La Tavola Rotonda che si è svolta durante l’evento conclusivo dei Digital360 Awards 2018, tenutasi lo scorso luglio, dedicata alla Business Technology Innovation e che ha visto la partecipazione di CIO e Innovation di alcune delle principali imprese italiane, ha preso avvio dalla sollecitazione di Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno e coordinatore del dibattito con Stefano Aiello, Partner di Partners4Innovation.
“Che ruolo svolgono per il cambiamento nelle vostre imprese tre leve quali le architetture tecnologiche in termini di infrastrutture e robustezza del sistema informativo, il ridisegno dei processi, dell’organizzazione e delle competenze e la capacità di creare un ecosistema allargato di partnership?”, ha chiesto Uberti Foppa.
Eni: la creazione di un ecosistema per l’innovazione attorno a otto piattaforme
Per Eni l’attuale accelerazione digitale è il punto di arrivo di un percorso, partito 30 anni fa, soprattutto per rispondere alle esigenze delle attività Oil & Gas che dovevano gestire grandi quantità di dati “quando ancora non si parlava di big data”, come ha spiegato Mirela Jianu, Market Intelligence Analyst – Global Procurement & Strategic Sourcing, Eni. I modelli e gli algoritmi messi a punto per simulare la localizzazione dei giacimenti oggi sono declinati anche attraverso il cognitive computing e l’intelligenza artificiale con l’obiettivo di ottimizzare l’affidabilità e l’operatività degli impianti. A supporto, il green datacenter interno, inaugurato nel 2013, che ha raggiunto nel frattempo una potenza di 22,4 petaflop.
Attualmente sono in campo 150 progetti su otto piattaforme digitali che coprono tutte le esigenze di business, dalle esplorazioni, agli stoccaggi, dalla logistica fino alla distribuzione con Eni Gas e Luce. A partire da queste piattaforme si aprono potenzialità di partnership con i fornitori vecchi e nuovi per la definizione di contratti in logica più agile, e un adattamento della due diligence, con aperture alle startup avanzate. “Da sempre Eni realizza call for ideas interne e collaborazioni con il Politecnico e centri di ricerca italiani e internazionali”, ricorda Jianu. Ma la digital innovation richiede un approccio sempre più strutturato: è ad esempio stata creata un’unità dedicata che coordina in modo trasversale le piattaforme di open innovation (come growITup, PoliHub, Luiss Enlabs…) e vengono realizzati workshop con i diversi player per individuare le necessità delle piattaforme.
Fondamentale anche l’aggiornamento delle competenze: le figure professionali più ricercate sono i data scientist sia all’interno (individuando figure con questo profilo) sia con assunzioni di neolaureati.
Jianu, su sollecitazione di Aiello, interviene sul ruolo del business nella valutazione del ritorno dell’investimento nella digital innovation: “Il budget è sostanzialmente del business, mentre sono in fase di definizione sia la governance del processo e sia la definizione dei Kpi – precisa – Per realizzare un’open innovation strutturata, sono stati definiti platform leader e team multidisciplinari operativi, mentre stiamo ancora lavorando alla governance”.
Enel: organization first
La focalizzazione di Enel sulla digitalizzazione è evidente fin dalla nuova denominazione dell’IT, oggi Digital Solution, come evidenzia Marco Moretti, Innovation Manager di Enel.
Sul versante tecnologico infrastrutturale la scelta è totalmente cloud e oggi il nodo centrale per la trasformazione digitale è, per Moretti, l’innovazione organizzativa e la capacità di collaborazione con il business. “A partire dalla mia esperienza personale, posso testimoniare la difficoltà, per il business, di capire l’IT e trovare un linguaggio comune – sottolinea il manager – Con l’attuale organizzazione, le persone dell’IT sono presenti in ogni unità di business creando un’osmosi che facilita questa comunicazione”. Sono infatti state create strutture ibride (IT e business), denominate digital hub, mentre a livello centrale è prevista una struttura di 200 persone, coordinata dal Chief Innovation Officer, con un innovation manager per ciascuna line.
“In che modo questa scelta favorisce la co-innovazione? Come si concretizza e quali evidenze avete?”, sono le domande di Uberti Foppa.
“Si chiede al business la definizione di problemi non la proposta di soluzioni: vanno definite insieme aree di miglioramento e solo successivamente si può individuare facilmente il tool ideale (non necessariamente tecnologico) per risolvere il problema, spesso ricorrendo alla collaborazione di startup non solo italiane” è la risposta del manager Enel, che precisa: “Nell’analisi congiunta si guarda innanzi tutto al driver economico principale”.
Un esempio di attenzione del business all’innovazione, in particolare dell’area distribuzione, è il contatore elettronico: una risposta di business a un problema di costi (in questo caso quelli del personale che effettua le letture), basata su una soluzione tecnologica, che evidenzia l’attenzione a rivisitare i processi con un mindset tecnologico.
BNL: modernizzare le applicazioni e creare team misti per un improvement continuo
Anche per BNL il problema tecnologico non è centrale. Il gruppo BNP Paribas, di cui la banca fa parte dal 2006, mette a disposizione un’infrastruttura concentrata fra Francia e Belgio, con 4 centri in disaster recovery, gestiti da una joint venture fra BNP e IBM, con potenza quadruplicata negli ultimi anni.
