Il video della presentazione dell’iphone di Apple è stato messo in rete martedì pomeriggio. A cena ho ricevuto due sms che lo annunciavano. Ero al ristorante con amici. Mentre mangiavamo uno non ha resistito e ha provato a navigare su internet con il telefono per vedere almeno un’immagine. Mercoledì mattina, prima di arrivare alla mia scrivania, tre persone mi hanno detto di aver visto la presentazione prima andare a dormire. Giancarlo l’ha vista con suo figlio.
A mezzogiorno anch’io ho capitolato. Ho guardato tutta la presentazione. Eccezionale.
Anche se non hai mai comprato Mac, anche se consideri il Nokia che hai in tasca una macchina perfetta, anche se consideri il tuo Razor un insuperabile oggetto del desiderio, guarda la presentazione. E’ una lezione di cosa significa experience design. Hai capito bene: l’ultima frontiera della progettazione dell’immateriale. Steve Jobs non pensa a un prodotto che si limita a dire al mondo chi sei, che parla di te agli altri. Progetta un’esperienza che ti trasformerà, che ti costringerà a ripensare il tuo modo di comunicare, dunque, di essere.
Ripenso inorridito a quando passavo ore a navigare sul portale Cnet alla ricerca di schede prodotto, alle tante feature by feature comparison, ai consigli di geek appassionati che trascrivevano diligentemente i test di processori sconosciuti e schede madri. Di colpo mi sembrano passate ere geologiche. Guardi il video e capisci che non potrai fare a meno di Safari in uno schermo di 3 inch, dello zoom che apri con le dita (proprio così) in puro stile minority report. Mentre Steve Jobs mi spiega che potrò scrivere su una tastiera virutale con l’indice della mano destra mi ritrovo per un attimo a pensare che, in fondo, non andava poi così male usare una mano sola per scrivere un sms mentre camminavo andando al lavoro. Ma è un attimo. Realizzo immediatamente che pigiare tasti virtuali su una tastiera touch screen che fa rimbalzare le lettere come una Olivetti d’annata sarà un’esperienza di cui a breve non potrò fare a meno. Anzi, di cui nessuno potrà fare a meno.
Una delle applicazioni più “cool” (cito Steve) gestisce le foto e i video. Guardi la foto in verticale e realizzi che i tuoi bambini hanno un aspetto sacrificato? Basta girare lo schermo e subito il tuo iphone capisce che deve andare in modalità widescreen allargando il sorriso dei tuoi adorati. Penso fra me e me che il mio Nokia 6680 lo fa già, che basta schiacciare qualche tasto: comando zoom, ruota a destra, schermo pieno. Ma capisco immediatamente che fra qualche mese questa sarà una sequenza ad alto impatto depressivo. Che i miei amici più cari mi guarderanno con aria sconsolata (non ci sei ancora arrivato? Ma come puoi ancora continuare a vivere in questo modo?).
Gli italiani conoscono bene la ricetta di Steve Jobs perché le regole della fashion economics sono nostre da sempre. Vendiamo vestiti di lusso organizzando sfilate e cocktail. Proponiamo mobili e oggetti per la casa come si trattasse di vernissage di arte contemporanea. Ma l’uomo di Apple ha qualcosa da insegnarci. Che la sfida del futuro è scommettere su esperienze che richiedono partecipazione e consapevolezza della differenza. Che il concetto di “esclusività” è tutto da ripensare (molto meglio “rilevanza emotiva”). Che il lusso è una categoria last century e che il futuro è di chi saprà vendere il tuo prossimo state of mind.
* Stefano Micelli è direttore di Tedis, International Venice University. L'intervento è tratto, con l'autorizzazione dell'autore, dal blog http://www.firstdraft.it/