Decidere e agire

Pubblicato il 02 Mag 2004

stefanoubertifoppaok-piccol

Ripresa sì, ripresa no, stasi, crescita imminente. Di questi tempi è facile sentire tutto e il contrario di tutto. Diciamo che ZeroUno, ancora almeno 4-5 mesi fa, quando il pessimismo più nero dilagava, aveva azzardato, fidandosi delle proprie “antenne sul mercato” in grado di coglierne anche i deboli segnali evolutivi, che, insomma, avremmo potuto anche essere vicini alla fine dell’annus horribilis, considerando in realtà il triennio 2001-2003, perché qualche segnale di movimento stava manifestandosi e perché alcune soluzioni andavano esattamente a soddisfare quella domanda di efficienza e di supporto strategico a nuove modalità di sviluppo del business che la competizione di questi anni richiede obbligatoriamente alle imprese.
Non aveva allora alcun valore statistico, ovviamente. Era soltanto “la sentinella che scrutava l’orizzonte”. Un orizzonte che oggi viene però meglio chiarito dalle analisi dei principali osservatori di mercato. Tra questi senz’altro Idc, nel suo Directions 2004, tenutosi a Milano lo scorso fine aprile, ha contribuito a dare indicazioni di prospettiva, sia quantitative, sia, soprattutto, di evoluzione della struttura del mercato (lato fornitori e lato utenti) che confermano le avvisaglie segnalate dal nostro giornale, rendendo meglio definito e chiaro, anche nella sua problematicità, il ruolo che in questo scenario potrà giocare il nostro paese e le imprese che ne compongono la struttura economica.
Roberto Masiero, prima di addentrarsi, insieme ai suoi analisti, nell’esame di fenomeni e cifre, ha detto che se per l’Europa è prevista, sia pur con un certo ottimismo, una crescita del 3,4% della spesa It per il 2004, esiste peraltro un “caso Italia” che va chiarito.
Stiamo infatti parlando, pur all’interno di una crescita della spesa It comunque modesta se paragonata agli anni d’oro dei fine Novanta, di segnali concreti di inversione positiva di tendenza che però coinvolgono solo marginalmente l’Italia. E se da un lato Masiero ha detto che analizzando la capacità di ripresa competitiva dell’Italia grazie alle tecnologie It “ci si deve liberare dell’attuale retorica disfattista” (tutto sommato i risultati 2003 dei principali 20 fornitori Ict sul mercato italiano non sono stati poi così negativi), dall’altro, con fermezza, l’executive Idc ha affermato che “esiste un vero e proprio blocco dell’innovazione causato dalla miopia della classe dirigente dell’impresa italiana”.
Ovviamente questo ‘j’accuse’ tiene conto di una responsabilità che deve essere attribuita oltre che all’imprenditoria italiana, anche ai fornitori di tecnologia, che non hanno ancora saputo modificare i propri modelli di approccio al mercato e la propria offerta
per proporre invece ai loro clienti non tanto soluzioni di automazione del sistema informativo dell’impresa quanto, piuttosto, soluzioni di automazione del sistema di business. Senza scordare la mancata partenza di quei “turbo settori”, uno su tutti la pubblica amministrazione, che, al di là delle buone idee e progetti del ministro Stanca (ricordiamo “senza portafoglio” di nome e di fatto), non è riuscito ad incidere più di tanto sulla ripresa economica come invece gli investimenti del settore pubblico in tecnologie Ict potrebbero determinare. Eclatante, a questo proposito, è nel contesto europeo la realtà della Spagna, la quale, unica in Europa, mentre nel 2003 tutti i tassi di spesa It erano abbondantemente negativi, realizzava un +4,5%, con previsioni di crescita del mercato It per il 2004 del 7,1% proprio grazie al supporto degli investimenti nella pubblica amministrazione e ad una politica di accesso ai finanziamenti europei molto aggressiva che ha dato linfa vitale ai numerosi progetti tecnologici portati avanti dalle diverse regioni spagnole.