Sul versante della trasformazione digitale per abilitare il business, si è invece seguito dal 2016 un percorso di diagnosi (individuazione dei problemi principali) e terapia (definizione delle soluzioni), di cui Massimo Romagnoli, CIO di BNL indica i principali fattori :
- si è valutato inaccettabile il time-to market medio, dal concept al rilascio, per le nuove soluzioni, realizzate in logica waterfall; si sono così sperimentate logiche Agile;
- è stato valutato non più competitivo un approccio business in logica prodotti/servizi; si è così scelto di adottare un’ottica di customer journey;
- si è scelto di misurare il net promote score, andando a verificare per ogni contatto la valutazione del cliente. Ne sono derivati nuovi compiti per l’IT, che ha considerato inaccettabile rifare le applicazioni legacy vecchie di vent’anni (conti correnti, fidi e garanzie…) a favore di un approccio di modernizzazione, attraverso la revisione e la governance delle architetture, una scelta di cloud privato e la semplificazione attraverso l’esposizione dei servizi ai diversi layer, il cambiamento del modo di lavorare scegliendo la logica Agile. Ne è derivata anche la necessità di un forte investimento su nuove competenze architetturali.
“Ci stiamo organizzando in una logica digital lab, con la responsabilità di sviluppo end-to-end, dove sono allocate, con ruoli nuovi e ben definiti, le persone dell’IT e del business, delle architetture e della sicurezza IT, della compliance legale e del marketing”, spiega Romagnoli, ricordando che il lavoro dei lab è servito anche a verificare la riduzione del 60% dei tempi di time-to-market delle realizzazioni in logica Agile, rispetto a quella waterfall. “Lo spostamento verso un modello Agile comporta anche la necessità di rimappare le competenze, fino ad oggi orientate allo sviluppo e alla gestione del patrimonio informativo – aggiunge il manager – Per realizzare un improvement continuo, siamo orientati a rendere permanenti i team di lavoro che continueranno a essere ubicati nelle strutture di linea con l’obiettivo di coinvolgere maggiormente il business”.
Magneti Marelli: dallo tsunami digitale un avvicinamento fra It e core business
Anche per Dario Castello, CIO / Head of Parts, Magneti Marelli & Services and Connected Car, FCA, fra le leve indicate (tecnologica, organizzativa, ecosistema di partner), quella prioritaria è la seconda. “La nostra è un’azienda tradizionale, ma lo tsunami digitale rappresenta un’occasione irripetibile per l’IT di avvicinarsi al core dell’azienda – dice il manager – Dal business viene oggi una forte domanda di aiuto per capire la trasformazione del mondo dell’auto che, da scatola di metallo con un motore a combustione, si sta trasformando in un computer a 4 ruote”.
Questa trasformazione si riflette anche sulla parte componentistica, come, ad esempio i sistemi di illuminazione per auto. “Da una lampadina, fatta di un po’ di plastica e qualche filo, siamo passati in 5 anni a sistemi con migliaia di led che si adattano alla luce esterna e per farlo necessitano di milioni di righe di codice e diverse centraline”, esemplifica Castello, che indica alcuni fatti a riprova della trasformazione epocale in atto, come la creazione di una piattaforma organizzativa (che vede coinvolto ICT e product management di Fca con pari dignità) non tanto per sviluppare una vettura come accadeva in passato, ma un’architettura di servizi per diverse vetture.
Inoltre, per rispondere alle esigenze dei clienti Magneti Marelli che sempre più richiedono componenti intelligenti, è nata una collaborazione stabile fra innovazione di prodotto e ICT, concretizzatasi in un team di innovazione che lavora su temi tecnologici quali big data, IoT, …
Fondamentale, in questa fase, sfruttare anche le competenze e l’ecosistema esterni, ma con una premessa: “Per poter ottimizzare le relazioni con i partner è indispensabile cambiare il sistema interno che impiegava 3-4 mesi solo per selezionare i candidati. Oggi abbiamo creato un sistema, in collaborazione con gli Acquisti e il Legal, che impiega 5 giorni per validare un fornitore indicato da noi”. Questa trasformazione è indispensabile per poter sfruttare le idee che arrivano dal mondo esterno (fornitori e ricerca) anche se non si possono negare le difficoltà a lavorare con piccole startup, per una azienda da 9mld euro e 40mila persone. La strada seguita prevede in alcuni casi partecipazioni con investimenti diretti, come recentemente accaduto con una startup canadese che lavora su tecnologia di base per l’autonomous driving. “Come ICT, se individuiamo un prodotto o un servizio interessante di una startup, scegliamo di accoppiarlo con un system integrator di fiducia che possa fornire un supporto globale nei diversi contesti internazionali in cui siamo presenti”.
Change management: quali soluzioni organizzative per aumentare l’interazione fra It e business?
In conclusione, riportiamo alcune considerazioni di Aiello, stimolate dagli interventi. Sul lato IT emerge la necessità, a suo parere, di “disincagliare” risorse che hanno seguito in passato soprattutto attività di fabbrica (sia dal punto di vista della gestione infrastrutturale sia dello sviluppo applicativo) per orientarle verso attività di analisi dati e la capacità di interazione con il business, a partire dai processi, con un’analisi requisiti non banale. “Oltre al salto culturale enorme da parte dell’IT ce n’è un altro altrettanto grande sul versante del business per mettere in discussione i propri processi – sottolinea Aiello – Il business si aspetta dall’IT prevalentemente soluzioni tattiche mentre sappiamo da almeno 25 anni che non c’è ritorno dell’investimento digitale senza la messa in discussione e la trasformazione del business”.
In organizzazioni complesse, ripensare in chiave digitale il modello di business comporta complessità e sfide elevate, che comportamenti troppo prudenti e visioni di breve periodo non consentono di affrontare.
“Ha molto senso – ha detto Uberti Foppa chiudendo il confronto – che il dipartimento IT, preso atto della complessità, della velocità e delle aspettative del business relative al cambiamento digitale degli attuali modelli competitivi, operi per creare quelle sinergie organizzative e culturali interne ed esterne senza le quali è impossibile reggere oggi il passo del cambiamento. È una presa di coscienza fondamentale, da attuare prima che non ci sia più il tempo per farlo”.