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Digital360 Awards e CIOSumm.IT: focus su dati e AI al servizio della sanità

Ospite d’onore della 3° tappa autunnale, realizzata in collaborazione con Aused, del percorso Digital360 Awards – CIOSumm.IT è Giovanni Valbusa che ha spiegato come le immense quantità di dati rendono lo scenario sanitario sempre più complesso: un mare magnum di informazioni che vanno usate, ovviamente, nel modo più efficiente ed efficace possibile. E che stimolano l’uso di qualcosa che già c’è, e va solo sfruttato: “L’Intelligenza artificiale”

Pubblicato il 09 Nov 2020

foto Valbusa

“La misura della tua apertura mentale è data da quanto ti senti a tuo agio con il paradosso”. Tornano alla mente le parole di Deepak Chopra, lo scrittore new age indiano, in questo strano presente. Mentre il mondo affronta un dramma di proporzioni profonde, la sua stessa resilienza lo spinge a ripensarsi al meglio. A diventare quel che da tempo avrebbe voluto essere. In quella globale debolezza che è la pandemia da Covid, è proprio qui che le imprese danno forza alla loro rinascita: è il tempo dell’innovazione che non c’era. Delle strategie concrete, non più delle sole parole. Nel nuovo appuntamento del percorso comune Digital360Awards e CIO.Summ.IT, andato online mercoledì con la collaborazione, questa volta, di Aused, è questo il paradosso ottimista emerso dalle voci in campo. E la percezione del domani, pure nei giorni difficili della nuova ondata, ne è uscita più forte di quanto si riuscisse a immaginare.

Per dirla con le parole di Patrizia Fabbri, direttore di ZeroUno, che ha fatto come di consueto da padrona di casa nella tavola rotonda del digital event, se non fosse per quattro pilastri il domani poggerebbe sul nulla. Flessibilità delle infrastrutture, uso dei dati, cambio di mentalità, sicurezza: senza queste colonne, non si intravede spazio per le mentalità vincenti. Eppure l’ottimismo non basta: affrontare le difficoltà resta una sfida quotidiana.

Giovanni Valbusa: per la salute i dati fanno la differenza

Il keynote di Giovanni Valbusa, Digital innovation manager di Bracco Imaging, voce del mondo R&S in ambito Covid-19, ha dato prova proprio di questo. E prima di dare voce alle imprese protagoniste di quell’innovazione che guarda avanti (durante l’evento è stata votata la seconda tranche dei 37 progetti dei Digital360 Awards, dopo la prima votata lo scorso 12 ottobre e in attesa dell’ultima in dicembre), ha chiarito alla platea di CIO quanto in fondo sia complesso oggi dare corpo alle intuizioni rese possibili dalla dirompenza dell’IT.

Reduce da una lunga esperienza in ambito biomedico, con costanti applicazioni degli approcci data driven e l’utilizzo di machine learning, Valbusa ha raccontato un mondo che cambia. “La medicina moderna – ha spiegato – non è più quella di una volta: un tempo la persona arrivava in ospedale con sintomi specifici e chiedeva ai medici di essere guarita. Spesso, in ritardo. Oggi la medicina è invece quella delle quattro P: predittiva, personalizzata, partecipativa, preventiva. In altre parole, si sta trasformando in un sistema capace di intercettare il paziente in una fase precoce, tale per cui l’intervento può essere tempestivo e minimamente invasivo. Un sistema che può capire come evolverà la malattia e se sia necessario istituire un meccanismo di sorveglianza attiva, senza impattare sulla qualità della vita”.

Una rivoluzione? Senza dubbio. Ma è solo il primo passo. Perché quel che sta davvero cambiando il volto della medicina è un universo tutto da esplorare: “La grande novità – ha chiarito Valbusa, che nella diretta era affiancato dal CIO di Bracco e presidente Aused, Andrea Provinista nei dati. Le immense quantità di dati che rendono lo scenario sanitario sempre più complesso: da quelli genomici ai proteomici, sino ai demografici e, ecco il mio pane, le immagini”. Un mare magnum di informazioni che vanno usate, ovviamente, nel modo più efficiente ed efficace possibile. E che stimolano l’uso di qualcosa che già c’è, e va solo sfruttato: “L’Intelligenza artificiale”.