Ma concentriamoci sugli atteggiamenti degli utenti e dei fornitori di tecnologia e di come in uno scenario che comunque si profila di ripresa, sia pur contenuta, serva prendere decisioni, agire, cambiare atteggiamenti di eccessivo timore per evitare di restare ai margini, prima come imprese e poi come Paese, di un nuovo, sia pur contenuto, sviluppo. Non c’è nulla da fare. In termini generali, la reazione al cambiamento dell’utente italiano è spesso “a scoppio ritardato”. Quindi se in Europa, dalle analisi Idc presso gli utenti, emerge già oggi un atteggiamento di attenzione verso il ruolo della tecnologia soprattutto finalizzato allo sviluppo di nuove applicazioni strategiche (dando quindi per superata la fase attendista di contenimento dei costi), in Italia le ricerche dimostrano come solo fino a pochi mesi fa l’attenzione primaria fosse centrata su problemi di integrazione, razionalizzazione, contenimento di spesa.
E’ sempre difficile, va detto, teorizzare atteggiamenti generalizzati sulla base di risposte campione, ma il dato in sé è comunque indicativo di un’estrema prudenza da parte dell’impresa italiana che rischia di compromettere l’accoglimento di quelle opportunità di crescita competitiva che altre aziende europee sembrano invece già oggi attente a sfruttare.
Può essere solo causa di una questione culturale e di mentalità? Non crediamo. Abbiamo assistito, sempre all’evento Idc, a una parte della tavola rotonda-confronto tra alcuni principali player Ict. Questa necessità di crescita di cultura da parte dell’utente veniva costantemente evocata dai fornitori. Con tutta franchezza ben poco hanno da recriminare in proposito i fornitori di tecnologia. Questo atteggiamento del mercato è anche “loro figlio”. I fornitori in passato, e fino ancora alle “vacche grasse” dell’anno 2000 e dell’Euro hanno bellamente ignorato il proprio ruolo di vero partner del cliente, in grado di far emergere nella loro offerta il valore che questa poteva avere per il business dell’utente. Si sono trovati benissimo ad interloquire con Cio il cui unico scopo era quello di migliorare le performance del sistema oppure acquisire, anch’egli come il proprio concorrente, l’ultima tecnologia sul mercato. Altro che “salto culturale!”. Naturalmente non tutti i fornitori si sono mossi in questa logica da Far West. Alcuni hanno capito che i tempi stavano cambiando e che i criteri di vera partnership (guarda caso sono due anni che ZeroUno ha lanciato un proprio allegato trimestrale che si chiama “Partnership”) spinta fino a logiche di “risk sharing” o di creazione di “Newco” (nuove aziende frutto della partnerhip fornitore-utente), erano gli unici che potessero consentire, in tempi complessi, di continuare a fare business. Perché gli utenti italiani se è vero che da un lato hanno atteggiamenti prudenti, dall’altro hanno anche bisogno di avere interlocutori con i quali vi sia una mutua comprensione delle problematiche specifiche del loro mercato, con i quali si possa individuare il valore di business che può avere l’It. In questo senso, proprio l’atteggiamento attendista fin qui assunto dall’imprenditoria italiana nell’investimento It determina buone potenzialità di crescita per il futuro prossimo. Si tratta di trovare le leve giuste per consentire a queste potenzialità di esprimersi, per diventare veri e propri investimenti.
E l’interessante mattinata Idc si è conclusa proprio con il focus sui fornitori i quali, secondo la società di ricerche di mercato, devono darsi una risposta precisa in merito alla strategia da scegliere. Fornitori ad un bivio, dunque: avere come target di riferimento specifici clienti, tipicamente grandi, con i quali sviluppare progetti che abbiano un forte impatto strategico sul business, per gestire, insieme a loro, parte della complessità competitiva e di business model; oppure sviluppare una strategia fondamentalmente di tipo quantitativo? Orientata cioè all’acquisizione di market share, con capacità di gestione di economie di scala, eccellenza nella logistica distributiva facendo tutt’al più parte di ‘ecosistemi di offerta’ nei quali però il rapporto strategico (qualitativo) con l’utente è gestito da altri fornitori (pochi) che hanno la capacità di dare vero supporto al business del cliente. E’ una scelta da fare. Portare avanti, come avviene oggi per alcune imprese, una duplice strategia, potrebbe essere molto pericoloso. E non contribuire, aggiungiamo noi, a quella chiarezza nei rapporti tra utenti e fornitori solo dalla quale potrà passare quella maturazione (e aumento di spesa) che ci si attende anche dalle nostre imprese dopo questi anni di difficoltà.

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