Etica dell’innovazione tecnologica significa innanzitutto identificare la ragione fondamentale per cui un’organizzazione decide di fare un progetto. Interrogarsi sul perché fare innovazione evita di perdersi nel labirinto delle infinite possibilità tecnologiche e applicative, specialmente quelle esponenziali e dirompenti come l’AI.
Applicando il concetto del Golden Circle di Simon Sinek, consulente motivazionale e saggista che sottolinea l’importanza di partire sempre dal perché nelle strategie di leadership e innovazione, i CIO possono delineare una direzione chiara e strategica. Questo approccio aiuta a definire con precisione cosa sviluppare e come scaricare a terra un progetto, pianificando il change management e le necessarie attività di informazione e formazione nel modo più corretto.
“Il purpose supera gli obiettivi di profitto o i risultati a breve termine – ha spiegato Benedetta Giovanola, professoressa ordinaria di filosofia morale e titolare della Cattedra Jean Monnet EDIT, Università di Macerata sul palco del Digital360 Awards e CIOsumm.IT 2024 a Lazise, organizzato da Digital360 e Aused -. La domanda sull’innovazione tecnologica non può prescindere dalla domanda sul perché la vogliamo fare e dove investire per farla. Chiedersi perché significa individuare quello che è il fine di ciò che noi facciamo e solo una volta che abbiamo individuato la risposta possiamo in modo coerente, capire come farlo e quali sono i processi che ci consentono di raggiungere il fine prestabilito. In un contesto aziendale o tecnologico, definire un purpose chiaro garantisce anche che le strategie e le innovazioni siano coerenti con valori etici e obiettivi di lungo termine, arrivando a rappresentare l’aspirazione suprema che ispira e motiva verso traguardi che possano avere un impatto positivo e duraturo nel mondo”.
Il purpose come bussola dell’innovazione
Il principale compito dei CIO è portare avanti progetti di trasformazione attraverso l’uso di tecnologie e metodologie. Oggi, di fronte all’onda montante degli agenti AI, capaci di operare in maniera autonoma nel quotidiano delle organizzazioni, parlare di etica dell’innovazione aiuta a orientare la bussola. Perché investire nell’innovazione tecnologica? Quali obiettivi autentici vogliamo raggiungere con essa?
“Le risposte possono essere molteplici: incrementare la produttività, potenziare la competitività, aumentare i profitti – ha proseguito Giovanola -. Oppure potremmo aspirare a migliorare le condizioni lavorative, rendendo i processi operativi più organizzati e le relazioni più semplici e fluide. L’innovazione può anche essere vista come un mezzo per costruire le fondamenta di una società migliore, puntando a obiettivi di sostenibilità ambientale. Trovare il purpose ci aiuta a comprendere il fine ultimo delle nostre azioni, che diventa il filo conduttore delle nostre iniziative. Tuttavia, identificare e orientarsi verso un purpose richiede una riflessione e una consapevolezza profonde”.
Un’occasione per scoprire il valore e l’eccellenza aziendale
Il presupposto di partenza è che il purpose è un intreccio complesso di diverse dimensioni, di cui una è certamente quella economica: come possiamo creare valore economico? Sebbene creare valore economico sia una motivazione chiave per qualsiasi attività d’impresa, non è l’unica dimensione significativa. Il purpose, infatti, dipende anche dall’individuazione di ciò di cui c’è bisogno a vari livelli, fino ad arrivare a chiedersi cosa richiede il mondo. In sintesi, l’etica dell’innovazione tecnologica aiuta le imprese anche a capire meglio il senso del loro essere e agire. Individuare il purpose, infatti, significa riconoscere ciò in cui un’impresa eccelle, ciò che la rende unica e insostituibile.
“Per tutte le organizzazioni l’etica dell’innovazione è un’opportunità per riflettere su quali sono i valori impliciti nelle nostre azioni e come possiamo agire meglio – ha sottolineato Giovanola -. È necessario comprendere cosa interessa alle persone, sia all’esterno, come i clienti, sia all’interno, come dipendenti e collaboratori. Le relazioni interne, infatti, influenzano direttamente la cultura e l’efficacia dell’organizzazione. Questo richiede un percorso continuo scandito dalla consapevolezza e da uno spirito critico, necessari a tradurre i nostri valori in azioni concrete. Ed è sempre l’etica a farci ricordare anche che l’IA non è mai neutrale; incorpora valori e principi che derivano da chi progetta i sistemi. Questi valori devono essere orientati al bene comune, garantendo che l’innovazione sia veramente buona e benefica per la società”.
L’Etica dell’Intelligenza Artificiale: un approccio consapevole e critico
Nel contesto dell’innovazione legata all’intelligenza artificiale, l’etica aiuta i CIO a gestire la trasformazione, orientando lo sviluppo e l’uso delle tecnologie potenziate verso fini positivi, mettendo sempre al centro le persone.
