Se uno avesse voglia di andare a sfogliare alcuni tra i principali Global Risks report degli ultimi anni, vi troverebbe, in modo costante, l’avviso di un rischio concreto di pandemia. Oggi ci siamo e naturalmente…siamo impreparati.
Partiamo da questa considerazione per convincerci ormai di un fatto: ognuno di noi, singole persone, imprese, sistemi-Paese, è poco o nulla propenso a un approccio più razionale, basato su un metodo, che consenta la messa a punto di azioni e strategie in stretta connessione con ipotesi di eventi futuri, cosa che sarebbe quanto mai utile in questi tempi di profonde trasformazioni. Ma – direte voi – come è possibile sapere cosa accadrà domani?
Premesso che non stiamo parlando di astrologia, disegnare e attuare scelte e strategie che tengano conto di direttrici future, viene certamente considerato già oggi, ma difficilmente basandosi su un metodo strutturato, applicato all’analisi dettagliata di culture e competenze, organizzazione e processi, scelte tecnologiche. Ci si basa soprattutto su ipotesi di scenari accennati, capacità e risorse sufficienti per la trasformazione, fiuto. Potreste ancora dire: “Un metodo vale l’altro. Sono ragionamenti di sviluppo strategico da tempo insegnati nelle business school e adottati da numerosi istituti di ricerca e di statistica”. E allora forse il vero valore di questo articolo risiede proprio nell’esigenza di stimolare chi legge ad attingere, qui e adesso, a un approccio diverso da quello fino ad oggi attuato, meno empirico, di minore linearità con l’esistente per prevedere il futuro.
Perché adesso? Perché è adesso che il mondo sta cambiando e ha sempre meno senso definire una strategia di continuità con il passato e anche con il presente quando abbiamo la confluenza di elementi di fortissima discontinuità: una digitalizzazione globale, una pandemia in corso destinata a cambiare ogni cosa, una criticità ambientale su cui ci giochiamo il futuro delle prossime generazioni e forse anche la continuità della specie umana. Non vi sembra il caso?
Un approccio sistemico che lavora sul futuro
Abbiamo parlato di queste cose con Stefano Oliveri, membro attivo all’interno del digital innovation hub di Confindustria Belluno Dolomiti, impegnato nello sviluppo di un network di scambi e collaborazioni tra aziende e centri di ricerca e innovazione di Trentino e Friuli Venezia-Giulia, nonché director digital projects in Schneider Electric.
La pandemia è stato l’elemento scatenante da cui un gruppo di alumni della V edizione del Master in Strategic Foresight dell’Università di Trento è partito per applicare un metodo di intelligenza collettiva ad un’analisi della situazione pandemica basato su un approccio sistemico e futuristico. In parole più semplici provare a capire, basandosi su una metodologia che vuole conoscere cosa potrà accadere nel domani, quali contraccolpi ci saranno da questa tragedia Covid-19.
Ma non è questo il punto. Daremo senz’altro alcuni highlight sul tema, ma il focus vero, quello che Oliveri tiene a far emergere è la consapevolezza della necessità, quasi l’urgenza, di applicare nuovi metodi di previsione in rapporto ai cambiamenti in corso, diffondere su questi temi conoscenza, contaminazione e fare rete per promuovere nella società la diffusione di nuove competenze che ci consentano di pensare al futuro (“futures literacy”) con maggiore precisione.
“A partire dalla tanto sbandierata digital transformation, alla messa a punto di strategie di business, fino all’analisi delle prospettive socio-economiche di interi sistemi-paese, manca quasi sempre a monte un’analisi strategica basata sulla capacità di saper lavorare con il futuro per fare scelte consapevoli – dice Oliveri. Il tema è ancora poco conosciuto in Italia mentre nel nord Europa questi concetti sono applicati e vi sono nei vari organismi governativi veri e propri gruppi di studio che si occupano di queste tematiche”. In estrema sintesi, per essere in grado di immaginare cosa potrà accadere in futuro con un discreto grado di precisione, bisogna saper sviluppare nuovi skill basati sulla capacità di pensare in modo sistemico, partendo dal presupposto che il mondo sta diventando sempre più complesso e interdipendente, e che la realtà è formata da sistemi.
La teoria sistemica è nata a Palo Alto negli anni ‘50 come settore di studi a cavallo tra matematica e scienze naturali ed è alla base di diverse discipline come l’automazione, la robotica e la fisica cibernetica. L’obiettivo era proprio quello di integrare scienze rimaste sino a quel momento rigidamente separate sfruttando il concetto di sistema un complesso di elementi che stanno in interazione. Non sono quindi prioritari gli elementi in sé – questo il principio – ma le relazioni e il movimento tra loro, considerando le questioni da diversi punti di vista e integrando tali visioni in un insieme unitario
Questa intercorrelazione determina, come noto, che qualsiasi intervento effettuato in un qualsiasi punto del sistema preso in considerazione (sociale, economico, politico, sanitario, ecc) produce effetti distanti nello spazio e nel tempo che devono essere considerati in una pianificazione seria. “Nel presente esistono già segnali precisi delle future evoluzioni – dice Oliveri. Si tratta di sviluppare quelle capacità che ci consentano di percepire questi segnali e dare loro un senso, scardinando il criterio comune di una società ingabbiata nel presente. Non stiamo quindi parlando di previsioni senza costrutto metodologico e opinabili, ma si tratta di capire come identificare i segnali, ragionare in termini sistemici e provare ad essere consequenziali nell’azione”.
