Devo Lab: tecnologia… quanto basta

Il laboratorio di Sda Bocconi si pone l’obiettivo di comprendere l’impatto economico – organizzativo delle tecnologie digitali nelle aziende in Italia per fornire ai c-level una corretta chiave interpretativa del fenomeno della digital transformation, calato nello specifico contesto nel quale essi operano

Pubblicato il 30 Mar 2016

Think tank, laboratorio di ricerca, luogo di condivisione di conoscenza. Devo Lab di Sda Bocconi è le tre cose insieme per raggiungere un unico obiettivo: sensibilizzare i C-level non tecnologici e aiutarli a comprendere l’impatto economico-organizzativo delle tecnologie sulle proprie aziende, considerando lo specifico contesto nel quale operano.

Gianluigi Castelli (a sinistra), Sda Professor of Management Information Systems di Sda Bocconi School of Management e Devo Lab Director, e Severino Meregalli, Sda Professor of Information Systems Management e Coordinatore Scientifico di Devo Lab

Quest’ultimo è un elemento basilare del progetto, perché il tema della digital transformation e del suo impatto sulle imprese è uno dei più dibattuti (e inflazionati) degli ultimi due anni, “ma poi facciamo sempre i soliti esempi, da Airbnb a Uber, mentre manca una seria analisi economica e sociale del contesto, correlato alle tematiche della digital transformation, nel quale le aziende italiane lavorano”, spiega Gianluigi Castelli, che dopo essere stato Group Cio di realtà del calibro di Fiat, Vodafone e, infine, Eni è oggi Sda Professor of Management Information Systems di Sda Bocconi School of Management e Devo Lab Director. E prosegue con un esempio tanto semplice quanto emblematico: “Ci si stupisce che in Italia l’e-commerce abbia una diffusione molto al di sotto della media europea e si attribuisce questo dato ai timori degli italiani nell’utilizzo della carta di credito online. Ma non è questo il problema: ci si è chiesti come fa un italiano medio, una volta svolta l’operazione online, ad entrare in possesso del prodotto acquistato quando gli orari di consegna coincidono con quelli di lavoro e la maggior parte delle abitazioni è senza portineria?”. Anche attraverso queste riflessioni si devono poter compiere scelte di innovazione digitale dei modelli di business.

Contemporaneamente sta passando il messaggio che se non digitalizzi tutto e subito sei destinato a scomparire in brevissimo tempo. “Il nostro obiettivo è invece quello di non lavorare sull’innamoramento tecnologico in sé e per sé, ma di smorzare sia i picchi di entusiasmo sia gli abissi della delusione nei confronti delle tecnologie”, aggiunge Severino Meregalli, Sda Professor of Information Systems Management e Coordinatore Scientifico di Devo Lab, che prosegue: “L’idea che ha generato Devo Lab è proprio mettere insieme la dimensione tecnologica, considerandone sia il grado di maturità sia la capacità di creare/distruggere valore, con quella organizzativa aziendale e il contesto normativo, settoriale, economico. Il tutto per dare al board dei parametri di riferimento che lo mettano in stato di massima allerta se la mancata adozione di una determinata tecnologia mette a repentaglio il suo business, ma che gli consentano anche di pianificare con maggiore tranquillità una eventuale implementazione se il pericolo è ancora molto lontano”. Ma questo non rischia di essere un approccio conservativo? “Assolutamente no – è l’appassionata risposta di Castelli – oggi mainstream è proprio seguire la moda della digitalizzazione ad ogni costo; quello che stiamo facendo, in realtà, è assumerci un rischio molto maggiore del ‘me too’ di chi segue le mode tecnologiche. Noi andiamo veramente a vedere cosa significa l’utilizzo di una determinata tecnologia e indirizziamo il board di conseguenza: tecnologia quanto basta, questo potrebbe essere il nostro motto”.

High impact technology radar

Obiettivo del Devo Lab: colmare il gap tra le tecnologie e il loro impatto sul business e la creazione di valore – Fonte: Devo Lab di Sda Bocconi

Obiettivo ambizioso quello di Devo Lab, che per esteso significa Digital Enterprise Value & Organization. Come è dunque strutturato per raggiungerlo e quali sono gli strumenti dei quali si è dotato?

