L’incontro per la presentazione della survey di Nextvalue (società di ricerca focalizzata sui temi It e New Media), svolta in collaborazione con la community Cionet Italia, sulla Digital Trasformation nel nostro paese è stata l’occasione per fare il punto sullo stato di avanzamento del processo di digitalizzazione in particolare nelle medio grandi imprese italiane e fare emergere le criticità che stanno frenando il cambiamento.
La ricerca (180 manager intervistati) registra una ormai estesa consapevolezza dell’importanza di una evoluzione in chiave digitale come fattore di sviluppo: l’80% del panel ritiene che questa sarà un elemento critico di successo nei prossimi due anni e il 61% pensa che la strategia digitale sia foriera di vantaggi competitivi per l’impresa; ma Alfredo Gatti, Managing Partner di Nextvalue e Managing Director di Cionet Italia, che ha presentato i risultati, fa subito notare come una simile presa di coscienza, seppur preziosa, spesso non basti: “Circola ancora l’idea che questo processo di trasformazione si autosostenga. Al contrario, va guidato: l’azienda non sta digitalizzandosi solo perché tutti hanno in tasca uno smartphone. Servono strategie condivise che coinvolgano tutte le aree aziendali”. Una riflessione che richiama un altro tema centrale, quello della mancanza di collaborazione tra le figure chiave che possono abilitare il cambiamento: “Per il 36% del panel le business unit continuano a operare a silos”, fa notare Gatti, che quindi elenca, tra gli elementi che la ricerca fa emergere come freni alla digitalizzazione, i budget insufficienti (44%) e la difficoltà di reperire risorse con skill adeguati (31%): “Hr e Cio sono ben allineati su quello di cui avrebbero bisogno”, commenta Gatti, che prosegue: “La difficoltà è proprio quella di trovare sul mercato le competenze che servono”. C’è però ottimismo: nonostante le difficoltà, il 54% degli intervistati pensa che la propria impresa abbia il passo giusto per sostenere il cambiamento, il 58% dice che ha già, o sta implementando, un sistema di misurazione per verificare i progressi nel processo di digitalizzazione e il 28% ha attive delle politiche di incentivazione per premiare i successi dei team dedicati.
Offre una sintesi interessante dei risultati la figura 1. Le aziende vengono divise in 4 categorie in base a due criteri: su un’asse si misura la disponibilità di tecnologie, l’efficienza dei processi operativi legati ai progetti di digitalizzazione e la disponibilità di persone preparate; sull’altro asse, l’elaborazione di una strategia complessiva: se molti (42%) sono i “tardivi digitali” purtroppo ancora immobili, esiste un 13% di imprese definibili “leader digitali”: forti su tutti i piani, sono aziende con una strategia precisa già avviata e applicata con successo e una roadmap operativa che coinvolge tutti i livelli aziendali. Sono loro che aprono la strada ai “follower digitali” (38%), quelle realtà che, seppure in ritardo, si stanno impegnando a definire un’agenda e una strategia operativa (ma non sono ancora attrezzate per applicarla).
Resta un 7% di “scommettitori”, imprese che hanno portato avanti progetti singoli senza avere una strategia complessiva; “Un percorso con poco futuro – dice Gatti di questi ultimi – Ma il maggiore errore resta l’immobilismo. Ormai non si può scegliere di aspettare e pensare di vedere cosa succede agli altri prima di muoversi. Non ce lo possiamo più permettere”.