Il gruppo di lavoro ha utilizzato il metodo della Futures Wheel, uno dei tools metodologici codificato nel strategic foresight. È uno strumento che mette al centro l’evento da analizzare per poi scendere nei vari livelli di conseguenze che questo cambiamento provoca.
Applicabile a situazioni diverse, può essere simboleggiato da un sasso lanciato nell’acqua, da cui si generano cerchi concentrici e progressivi, sempre più attenuati man mano che ci si allontana dal centro. Vanno quindi posizionate sul primo cerchio solo quelle conseguenze con un legame molto certo e ben definito con l’elemento che genera la “perturbazione” e sul secondo e sul terzo cerchio le conseguenze che si generano da quelle già individuate, esplorando uno spazio di ipotesi e congetture via via più ampio, più incerto e indefinito. La costruzione di una mappa efficace di analisi strategica deriva soprattutto dalle diversità che si riescono ad aggregare nel gruppo di analisi a seconda della direzione di riferimento che si vorrà focalizzare (coinvolgendo sociologi, economisti, psicologi, tecnologi, climatologi ed esperti ambientali, filosofi, medici, ecc.): “Di oracoli in giro ne vediamo abbastanza: queste analisi dovrebbero invece emergere da un lavoro collettivo. L’approccio individuale ha un valore molto limitato: il presupposto è la forza dell’intelligenza collettiva e che abbia al proprio interno molta diversità – dice Oliveri – Soprattutto in Italia c’è molta reattività all’emergenza e all’emotività e siamo forse più di altri paesi condizionati dai nostri modelli mentali, generati da pregiudizi cognitivi di cui siamo molto spesso inconsapevoli”.
Il “sistema” Covid-19
Sviluppare oggi strategie attingendo a metodi tradizionali, o peggio a sensazioni, significa dare per scontato che il futuro sia quasi sempre una continuità del presente. In questo modo sviluppiamo una strategia considerando solo i problemi di oggi e arriviamo impreparati (come nel caso della pandemia) ai problemi di domani riuscendo ad impostare solo una strategia reattiva ed emergenziale. “Andare nel futuro significa sapere anche dove voglio andare – dice Oliveri – Bisogna prefigurare obiettivi, soluzioni future, direttrici di sviluppo, non soltanto identificare scenari possibili. I segnali devono essere poi costantemente monitorati perchè le cose, in natura, cambiano di continuo e non si può definire una strategia senza tenere conto di questa fluidità”.
Sulla base di questo impianto teorico, il gruppo di studio ha affrontato il tema della pandemia Covid-19 partendo dal presupposto che quanto è accaduto sia frutto di un insieme di concause e di relazioni tra fattori diversi e che il futuro sarà anch’esso determinato da reazioni concatenate e connesse tra loro. Non è quindi possibile ipotizzare soluzioni sulla base di un approccio analitico delle singole parti: “Il sistema può esistere solo se vi sono delle interazioni tra i suoi elementi, e spesso gli interventi efficaci sono quelli che si attivano sulle relazioni del sistema e non sugli elementi in sé” dice Oliveri sintetizzando un approccio che punta a focalizzare soprattutto su come i movimenti delle parti influenzano l’evoluzione del sistema complessivo e su quali punti agire per ottenere l’evoluzione verso gli obiettivi desiderati.
Lo studio ha quindi considerato una serie di elementi per stabilire connessioni e percorsi futuri del fenomeno Covid-19. Tra gli elementi di analisi: la reazione del Sistema Sanitario, l’informazione con l’inevitabile manipolazione e i relativi comportamenti sociali, il Piano per il contenimento dell’epidemia e l’elemento di acceleratore di innovazione legato a quest’ultima; il mutamento delle relazioni sociali, gli effetti del lockdown sull’economia, l’aumento delle disuguaglianze, l’impatto sul welfare sociale e socio-assistenziale, sui migranti e sulle nuove povertà; l’analisi sui comportamenti sociali, le manovre speculative atte a guadagnare sull’emergenza, gli impatti sulla fascia generazionale degli anziani, il contrasto evidente tra Governo e Regioni, le ricadute sul tema della sostenibilità ambientale, insomma un lavoro che identifica le aree critiche di cambiamento che andrebbero adeguatamente approfondite da esperti, decisori e sfera politica.
Volete sapere se il mondo dopo il Covid sarà migliore o peggiore? Bisogna leggere lo studio. Intanto impegniamoci “a costruire il futuro”. Se siamo inadeguati ad affrontare il mondo di oggi non possiamo ripetere lo stesso errore per affrontare quello di domani.