Vita da CIO

“L’innovazione è contaminazione. E i giovani devono mantenere viva la curiosità” 



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In un’epoca in cui i confini tra discipline si dissolvono, le opportunità emergono dal confronto di idee diverse, dove tecnologia, business e creatività si incrociano. Il racconto di Gianpiero Ciorra, CIO di Gambero Rosso

Pubblicato il 18 dic 2024

Vincenzo Zaglio

Direttore ZeroUno, Head of Content Digital360



Gianpiero Ciorra
Gianpiero Ciorra, CIO di Gambero Rosso

Ingegnere, professore a contratto di digital transformation, esperienze in marketing e vendite. Gianpiero Ciorra, CIO di Gambero Rosso, racconta l’importanza di abbracciare l’innovazione e mantenere una visione aperta. “La contaminazione tra diverse discipline è essenziale per l’innovazione. I giovani, in particolare, devono mantenere viva la loro curiosità e non avere paura di esplorare territori sconosciuti,” afferma Ciorra. Nel suo ruolo di CIO, Ciorra ha supervisionato la transizione di Gambero Rosso verso il digitale, implementando soluzioni innovative che hanno impattato direttamente il business. “Non si tratta solo implementare un gestionale o digitalizzare i processi. Si tratta di ridisegnare i prodotti, che sono poi il core business dell’azienda, e portarli sul mercato”.

Qual è il progetto più importante attualmente sulla tua scrivania?

Il progetto principale che sto seguendo in questo momento riguarda la nuova piattaforma di streaming video on demand. Gambero Rosso sta compiendo un salto importante, probabilmente generazionale, passando da una televisione via satellite classica a un doppio binario video: da una parte, si va sul digitale terrestre, con la logica classica del palinsesto e della trasmissione lineare; dall’altro abbiamo avviato un progetto per creare una piattaforma di streaming on demand – una sorta di Netflix dell’enogastronomia italiana – dove si cambia completamente la logica di organizzazione dei contenuti. Non c’è più un palinsesto, ma una libreria a cui attingere, classificando i contenuti per categorie, microtag, argomenti. La mia formazione tecnica ha aiutato i creativi perché per noi informatici, abituati ai database relazionali, la classificazione risulta più nelle nostre corde. Sto anche coordinando la fase di comunicazione in qualità di project manager e qui mi è stato utile l’approccio Agile considerando tutti i cambiamenti repentini di questo progetto.

Agile meglio di Waterfall, quindi?

Ho imparato il metodo Waterfall all’università e durante i corsi di product management. Era il classico approccio a cascata, un processo sequenziale dove ogni fase dipende dalla precedente e non si torna indietro. D’altra parte, l’approccio Agile è più flessibile e iterativo. È una risposta alle limitazioni del metodo Waterfall, che non si adatta bene ai cambiamenti rapidi. Agile promuove cicli di sviluppo brevi e coinvolgimento continuo del cliente per adattarsi rapidamente alle variazioni delle priorità. Anche se l’Agile richiede un cambio culturale significativo, soprattutto in contesti italiani dove si è meno abituati alla frequente interazione e revisione, offre vantaggi tangibili. Costringe le persone a dialogare, favorendo una migliore comunicazione tra chi si occupa di tecnologia e chi si occupa del business. Il punto vero è che noi creativi italiani facciamo fatica ad applicare una metodologia pensata in Giappone.

In quanto CIO, cosa ti piace di più e cosa di meno?

Diciamo che i temi infrastrutturali non sono quelli che mi appassionano di più. La cosa veramente interessante nel nostro mestiere di CIO è poter incidere sui prodotti, sul business. Ti faccio un esempio: se trasformo le guide del Gambero Rosso in un PDF sfogliabile, faccio certo un lavoro di digitalizzazione ma la sostanza non cambia molto. La vera sfida di trasformazione digitale è appunto “trasformare” il prodotto, fare in modo che porti un valore per i clienti, fare in modo che porti nuovi abbonati o nuove tipologie di ricavi. In altre parole, va immaginato un modello di business. Come CIO dobbiamo sempre porci la domanda del modello di business. La tecnologia non è mai fine a sé stessa.

Hai parlato di business di tecnologia. Cos’è per te l’innovazione?

Secondo me l’innovazione è soprattutto contaminazione: di persone, di idee, di punti di vista, di esperienze. L’innovazione non può essere confinata a un singolo reparto o linea di business, deve essere trasversale all’azienda. E deve coinvolgere anche i commerciali, perché parlano con i clienti e sono i primi che ascoltano (o dovrebbero ascoltare) i feedback che arrivano dal mercato. Questo è il primo passo per pensare a nuovi prodotti o modelli di business.

E quindi chi deve dirigere l’innovazione in azienda?

Parlerei più di facilitatore che di direttore. Come ti dicevo, l’innovazione è traversale. È essenziale che ci sia un facilitatore, qualcuno che non necessariamente ricopre un ruolo direttivo, ma che ha la capacità di mettere in relazione le persone di diversi settori dell’azienda. Questo facilitatore deve conoscere bene l’organizzazione e avere la sensibilità di stimolare la collaborazione tra chi si occupa di tecnologia, chi è in contatto diretto con i clienti e chi crea i prodotti. L’innovazione autentica avviene quando queste diverse prospettive si incontrano e si integrano, portando a nuove idee e soluzioni che rispondono alle esigenze del mercato in continua evoluzione. Perché il mercato cambia e il rischio è che non ci si accorga. Se i supermercati si mettono a vendere i viaggi, i tour operator hanno un competitor che magari prima non avevano mai considerato.

Nel tuo budget IT c’è una distinzione tra attività ordinaria manutenzione e progetti innovativi?

Il mio budget è più un budget operativo, destinato alla gestione quotidiana delle tecnologie e delle risorse interne. I progetti innovativi più significativi tendono a essere gestiti come budget direzionali, inseriti nel piano industriale e non all’interno del budget IT standard. Questa distinzione permette di trattare l’innovazione come un investimento strategico, spesso separato dalle operazioni quotidiane IT.

Sei professore a contratto in un’università dove insegni digital transformation. Che consigli daresti a una giovane che sta entrando nel mondo del lavoro?

Ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro, specialmente nel campo del digitale, consiglierei di essere curiosi e di coltivare una mentalità aperta e flessibile. Non dovrebbero seguire passivamente le mode del momento, ma piuttosto sviluppare competenze multidisciplinari che permettano loro di comprendere e adattarsi ai cambiamenti continui del mercato. Anche chi si specializza in settori tecnici come la programmazione dovrebbe acquisire una comprensione più ampia, che includa aspetti come l’esperienza utente e la comunicazione. È fondamentale che i giovani non solo utilizzino gli strumenti digitali, ma comprendano anche i meccanismi e le dinamiche sottostanti, per poter sviluppare una capacità critica nell’utilizzarli efficacemente. Essere nativi digitali è un vantaggio, ma è altrettanto importante comprendere come queste tecnologie funzionano e come possono essere utilizzate strategicamente per vere e proprie innovazioni.

Come state affrontando il tema dell’intelligenza artificiale in Gambero Rosso?

Stiamo facendo un POC per indicizzare e interrogare il nostro database in linguaggio naturale. Tuttavia, il problema è la sostenibilità economica, considerando che l’uso di questi algoritmi non è gratuito. In questo momento ci sta guadagnando chi ha l’infrastruttura e fa gli algoritmi, ma in futuro chi pagherà per l’uso di questi servizi? Ritorniamo al discorso del modello di business.

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