Quel che Giovanni Valbusa ha spiegato, in sostanza, è che i big data possono realmente cambiare la vita di tutti noi. “Pensiamo alla scorsa primavera, quando il Centro diagnostico italiano ha dato il via con sei ospedali a una raccolta dati di pazienti ricoverati per positività al Covid-19. L’obiettivo era riunire informazioni di diverso tipo, dai dati clinici alle radiografie polmonari, far processare tutto questo a sistemi di machine learning e AI e arrivare così a creare un modello predittivo che potesse aiutare a definire il possibile decorso della malattia”. Non poco, in uno scenario critico proprio per la scarsità di risorse infrastrutturali. Ma il ragionamento potrebbe essere esteso a ogni declinazione del mondo medico: “Dato che le immagini generate negli ospedali oggi sono totalmente digitalizzate, questo significa anche che sono trattabili in modo quantitativo – ha puntualizzato Valbusa -. Ecco allora che l’Intelligenza artificiale può intervenire su di esse con metodi complessi e arrivare a fare cose impensate”.

Indagini biomediche: le immense opportunità del deep learning

In realtà, che le possibilità spalancate dal deep learning siano impensate è cosa che si potrebbe dire di ogni ambito. Le capacità di riconoscimento delle immagini, arrivate nel caso del database Imaginet a percentuali di errore sovrumane (l’uomo si ferma a un 5%, ma le macchine sanno fare anche di meglio, davanti al milione e 200mila immagini dello stock), ne sono un esempio. Così come le abilità di analisi del linguaggio naturale, che hanno spinto addirittura il Guardian a tentare l’esperimento di un articolo scritto direttamente dal computer, con risultati più che apprezzabili. Ma in ambito biomedico forse si gioca la partita più importante. “Qui il deep learning può andare direttamente a cercare lesioni – ha fatto notare Valbusa -, perché il radiologo si trova davanti a volte a ricerche difficili e a quantità di immagini sempre più grandi. Ma l’AI, che proprio nelle grandi quantità di dati trova la sua forza, può anche fare pre-screening e dire al medico dove andare ad indagare. E può scontornare le lesioni in modo esatto, con una precisione che sfugge all’essere umano. In ultimo, può potenzialmente arrivare alla frontiera definitiva, la diagnostica automatica. E dire da sola che tipo di patologia sia rappresentata nell’immagine, pur con tutte le conseguenze in termini etici e di sicurezza che questo può comportare”.

Che sia l’inizio della fine per il professionista radiologo, o domani, per una buona fetta di umanità medica? La domanda dell’altra padrona di casa, la giornalista di Digital360 Alessandra Zamarra, ha stuzzicato Valbusa nel vivo della questione. Ma la risposta è stata quasi un conforto: “No, e per un motivo semplice: l’invecchiamento della popolazione. La tendenza demografica ci dice che il SSN avrà sempre più bisogno di questi esami per più pazienti. In questo quadro – ha chiarito -, l’AI mitiga solo il problema aiutando il radiologo, che viene messo in condizioni di lavorare meglio in termini di diagnostica e prognostica, ma anche con meno stress”.

Resta allora l’ultima questione, la più concreta nel momento di emergenza che stiamo attraversando. “Un medico interagisce con le soluzioni informatiche che servono al suo lavoro – ha spiegato ancora Valbusa -. Ma questi strumenti non sono fatti per fare Data Analysis”. Ecco dunque il problema: le opportunità ci sono, le competenze anche. Manca un’impalcatura che faccia da orchestra a questi “solisti”. “Utilizzare gli strumenti tipici del radiologo per fare operazioni da data scientist, interrogando database con logiche specifiche o analizzando grandi quantità di immagini, significa mettere le infrastrutture attuali davanti a un peso che non possono sorreggere – ha concluso -. Esiste un solo modo, allora, per lavorare con successo in questo ambito. Intervenire proprio sull’infrastruttura”.

Dalla voce dei CIO: la resilienza non si improvvisa

Il primo pillar citato da Patrizia Fabbri fra gli ingredienti del New Normal, la flessibilità dell’infrastruttura, si è così delineato. Necessario, ma ancora non sufficiente. Perché per essere vincenti nelle difficoltà servono anche altre carte. A metterle sul tavolo sono stati allora i protagonisti della tavola rotonda, raccontando “dal di dentro” come l’IT abbia concretamente sostenuto il business nella criticità della pandemia. E abbia così creato storie di opportunità nella tragicità, nel nome di quel paradosso che solo le “menti aperte” oggi riescono a tenere in pugno.

“Innovare al tempo del Covid per noi ha voluto dire scommettere in modo totale sulla trasformazione, dedicandovi risorse importanti e tentando di recuperare l’inerzia sui nuovi canali digitali – ha spiegato ad esempio Francesco Ciuccarelli, CIO e CTO di Alpitour world -. L’obiettivo è essere pronti, quando arriverà la ripresa, a collegare canali fisici e digitali in modo da essere più vicini ai player. E non è un caso che due dei sei cantieri su cui stiamo lavorando riguardino, rispettivamente, Dati e AI: sono queste le risorse più promettenti per il nostro futuro”.

