La seconda Tavola Rotonda che si è svolta durante l’evento conclusivo dei Digital360 Awards 2018 dello scorso luglio, dedicata alla Business Innovation nella quale si sono confrontati CEO e protagonisti dell’ecosistema dell’innovazione (per la prima tavola rotonda, alla quale hanno partecipato i CIO di primarie aziende, clicca qui), ha affrontato il tema della trasformazione del business, assai più complesso dell’introduzione di una nuova macchina o una nuova tecnologia, come ha ricordato Giovanni Iozzia, direttore di EconomyUp, che ha coordinato la discussione con Marco Planzi, Associate Partner di Partners4Innovation.
“Il dibattito pubblico e sui media evidenzia spesso cosa manca per la trasformazione del business indicando risorse economiche, volontà di innovare, persone, trasferimento tecnologico, infrastrutture, ecosistema, startup… – ha a sua volta sottolineato Planzi in apertura – Ma auspicare il realizzarsi contemporaneo di tutti questi elementi, rischia di condurre le organizzazioni in una sorta di trappola strategica nell’attesa di una convergenza astrale che probabilmente non si verificherà mai”. È invece preferibile riflettere su quali siano gli ingredienti prioritari che possono favorire la trasformazione del business, una richiesta che Planzi rivolge innanzi tutto ai partecipanti alla tavola rotonda.
Risorse finanziarie e competenze, fra le priorità
Andrea Di Camillo, Managing Partner and Board Member di P101, azienda di venture capital italiana, ha focalizzato l’attenzione sul problema dei finanziamenti alle imprese innovative, ricordando che a fronte di circa 200 milioni di euro investiti in Italia in startup, negli Usa si investono circa 60 miliardi. Precisa inoltre: “In Italia si sono dedicate poche risorse e attenzione alle startup, non solo a livello pubblico, da parte degli investitori istituzionali e del risparmio privato, ma anche da parte delle imprese, spesso assenti da un modo di innovare fuori dal contesto legacy. La situazione sta cambiando, anche grazie all’affacciarsi di nuovi attori; tuttavia non bastano i soldi: servono tutte le componenti dell’ecosistema che vadano a completare il meccanismo di rigenerazione imprenditoriale, in Italia ancora monco”.
Il punto di vista e le dinamiche delle grandi aziende è testimoniato da Simone Macelloni, Marketing R&D, BNP Paribas Cardif, il polo assicurativo del Gruppo BNP Paribas, che evidenzia l’impegno sull’innovazione concretizzatosi in un team dedicato alla ricerca di iniziative di innovazione e alla verifica di possibili agganci con nuovi modelli di business, ma ricorda: “Se non si generano risultati in 3-5 anni le risorse messe a disposizione dall’azienda tendono a diminuire”.
Il focus viene invece posto sulle competenze da Alvise Biffi, CEO di Secure Network e presidente Piccola Industria di Confindustria Lombardia che sottolinea: “Il tessuto imprenditoriale delle medie imprese ha un grande gap di competenze interne sull’IT, da colmare se si vogliono rivedere i modelli di business in logica di servizio a partire dall’analisi dei dati. In mancanza di competenze adeguate all’interno, ci si rivolge spesso ad outsourcer specializzati, senza pensare che il problema vero è la mancanza di cultura a livello manageriale e imprenditoriale, la cui visione è indispensabile per cambiare il business e che non può essere delegata ai tecnici”.
Servono dunque iniziative verso le imprese per offrire esempi positivi il cui successo rischia però di essere frenato dalla carenza di competenze, come bravi designer di software, progettisti, data scientist, analisti… I pochi presenti sul mercato sono contesi e costano troppo perché le PMI possano permetterseli.
Un approccio interessante per far incontrare competenze ed esigenze delle imprese viene dal parco scientifico e tecnologico e innovation hub ComoNExT, che ospita 125 aziende innovative (fra cui 30-35 startup) e 700 persone e, grazie alla nuova ala recentemente inaugurata, punta a 160 aziende e oltre 1000 persone: “Cerchiamo di fare sistema andando verso le imprese, ossia facendo i meta-organizzatori – spiega Stefano Soliano, General Manager, ComoNExT – Ci rivolgiamo al mercato fuori dal parco, nel territorio, per raccogliere i problemi delle imprese (in prevalenza del settore tessile, legno-arredo e meccanica); tornando ‘a casa’, dopo aver mappato le competenze interne, affrontiamo il problema e selezioniamo le risorse migliori in grado di risolverlo”. Questo è anche un sistema particolare di technology transfer che riesce a far collaborare aziende di settori diversi e di differenti tipologie, come aziende mature e startup, che spontaneamente non lavorerebbero insieme.
Le aziende sono pronte a cogliere le competenze presenti?
Questa domanda viene posta da Planzi che trae spunto dal primo giro di interventi per sottolineare la centralità delle competenze e delle persone e ricorda una recente analisi dei ministeri degli interni europei da cui emerge che a fronte di 60mila italiani laureati che vanno all’estero, solo 27mila arrivano in Italia. “C’è un mercato in Italia per le competenze di alto livello? Cosa significa lavorare sulle persone e sulle competenze? C’è una domanda di competenze che le imprese sono pronte a cogliere?”, chiede agli interlocutori.
