Ma è un alibi: il tempo c’è. Siamo noi a decidere come usarlo. Lo dedichiamo alle cose che per noi sono prioritarie facendo delle scelte, giuste o sbagliate che siano. Se una cosa non viene fatta è perché nella tua scala di valori aveva un’importanza secondaria rispetto ad altre attività.

ZeroUno: Nel corso della tua carriera hai assunto centinaia di persone. Quali sono le caratteristiche che cerchi nei tuoi collaboratori?

David Bevilacqua: Sono cambiate nel corso del tempo. Prima ero molto più orientato a competenze e conoscenze. Oggi sono molto più interessato a comportamento e attitudini. E questo per due motivi: il primo è che le competenze evolvono molto rapidamente e il puro investimento in competenze ha un orizzonte di tempo limitato; il secondo è che la conoscenza – intesa come conoscenza del mercato o relazione con il cliente – è meno importante. Viviamo in un mondo disintermediato dove le relazioni esclusive valgono sempre meno. Fondamentale è invece l’attitudine, intesa come vocazione e predisposizione nel portare valore all’organizzazione. Sia chiaro, le competenze e le relazioni sono importanti, ma bisogna andare oltre: desidero collaboratori curiosi, energetici, positivi, che abbiano voglia di mettersi in gioco, di imparare.

ZeroUno: E che abbiano la medesima cultura aziendale…

David Bevilacqua: Il tema del “fitting” culturale è centrale. Se l’azienda per la quale lavoro mette al primo posto il cliente, devo avere collaboratori fortemente orientati al cliente. Se per l’azienda è fondamentale il tema della sostenibilità ambientale, ho bisogno di persone che non usano bottiglie di plastica. Si tratta solo di esempi che sottolineano l’importanza dell’aderenza culturale e valoriale. Quando sei in azienda devi sentirti te stesso. Se invece interpreti il ruolo di qualcun altro, c’è qualche problema. Ho sempre lavorato in aziende informali, con comunicazione estremamente aperta, molto flessibili, con una cultura del lavoro orientata alla fiducia e non al controllo. E questi sono ambienti dove sono me stesso: i valori sono i medesimi.

ZeroUno: Ti senti più leader o manager?

David Bevilacqua: Ritengo che il leader e il manager siano figure dai contorni sempre più sfumati. Fino a ieri andava bene avere queste due figure separate: il leader ha a che fare con il cambiamento, l’ispirazione delle persone, la visione; il manager gestisce la complessità in termini di processi, staffing, burocrazia. Oggi secondo me queste figure vanno unite. Le aziende vivono complessità e cambiamenti in modo molto rapido. E c’è quindi necessità di persone che siano in grado di esercitare la leadership nei momenti di forte cambiamento, ma che siano anche in grado di gestire la complessità che deriva da questo cambiamento. Con un forte orientamento alle persone. Sai qual è il problema?

ZeroUno: Qual è?

David Bevilacqua: Che c’è mediamente una scarsa capacità manageriale all’interno delle aziende. Soprattutto nel middle management. Non per responsabilità del middle manager, sia chiaro, ma per colpa delle modalità di scelta di questi manager. Solitamente le persone oggi diventano manager non perché hanno attitudine alla gestione delle risorse o lo vogliono fare, ma perché è l’unica risposta economica che può dare la struttura. Se si vuole guadagnare di più bisogna diventare manager. Siamo in un sistema per cui vengono remunerate le responsabilità, non le competenze. E quindi le persone diventano manager per il motivo sbagliato. Classico esempio: prendo il migliore dei venditori e lo faccio diventare direttore commerciale. Prendo il migliore dei tecnici e lo promuovo a direttore tecnico. Niente di più sbagliato: il neo-direttore commerciale continuerà a interferire nel lavoro dei sales dando scarsa delega e facendo crescere poco le persone. Nella maggior parte dei casi avrò un cattivo direttore commerciale e avrò perso un ottimo venditore. La promozione a manager è invece una decisione consapevole, non va visto come un premio. E con questo sistema purtroppo abbiamo in genere creato dei manager che non sono orientati alle persone.

ZeroUno: Il che non è salutare per un’organizzazione…

David Bevilacqua: Il vero leader o il vero manager si vede quando non c’è più. Se si costruiscono team eccellenti ma che si equilibrano solo attraverso l’esercizio di un leader, l’organizzazione è vulnerabile. Ho sempre preferito invece modelli che si autosostenessero, si autoalimentassero. Bisogna creare team armonici dove il leader è sostituibile.

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