Sono passati più di 20 anni dalla nascita del Design Thinking (DT) che nel frattempo si è diffuso nella pratica aziendale, nella formazione e nella ricerca, come metodologia di problem solving creativo, caratterizzata dalla centralità dell’utente. Queste caratteristiche ne rappresentano anche i principali limiti come lo “userismo” (l’eccessiva focalizzazione sull’utente tanto da perdere il senso del contesto) e la difficoltà di promuovere i grandi cambiamenti che oggi il business e la società devono affrontare.
Perché in uno scenario VUCA (volatile, incerto, complesso, ambiguo) dobbiamo occuparci di futuro? È questo lo stimolo lanciato da Francesco Zurlo, Preside della Scuola del Design del Politecnico di Milano. Non si fa attendere la risposta di Beatrice d’Ippolito, Professor in strategic business and innovation, School of business and Society, University of York (UK), che indica la necessità di indurre i decision maker e chi si occupa di strategia a formulare diversi scenari per il futuro. “Pensare a un solo scenario condanna le organizzazioni al declino”, afferma. Occuparci di futuro significa esplicitare quanto gli investimenti in DT e in tecnologia influiscano sulle performance e porre la necessità di innovazione organizzativa. “Le organizzazioni devono cambiare per poter utilizzare il ruolo generativo delle tecnologie e devono imparare a gestire anche gli effetti che disturbano o creano esiti imprevisti in un’ottica di creative destruction”, aggiunge.
Uno sguardo rivolto all’orizzonte
L’idea di futuro è parte integrante del mondo del Nord Europa, dove opera Luca Simeone, Professor in interaction and service design, Aalborg University, che si muove fra Malmoe (Svezia) e Copenaghen (Danimarca). “Qui i giovani designer sono interessati a lavorare in organizzazioni dove sia possibile sviluppare progetti che generino risultati non tanto nel breve termine ma negli anni”, precisa, domandandosi al tempo stesso se i designer siano attrezzati per gestire le possibili conseguenze indesiderate e impreviste di un progetto a lungo termine. “E le organizzazioni sono pronte ad affrontare un futuro sfaccettato?”, incalza Zurlo.
Nella visione di un’organizzazione che cresce e si trasforma come un organismo vivente, tipica delle teorie economiche evoluzionistiche che d’Ippolito condivide, l’obiettivo non è tanto la mera sopravvivenza quanto una visione anticipatoria. Un esempio di questa visione è, a suo parere, incarnato dalla BBC che nella sua storia si è trasformata continuamente. Più recentemente, ha realizzato dal 2010 una piattaforma digitale che ne ha supportato la crescita, nonostante le limitazioni derivanti dall’essere azienda pubblica.
“Non solo è stata capace di anticipare i desideri degli utenti ma ha dettato le regole” sostiene. “La sua Blu Room è l’occhio rivolto al futuro, un laboratorio dove si accolgono le nuove tecnologie per farne show case”.
Sempre dal Nord Europa arriva la suggestione del Future Thinking, con dipartimenti dedicati nelle principali agenzie e corsi nelle università. “La tecnica offre strumenti per disegnare questi futuri, ma c’è il rischio che anche il Future thinking venga affrontato in modo superficiale, con corsi di poche ore come è accaduto con il design thinking”.
Un laboratorio per progettare il futuro
Per dare concretezza alla capacità di affrontare il futuro, l’Osservatorio ha realizzato un laboratorio per comparare i modi in cui i diversi futuri possono essere immaginati e poi realizzati, cercando di valutarne le ricadute. Sono stati messi a confronto tre approcci che, dal primo al terzo, perdono robustezza (ottenuta intercettando segnali di cambiamento già presenti) a favore della crescente capacità di dare peso a valori “desiderabili”:
1) Foresight adotta un approccio strutturato che parte dall’analisi dei trend e dei driver rilevati, per disegnare scenari futuri, indicandone le probabilità.
2) Entrepreneurship design vede nell’imprenditorialità una forma di design; interpreta le imperfezioni di mercato e i disallineamenti fra le richieste della società e quanto il mondo delle imprese offre come opportunità per creare nuovi prodotti, servizi, attività.
3) Discursive design interpreta la progettazione come processo sociale che implica dialogo e negoziazione fra progettisti, stakeholder e utenti, con spirito spesso provocatorio per comprendere se il possibile futuro sia davvero desiderabile agli occhi della società.
Nel lavoro, largamente sperimentale, si sono impegnati oltre 120 designer che hanno progettato 18 futuri, poi collocati in una matrice per valutare in una dimensione l’impatto del cambiamento in termini di domini (società e tecnologia) e nell’altra dimensione la visibilità del cambiamento (più puntuale o diffuso).
L’approccio foresight (rosso) comporta molti più cambiamenti nel dominio della tecnologia mentre è bilanciato fra diffusione e puntualità. L’approccio entrepreneurship as design (azzurro) non si concentra in un’area precisa, conseguenza anche del fatto che chi ha progettato quei futuri fa leva sulle imperfezioni del mercato. Il discursive design (giallo) ricade più sul dominio socioculturale ed è caratterizzato da discontinuità, conseguenza del dibattito profondo e della discussione critica.
I 18 scenari realizzati (che hanno avuto come tema il futuro dell’industria alimentare) sono stati oggetto di oltre 340 valutazioni per rilevare le differenze in termini di plausibilità, innovazione, senso per le persone, desiderabilità.
Dalle valutazioni emerge lo stesso livello di plausibility per i tre approcci, mentre emergono differenze sulla desirability, dove il foresight risulta inferiore rispetto agli altri due scenari.
Un secondo laboratorio si è occupato di capire come implementare il futuro, attraverso un transformation program, con iniziative in quattro ambiti di un’ipotetica azienda: persone, processi organizzativi, spazi, welfare. Anche in questo caso i progetti sono stati sottoposti a verifica in termini di strategic fit, ossia la capacità del tranformation program di allinearsi con la visione dell’organizzazione e i suoi obiettivi di innovazione, e di bilanciamento fra il futuro progettato dell’organizzazione e lo stato attuale delle sue operations.
L’evoluzione del DT sta muovendo i primi passi verso un ruolo attivo nella costruzione del futuro e dei futuri. Ma ci sono ancora tanta necessità e spazio per la sperimentazione.