“Spesso si sente dire che la tecnologia è neutra e che tutto dipende dall’uso che se ne fa – ha commentato l’esperta -. Tuttavia, questa visione è parziale, poiché la tecnologia non è mai completamente neutrale; risponde sempre a specifici scopi e incorpora valori e obiettivi intrinseci. L’orientamento etico ci permette di riconoscere e mappare questi valori, guidando l’IA verso il bene delle singole persone, delle organizzazioni e della collettività. Il che avviene valutando preventivamente i rischi e i potenziali danni, e allo stesso tempo massimizzando le opportunità offerte. Dato che l’IA ha una capacità trasformativa profonda sull’intero ecosistema, su noi stessi e sulle nostre relazioni, orientarsi eticamente significa superare l’idea del determinismo tecnologico, spesso sotteso al clamore mediatico che la definisce come una soluzione definitiva e disruptive”.
Avviare una collaborazione etica con l’IA
L’etica dell’innovazione rimette in bolla i processi decisionali, bilanciando due posizioni estreme spesso presenti nel dibattito sull’Intelligenza Artificiale: la tecnofobia, che la vede come una minaccia distruttiva, e la tecnofilia, che la considera una panacea per tutti i problemi. Queste narrazioni sono alimentate in negativo e in positivo dal determinismo tecnologico, secondo cui i sistemi informativi automatizzati avanzano, scalzando i lavoratori fisici.
“Per evitare che la tecnologia diventi una profezia che si autoavvera, delegando tutto all’IA e dimenticando il nostro ruolo umano, è fondamentale superare questo mito dell’autonomia tecnologica – ha rimarcato Giovanola -. Dobbiamo abbandonare la logica del paragone tra umani e IA, che ci porta a sentirci inferiori rispetto alla potenza e alla velocità computazionale dei sistemi artificiali. Un approccio etico e consapevole ci spinge a passare dalla logica del paragone a quella della sinergia e della collaborazione. L’IA non è destinata a emulare l’intelligenza umana, ma a complementarla, riconoscendo il suo ruolo di supporto nel migliorare ciò che possiamo e dobbiamo fare in quanto esseri umani”.
Etica dell’innovazione ed evoluzione delle competenze
L’IA ha il potenziale di potenziare molte professioni, consentendo agli esseri umani di concentrarsi su aspetti che richiedono empatia, creatività e competenze che sono il risultato di un portato esperienziale, emotivo e culturale che caratterizza l’unicità di ogni persona. L’etica dell’innovazione promuove una transizione sostenibile, equilibrando il potenziamento delle capacità umane con l’adozione della velocità combinatoria e della capacità statistica e matematica dell’IA, passando dall’automation all’augmentation. I CIO saranno alla guida di una nuova era di uno Human2Machine più collaborativo, armonico e con obiettivi più ampi.
“Le abilità in crescita, note come skills on the rise, non riguardano esclusivamente gli aspetti tecnologici – ha raccontato l’esperta -. Competenze come curiosità, leadership, consapevolezza di sé e gestione dei talenti non possono essere sostituiti dalle macchine, in quanto capacità distintive e umane essenziali per mantenere la competitività nel panorama lavorativo odierno. L’intelligenza artificiale può automatizzare molti processi, consentendoci di concentrarci su queste competenze umane che non solo ci rendono più competitivi, ma ci permettono di evolvere come professionisti. Questo significa che, anziché temere l’IA, dovremmo vederla come uno strumento che potenzia le nostre capacità uniche”.
Governance e regolamentazione: le sfide e le opportunità
In tutto questo, il crescente fenomeno del Bring your own AI (ByoAI) introduce ulteriori complicazioni, poiché i dipendenti utilizzano liberamente sistemi di AI spesso senza una supervisione centralizzata. Questo scenario richiede azioni concrete per gestire l’adozione e l’uso dell’AI in modo responsabile. Ad accrescere la complessità della governance dell’AI contribuisce anche l’incertezza normativa e la mancanza di modelli chiari. La recente introduzione dell’AI Act, ad esempio, stabilisce diversi livelli di rischio per varie applicazioni, imponendo requisiti variabili. Nonostante questo progresso, il quadro normativo rimane frammentato, specialmente su scala globale, e i processi di standardizzazione non sono ancora completati.
Per navigare in questo contesto complesso, le imprese devono adottare strategie mirate ha concluso l’esperta:
- Bisogna investire nella formazione continua, promuovendo processi di upskilling e reskilling per sviluppare una consapevolezza completa dell’AI, del suo impatto e dei suoi rischi.
- È importante definire e implementare delle linee guida interne può migliorare la governance dell’AI e a gestire il fenomeno del ByoAI, con benefici reputazionali e operativi.
- Servono strumenti di audit e di valutazione etica e del rischio dei sistemi di AI.
Utilizzando l’etica come driver centrale dell’innovazione tecnologica, queste misure possono aiutare a mettere ordine nel caos. In questo modo, la tecnologia può essere centrata sulla persona, sottolineando l’importanza strategica del ruolo dei CIO nel guidare un’innovazione responsabile e sostenibile”.