Di cappa e spada

E allora cosa vogliamo fare? Affrontare la sfida o aspettare fermi e vulnerabili?
Che l’economia italiana stesse attraversando un momento difficile si sapeva. I dati ufficiali Istat relativi alle rilevazioni del primo trimestre 2005, con una perdita tecnicamente da recessione dello 0,5% per il nostro Paese, lo hanno confermato.

Pubblicato il 02 Giu 2005

E allora cosa vogliamo fare? Affrontare la sfida o aspettare fermi e vulnerabili?
Che l’economia italiana stesse attraversando un momento difficile si sapeva. I dati ufficiali Istat relativi alle rilevazioni del primo trimestre 2005, con una perdita tecnicamente da recessione dello 0,5% per il nostro Paese, lo hanno confermato. Anzi un po’ più nel dettaglio dobbiamo anche tener conto di un altro dato, altrettanto allarmante, relativo alla produzione industriale italiana: terzo calo consecutivo su base annua, con un pesante – 5,2% registrato sempre nel primo trimestre 2005. L’Ocse, attraverso la persona di Alexandra Bibbee, senior economist responsabile per l’Italia, ha ufficialmente dichiarato che “il risultato italiano previsto per l’intero anno sarà intorno allo zero o addirittura in campo negativo”.
Si tratta di una peculiarità italiana che va però ad inserirsi in un quadro europeo, è bene sottolineare, non certo esaltante; anzi. Notizie preoccupanti arrivano anche dalla Commissione Ue, la quale prevede che la crescita dell’economia della zona euro sarà scarsa anche per quest’anno. Nelle stime, infatti, il Pil crescerà nel secondo e terzo trimestre da un minimo dello 0,2% a un massimo dello 0,6%.
Risultati a sorpresa? No. Se ci pensate bene è tutto regolare, tutto previsto.
La macro economia assegna infatti ormai da tempo all’Europa il ruolo di mercato maturo dove più che il grande sviluppo sarà strategica per le imprese le capacità di ottimizzare e flessibilizzarsi per rispondere adeguatamente ad una variabilità della domanda ma soprattutto cogliere le opportunità emergenti sui mercati, Asia e India su tutti, dove il Pil viaggia a ritmi tra il 7 e il 9%.
E’ indubbio però che l’Italia sia, in questo momento, sotto i riflettori, perché ad esempio nazioni come Inghilterra e Spagna, stanno, nonostante tutto, mostrando segnali di una certa vitalità economica che da noi mancano. I nostri risultati, piuttosto, partono da lontano né si è riusciti, nell’ultimo periodo, a cogliere fino in fondo la portata dei cambiamenti in atto.
L’Italia non ha saputo, almeno negli ultimi due decenni, intervenire sul piano strutturale e di politica economica, con l’adeguata vision che avrebbe dovuto invece contraddistinguere l’azione di uno dei sette paesi più industrializzati del mondo. Cerchiamo di non dare, molto italianamente, la colpa all’euro, alla guerra in Irak o alla Cina. Alcuni sono infatti fenomeni ampiamente previsti, altri come le guerre (lontane dai nostri paesi occidentali) e il terrorismo non dovrebbero essere più di tanto in grado di scalfire, pur con il senso di incertezza e pessimismo che portano con sé, economie forti e soprattutto lungimiranti.
Il tempo per trasformare questa situazione difficile in opportunità c’è ancora. Non dobbiamo però affidarci soltanto alla “fantasia italiana”. A questa storia ormai non crede più nessuno. Dobbiamo piuttosto, attraverso un’azione politica ed economica chiara e tempestiva, entrare a far parte dell’attuale processo di ripensamento globale delle economie evolute (e non esserne ai margini), accettando la sfida di una competizione con nuovi, più forti ma altamente promettenti mercati. Come? Certo l’azione è complessa e le ricette molteplici, né tantomeno pretendiamo di avere la soluzione. Senz’altro però servirà intervenire da un lato sulla crescita di efficienza e di “contesto” in cui si muovono le imprese (attraverso nuova fiscalità, erogazione del credito-aggiornamento delle regole del sistema bancario, sviluppo infrastrutturale, lotta ad un’evasione da riportare a livelli europei, incentivi ai consumi, risparmio e recupero di efficienza dell’amministrazione pubblica). Ma soprattutto, dall’altro, individuando e finanziando un percorso di innovazione, a tutti i livelli e per quei settori di impresa individuati come strategici, che ci consenta di “reggere il confronto”, dire la nostra come Paese, sul nuovo scacchiere economico mondiale che va delineandosi.
Pertinente, a questo ultimo punto, è riportare alcune considerazioni che fa Federico Rampini nell’introduzione del suo ultimo libro “Il secolo cinese – storie di uomini, città e denaro dalla fabbrica del mondo” – Edizioni Mondadori. Secondo la banca americana Goldman Sachs, si scrive nel libro, nel giro di trent’anni l’economia cinese sarà tre volte maggiore di quella degli Stati Uniti. Per le sue dimensioni, la numerosità di popolazione e la millenaria cultura del paese, il peso e il condizionamento globale della Cina nel panorama economico mondiale sarà di parecchio superiore a quello avuto dall’America nell’economia occidentale durante il scorso secolo. E infine: “Ben presto – scrive Rampini – quel club dei paesi ricchi che è oggi il G7 sembrerà un’anacronistica finzione. Le sorti dell’economia mondiale – le nostre – verranno negoziate più semplicemente all’interno di un G2, fra America e Cina. Vista da Pechino, l’Italia è una miniatura: la nostra popolazione è la metà di una provincia cinese, come lo Henan o lo Shandong….”
A questo punto non ci resta che tornare alla domanda iniziale: affrontiamo la sfida o stiamo fermi? In risposta avremmo, come ZeroUno, davvero un lungo elenco di nomi di imprese italiane che hanno già accettato di misurarsi con una competizione sempre più forte e globale. In tutte queste aziende l’Ict è l’abilitatore di ogni strategia. E’ in queste realtà che si “respira” la voglia di misurarsi, di sostenere una nuova competizione. Ed è sempre in queste imprese che si stanno compiendo percorsi di evoluzione professionale interessanti. Ci stiamo domandando oggi in Italia quale sarà il ruolo del Cio (vedi a questo proposito, nel dettaglio, cosa rispondono alcuni Cio italiani nella nostra Storia di copertina)? E’ un dibattito che, se a lungo protratto, rischia di essere “stucchevole”. Il Cio sarà una delle figure chiave di questo cambiamento, posto che anch’esso accetti di misurarsi con un’evoluzione di ruolo e di funzioni così come hanno fatto i suoi predecessori negli ultimi 20 anni, diventando la figura professionale che sono oggi, profondamente diversa da quella del passato.
In questa situazione di fibrillazione economica è sbagliato aver paura; le opportunità competitive possono rivelarsi formidabili come, non sapendole cogliere, devastanti per imprese, persone e sistemi-Paese.
L’intuizione, l’apertura mentale e il coraggio sono componenti base per questa nuova competizione; ma l’informatica (sono decenni che aspettiamo questo “glorioso momento”) è la “cappa e la spada” con cui affrontare la sfida. Un po’ di coraggio!

I sondaggi di ZeroUnoweb.it

Fonte: ZeroUnoweb.it

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