Editoriale

È venuto il momento di passare il testimone

Pubblicato il 31 Mar 2022

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Ho avuto la fortuna di iniziare la mia carriera professionale in quella che è stata la prima casa editrice italiana a occuparsi di informatica, il “mitico” (per chi ha una certa età) Gruppo Editoriale Jackson, e ho la fortuna di chiuderla in quello che penso sia oggi il più grande gruppo italiano di produzione di contenuti tecnologici a supporto della trasformazione digitale delle aziende e della PA, Digital360.

Nel mezzo tante esperienze: alcune molto piacevoli dal punto di vista personale oltre che professionale, come quando nel 2000 decisi di licenziarmi da un “posto sicuro” e molto ben retribuito per iniziare l’attività di freelance, scegliendo una modalità di lavoro che allora ancora non si chiamava “smart”, ma che a me parve subito intelligentissima; altre molto stimolanti, come quella che portò alla nascita di Next Editore quando Stefano Uberti Foppa e Rossana Andreini mi proposero di supportarli nella costruzione di una nuova casa editrice per proseguire la pubblicazione di ZeroUno che il precedente editore aveva deciso di chiudere.

E adesso che, dopo oltre 42 anni di lavoro, da domani sarò a tutti gli effetti in pensione desidero ringraziare tutti coloro che hanno accompagnato questa mia lunga carriera professionale.

Non dico non ci siano stati momenti difficili, ma nel complesso la fortuna è sempre stata dalla mia parte e ho potuto svolgere la professione che fin dall’adolescenza avevo sognato, la giornalista, senza mai pentirmene e, soprattutto, continuando a essere innamorata di questo mestiere. Certo, quando ero quattordicenne, da appassionata divoratrice dei libri di Oriana Fallaci, sognavo di occuparmi di politica estera (da cui la laurea in Scienze Politiche e lo studio del Russo e dell’Arabo… lingue ormai perse nei labirinti di una memoria sempre più fragile), ma il caso mi ha dato la chiave di accesso a un mondo che oggi si sta rivelando centrale per lo sviluppo della Società, un mondo che oggi “è” il mondo perché, nel bene o nel male, non si può prescindere dalla trasformazione digitale.

Tanti temi che mi sono cari da sempre come quelli di uno sviluppo sostenibile o dell’inclusione possono trovare nel digitale una nuova declinazione e un supporto inimmaginabile con gli strumenti del passato. Certo, il digitale può anche aumentare i divari sociali, tra generazioni, tra popoli; così come può essere utilizzato per mistificare la realtà (un esempio per tutti le fake news che, grazie alle tecnologie di intelligenza artificiale, possono arrivare ormai a ingannare anche il lettore più attento); o, ancora, può scatenare guerre cybernetiche i cui effetti non sono meno devastanti delle guerre “tradizionali”.

Rischi enormi che abbiamo il dovere di contrastare riscrivendo un nuovo patto sociale. La risposta non può certo essere luddista: non si evolve distruggendo. E capire come utilizzare le nuove tecnologie digitali per indirizzare una società più equa e più sostenibile mi interessa moltissimo, indipendentemente dal fatto che occuparmi di questi temi non rappresenterà più per me un “lavoro”.

Ma adesso chiudo questo editoriale, prima che mi scappi una lacrimuccia, salutando tutti e facendo un grande “in bocca al lupo” a Marco Schiaffino, che mi succederà nella direzione di ZeroUno.

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