Per il Gruppo Sapio, attivo nell’ossigenoterapia, l’emergenza Covid ha fin da subito rappresentato un picco del business. Ed è con questo fatto che si è scontrata la riorganizzazione improntata al distanziamento: “Allo stesso tempo ci siamo ritrovati a dover conciliare esigenze diverse e complesse – ha raccontato il CIO Riccardo Salierno -: mettere in smartworking i colleghi in tempo rapidissimo, garantire la continuità del business che stava avendo un picco, e consentire una produzione in presenza a ciclo continuo, cosa che non avevamo mai dovuto affrontare”. In questo caso, gli investimenti fatti nel tempo, in epoche non sospette, si sono rivelati preziosi: “Solo le aziende che hanno avuto una certa lungimiranza su alcuni aspetti, dalla gestione della sicurezza al networking, hanno retto il peso della situazione. Per noi lo smartworking ha rappresentato un passo nuovo, ma grazie alle scelte fatte lo abbiamo sperimentato con successo. E l’obiettivo, sostenuto anche da un sistema di welfare per i dipendenti che stiamo studiando con l’HR, sarà una nuova normalità in remote, con rientri in ufficio in casi eccezionali”.

“Quando è esplosa l’emergenza sanitaria avevamo già iniziato una trasformazione importante verso il cloud e previsto un investimento sul mondo dei dati, sia per la parte sportiva sia per la corporate – ha spiegato Maurizio Bonomi, CIO di AC Milan -. Le nostre esigenze, da azienda piccola ma con un’esposizione mediatica enorme, erano anche e soprattutto di server security”. Il cambiamento era quindi già in programma. Ma i fatti hanno dato un impulso alla transizione: “Si è trattato di un grandissimo cambiamento culturale accelerato – ha aggiunto Bonomi -, estremamente positivo pur nella tragicità del Covid. E l’uso dei collaboration tool è stato al centro di tutto questo, diventando vitale per tutti noi”.

“L’emergenza Covid è paradossalmente, e non volutamente, un’opportunità per fermarsi e ripensarsi – ha chiarito Domenico Alessio, Business developmet director Erp and Epm solution di Oracle, partner dell’iniziativa -. Noi oggi siamo già presenti su infrastrutture, dati e componenti applicative, ma sappiamo che si può andare oltre. La nostra visione è quella di un’integrazione di processi, dati e tecnologie emergenti nelle applicazioni per cogliere al meglio i benefici della trasformazione digitale”.

“Da noi ci sono stati cambiamenti interni sulle tecniche di collaboration, ma la grande rivoluzione si è realizzata con lo smartworking – ha puntualizzato Ivana Borrelli, Head of Marketing 5G e Vertical IoT di Tim, altro partner coinvolto nel digital event -. Auspichiamo però che la stessa crucialità abbiano anche le tecniche di telecontrollo, risultate sensibili e interessanti in questo momento di stress per le strutture ospedaliere: applicazioni studiate non solo per l’ambito medico, ma anche sportivo e wellness, che in futuro potranno aiutare la vita dei pazienti e dei cittadini”.

Flessibilità, sicurezza, velocità, innovazione. Queste le parole su cui si è invece fondato il percorso di resilienza di Westpole, altro partner del percorso verso i Digital360 Awards, rappresentato durante la diretta live dal Sales director Carmine Pietro Scalzi. “Per noi l’emergenza ha significato un massiccio cambio di marcia verso il remote, ma anche un focus costante sulla sicurezza, con attenzione ai dispositivi, all’hardware, all’accesso ai dati, alla compliance e alle persone. Ma ha voluto dire anche innovazione spinta, accelerata verso strumenti di collaboration che si avvalgono anche dell’AI”. “Cosa ci lascerà tutto questo? – ha concluso pragmaticamente – Lo valuteremo solo nel breve e medio periodo”.

In attesa del responso, intanto, il gran finale del percorso Digital360Awards e CIO.SUmm.IT, annunciato in chiusura dal CEO di Digital360 Raffaello Balocco, metterà il suo punto fermo: a dicembre, la proclamazione dei vincitori e un nuovo grande evento, ancora una volta forzatamente in modalità remota, chiuderanno il cerchio di un’avventura che si è dimostrata unica. In senso letterale: perché in questo 2020, non c’è aggettivo che possa descrivere al meglio ogni cosa che va succedendo.

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