Per Biffi il mercato italiano è depresso per i profili professionali alti: “L’unico valore che possiamo mettere in campo per la retention delle persone è l’Italian style of life: tanti vorrebbero tornare o venire a lavorare in Italia”.
Soliano ritiene che ComoNExT possa essere considerato un esempio di attrattività per competenze di fascia alta: “È a mezz’ora da Milano, le imprese insediate sono interessate nella cross-fertilization, le persone sono felici di lavorare in un ambiente stimolante, gli stipendi sono più che decorosi anche se non particolarmente alti, l’età media è di 34-35 anni con il 90% di laureati”. Si tratta però di una comunità particolare che non risolve problema della carenza di cultura dell’innovazione nelle PMI di fascia medio-alta, con cui ComoNExt abitualmente collabora. “Un’iniziativa, se pur positiva, come Industria 4.0, deve fare i conti con un passaggio che la maggior parte degli imprenditori deve ancora fare per andare oltre l’idea della macchina in rete e della filiera connessa – aggiunge Soliano- Qualunque cosa si faccia in azienda, dal processo produttivo all’acquisto, andrebbe concepito in modo diverso rispetto alla tradizione dell’azienda”.
La contaminazione con le startup aiuta la trasformazione del business
Resta dunque aperto un problema di cambiamento del mindset, come Iozzia evidenzia. Vanno in questa direzione le iniziative di BNP Paribas Cardif volte a favorire contaminazione con le startup, che Macelloni segnala: “Il mondo fintech e insuretech sta attraendo molte piccole aziende innovative che sviluppano modelli di business totalmente decontestualizzati da un modo finanziario e assicurativo ingessato”. L’azienda guarda a questo mondo attraverso eventi dedicati come Cardiff Open Fab, arrivato alla quinta edizione, pensato per portare a casa la conoscenza. “Lavorando insieme alla startup non solo puntiamo a cambiare la cultura interna, ma riusciamo anche a identificare talenti da assumere – aggiunge – All’inizio siamo riusciti con difficoltà a incidere sul business, ma oggi stiamo mettendo a terra alcuni progetti. L’obiettivo è realizzare, in collaborazione con le startup, progetti di business, testarli su di noi o su clienti bancari e poi andare sul mercato”.
Ci sono startup che hanno aiutato la trasformazione non solo di una singola azienda ma del mercato di riferimento, come il caso Yoox, che ha avuto un impatto sul mondo del fashion e del retail, nel loro complesso, citato da Di Camillo, che avverte: “Startup è un aggettivo non un sostantivo, rappresenta infatti una fase dell’azienda. Il mondo delle startup consente alle idee di svilupparsi in libertà al di là dei retaggi storici delle imprese: la startup nasce isolata con capitali come il venture capital che consentono di finanziare errori e perdite che un’azienda normale non potrebbe permettersi”.
Come stimolare il Corporate Venture?
Resta non a caso aperto il nodo degli investimenti diretti da parte delle imprese: “Come fondo P101 abbiamo 20 investimenti con 1000 persone e 200 milioni di fatturato; fra gli investitori, ci sono molti imprenditori a livello personale ma non ci sono aziende”, sottolinea Di Camillo.
Una situazione comprensibile secondo Soliano visto che il Venture Capital non fa parte della cultura aziendale italiana ed è difficile da gestire da parte di un’impresa. “Facciamo evangelizzazione sul tema dell’investimento presso PMI, che pure hanno liquidità e voglia di innovare ma non vedono questa strada come praticabile. Nella mia opinione è invece una strada plausibile per aiutare il venture capital a favorire la crescita del Paese attraverso l’innovazione”.
C’è anche un problema di tempi, aggiunge Di Camillo: “Il fondo restituisce il capitale investito dopo una decina di anni, mentre le imprese hanno spesso una visione di breve periodo”.
Per Biffi, infine, l’errore è vedere l’impegno in una startup come investimento finanziario e non come una leva strategica per la competitività dell’azienda: “L’investimento fatto direttamente dall’azienda deve essere concepito come strategia di valore aggiunto e affinché sia efficace serve un’organizzazione, attorno all’investimento stesso, per la ricerca di marginalità, con la logica di open innovation”.
La strada maestra dovrebbe essere un investimento con l’obiettivo di ampliare le competenze. “Un’azienda meccanica investe in una startup informatica, con una visione industriale come leva strategica per far crescere l’azienda”, è l’esempio portato da Biffi.
Le persone al centro
Planzi suggerisce, in conclusione, come priorità, l’attenzione alle persone, per superare lo sbilanciamento fra richiesta e competenze anche guardando al proprio interno e riconoscendo le attitudini su cui costruire il re-skilling. “Alla fine sono le persone che consentono di combinare tutte le altre risorse, fra cui quelle finanziarie e tecnologiche, per costruire il vantaggio competitivo. Anche l’Intelligenza artificiale e gli algoritmi vengono di fatto creati da qualcuno”, conclude.