Il cloud come driver per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione è citato esplicitamente dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che nelle sue pagine parla di strategia “cloud first” in base alla quale “le Amministrazioni possono scegliere se migrare verso una nuova infrastruttura cloud nazionale all’avanguardia (Polo Strategico Nazionale, PSN) o verso il cloud pubblico affermato che offre il mercato”.
Nonostante questa spinta del Recovery Fund, che dovrebbe accelerare la digital transformation di imprese e Pubblica Amministrazione attraverso il ricorso alla nuvola, permangono resistenze e farraginosità lungo il journey to cloud, che spesso derivano da una normativa contraddittoria o da altri fattori che ne ostacolano un’adozione matura.
Lo sa bene un cloud integrator come WESTPOLE, che da anni offre soluzioni in ambito cloud & managed services e che, non a caso, è impegnato come membro nel progetto Gaia-X, l’associazione che ha l’obiettivo di creare un’infrastruttura federata di servizi cloud a livello europeo.
All’interno della sua offerta, WEMAIND, la piattaforma di Intelligent Business Process Management in versione on-premise e in modalità SaaS (Software as a Service), oggi è ampiamente utilizzata dalle Pubbliche Amministrazioni, in particolare da quelle di tipo sanitario. Ma è sul presidio dell’hybrid e multi-cloud che la società punta per continuare a essere un interlocutore affidabile della PA, come spiega Carmine Scalzi, Direttore Commerciale di WESTPOLE.
Il cloud e i vari bisogni della Pubblica Amministrazione
“Nella Pubblica Amministrazione l’approccio al cloud è sempre stato un po’ difficoltoso e questo a dispetto del fatto che le nostre infrastrutture siano certificate AgID. Se non altro, oggi si è ribaltato il concetto che prima tendeva a ritenere il cloud insicuro, mentre adesso lo si sceglie proprio per cercare di proteggersi meglio da attacchi che è difficile gestire per proprio conto.
La Pubblica Amministrazione, in questo senso, sta vivendo una forte maturazione, perché ha capito che le infrastrutture on-premises sono costose: è costoso manutenerle ed è costoso manutenere il loro know-how. Ha capito, soprattutto, che la sicurezza va affidata a chi se ne occupa per mestiere e non la si può improvvisare” sottolinea Scalzi.
A fronte di una domanda di sicurezza trasversale a qualsiasi realtà, i vari soggetti che appartengono alla PA manifestano bisogni differenti. Gli enti locali, per esempio, per la gestione del contatto con il cittadino necessitano di tecnologie in cui il cloud abiliti la creazione di sportelli digitali, di sistemi di pagamento e, più in generale, di innovazioni che servano a rendere la città sempre più “smart”. Le amministrazioni centrali, da parte loro, sono più orientate a introdurre quei pilastri contemplati dal PNRR in termini di infrastrutture digitali e di piattaforme che consentano l’interoperabilità dei dati tra gli enti pubblici.
Passare da Capex a Opex, una sfida per le istituzioni
Se un merito sta avendo il PNRR nei percorsi di digitalizzazione della PA è quello di togliere l’alibi della mancanza di risorse economiche, che per anni è stato accampato per rimandare la modernizzazione nell’offerta di servizi al cittadino. Ciò non toglie che la disponibilità dei fondi debba fare i conti con un modello di spesa che, nel caso del cloud, si basa sui costi ricorrenti (Opex) e non sugli investimenti una tantum in asset strategici (Capex).
Una modalità che in passato non è stata quasi mai prediletta dalla Pubblica Amministrazione, come ricorda Scalzi: “In Italia si fanno grandi progetti, e questo non vale soltanto per le infrastrutture digitali di cui stiamo discutendo, ma poi si trascura la circostanza che queste infrastrutture vadano manutenute oltre i 3 anni coperti tipicamente da un finanziamento”.
In effetti il nostro paese è pieno di “cattedrali nel deserto” e di impianti mastodontici intorno ai quali l’erba cresce indisturbata. Il cloud, se non altro, pone le premesse per portare benefici dal punto di vista del risparmio e della stabilità dei flussi di cassa, insieme alla migliore qualità e a una maggiore efficacia nei servizi erogati. Per non parlare della cyber security che, come insegnano i tanti attacchi di cui sono stati fatti oggetto le istituzioni, dovrebbe rappresentare ormai una delle priorità all’interno di qualsiasi percorso di digitalizzazione.
L’innovazione auspicabile della PA in tempi normali
La disponibilità di finanziamenti va vista anche con la giusta cautela, poiché rischia di influire su un abbassamento della qualità dell’offerta che neppure la presenza di una società come Consip, da cui transitano i bandi di gara, potrebbe arginare. L’ideale sarebbe che la capacità di valutazione, da parte della Pubblica Amministrazione, andasse di pari passo con il senso civico di imprese aggiudicatrici che non millantino competenze che non hanno.
C’è, infine, un’ulteriore incognita che non bisogna sottovalutare. “Spesso le Pubbliche Amministrazioni realizzano un progetto, compresi quelli di natura innovativa, perché lo impone la normativa e non perché la normativa sia un’opportunità. Da qui la disomogeneità che si riscontra su un territorio in cui non ci sono 20 Regioni ma, come dicono alcuni, 20 nazioni” ricorda il direttore commerciale di WESTPOLE.
Poi ci sono eventi eccezionali come il Covid-19, che contribuiscono a colmare i gap tecnologici tra aree diverse del paese. Basti pensare all’utilizzo dell’app IO mediante cui la Pubblica Amministrazione è stata capace, nel giro di qualche mese, di far arrivare sugli smartphone di milioni di cittadini la documentazione sui tamponi effettuati e i green pass proveniente da qualsiasi parte d’Italia.
L’app IO è un esempio clamoroso delle potenzialità di innovazione che la PA è in grado di mettere in campo, meglio ancora se per farlo non debba attendere un’altra crisi emergenziale. Per questo, Carmine Scalzi si augura in conclusione che “a livello centrale si generi una leadership forte che sappia governare nella normalità questa transizione”. Senza attendere, cioè, la prossima pandemia.