Partiamo dagli strumenti. Abbiamo detto che Devo Lab è un laboratorio di ricerca e l’identificazione di una metodologia e degli strumenti per sviluppare ricerche destinate a soddisfare l’obiettivo iniziale ha rappresentato sicuramente il lavoro più complesso dei primi mesi di vita del laboratorio (che è operativo da ottobre, ma la cui attività progettuale è partita agli inizi dello scorso anno): “Dopo una verifica approfondita degli strumenti disponibili sul mercato, abbiamo deciso di costruire un radar tecnologico, Hit Radar (High Impact Technology), dove mappiamo le tecnologie per settore di industria, il cui destinatario è il board, non solo il Cio come avviene oggi per la maggior parte dei radar tecnologici”, spiega Castelli. Ogni spicchio del radar rappresenta un settore industriale e al centro vi è il board: quanto più una tecnologia si avvicina al centro, tanto maggiore è l’interesse che il board vi deve porre. Ma non è un radar a una sola dimensione: “Non ci limitiamo a posizionare le tecnologie rispetto al centro, ma diamo anche l’idea della velocità di avvicinamento, che aiuta a capire il tasso di urgenza, e di allontanamento, perché talvolta queste tecnologie sono meteore che evaporano rapidamente”, aggiunge Meregalli. Un lavoro di questo tipo implica una profonda conoscenza dell’evoluzione tecnologica in tutti i settori e questa è una competenza che sicuramente Sda Bocconi da sola non può avere: “Per questo abbiamo siglato un accordo con il Mit-Massachusetts Institute of Technology di Boston che rappresenta il nostro partner sul fronte delle tecnologie”, precisa il Direttore.

Ma come viene definito quell’insieme complesso di parametri che consentono di posizionare l’impatto di una determinata tecnologia all’interno dell’Hit Radar nello specifico contesto italiano? La risposta viene dalla struttura stessa del Devo Lab e da quel suo essere think tank e luogo di condivisione di conoscenza: “Il nostro primo impegno – spiega Meregalli – è stato quello di riunire all’interno della struttura figure professionali di alto profilo, sia tecnologico sia a livello di line of business, di aziende della domanda e dell’offerta”. Attualmente Devo Lab è composto da circa 25 membri tra i quali si trovano i principali rappresentanti dell’offerta Ict e alcune grandi aziende della domanda (soprattutto utility). “I parametri – prosegue Meregalli – riguardano la creazione di nuovi business o la distruzione di quelli esistenti, l’incremento marginale di fatturato, la creazione di fatturato per attività che prima non esistevano, l’impatto sui modelli operativi delle aziende, sull’occupazione ecc. La distanza dal centro del radar di una determinata tecnologia è un insieme di molte dimensioni che tutti i membri di Devo Lab contribuiscono a definire insieme ad altre fonti: dalla ricerca accademica, agli analisti di mercato e finanziari, a centri di ricerca specifici”.

Oltre ai gruppi di lavoro che si occupano della definizione e monitoraggio dell’Hit Radar, Devo Lab organizza alcuni eventi che indirizzano ulteriormente questa sua anima di think tank: Devo Guerrilla Meetings, momenti di discussione proposti dai membri fondatori all’interno del network; Devo Challenge, approfondimenti su specifici topic della digital transformation; Devo Talks, incontri con guru su temi tecnologici o economico-organizzativi; Devo Demo, demo di tecnologie ancora in fase di sperimentazione. Infine viene realizzata una ricerca monotematica annuale con un’analisi dell’impatto sia a livello macro economico, quindi sul sistema Paese, sia a livello micro economico, quindi sulle aziende.

Rilettura dei fenomeni disruptive

A conclusione dell’incontro chiediamo a Castelli e Meregalli una loro prima valutazione sul livello culturale di disponibilità del management italiano ad affrontare queste tematiche. È il Direttore a rispondere: “In questi mesi di lavoro abbiamo incontrato il top management delle principali aziende italiane e sul fatto che si debba agire, tutti sono consapevoli. Il senso di urgenza c’è”. Il punto è che questa consapevolezza sia correttamente indirizzata: “In alcuni casi, soprattutto in aziende di grandissima complessità, si corre il rischio di agire solo sulla parte visibile, quasi si corresse per vincere un distintivo ‘ sono digitale’, – dice ironicamente Castelli – lasciando in secondo piano il substrato dei processi. Non vedo ancora un grande ridisegno dei processi”. Interviene anche Meregalli con un’ulteriore precisazione: “L’approccio al digitale per un’azienda ‘brick’ non è semplice; bisogna valutare attentamente cosa vado a digitalizzare, qual è il valore che acquisisco con questo intervento e qual è il valore che eventualmente perdo sul fronte del business tradizionale. Quello su cui poniamo grande attenzione è una rilettura dei cosiddetti fenomeni disruptive alla luce di una domanda molto semplice: improntando tutto o parte del mio business sul digital, magari creo nuovo valore, ma qual è l’impatto sul business tradizionale? Perché è facile parlare di digital quando sono un’azienda nuova, senza alcun legacy, la vera complessità è l’equilibrio nella trasformazione di un’azienda tradizionale”, conclude il Coordinatore Scientifico.

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