In un contesto di lavoro ibrido, la produttività è strettamente connessa alla qualità dell’esperienza lavorativa che l’azienda garantisce ai propri dipendenti. Fatti salvi periodi emergenziali, laddove la continuità del business è il primo fattore da salvaguardare, migliorare l’engagement è diventato uno dei principali obiettivi di tutta l’azienda (e non solo dell’HR): le imprese rivedono il layout degli spazi, modificano gli assetti organizzativi, svincolano la produttività dal luogo e dall’orario proprio per massimizzare l’employee engagement, da cui ottengono produttività, efficienza, attaccamento ai valori dell’azienda e, in ultima analisi, una riduzione del turnover.
L’impatto della tecnologia sull’esperienza di lavoro
Qual è, dunque, il valore della tecnologia nell’hybrid work? O meglio, in che modo essa condiziona l’esperienza digitale del dipendente e quindi la sua produttività?
Per rispondere a queste domande, partiamo dal Digital Employee Experience Report 2022 di Ivanti, che ha visto la partecipazione di 10mila professionisti dell’IT, manager e utilizzatori di tool a supporto del lavoro ibrido. I risultati sono spiazzanti: il 49% dei knowledge worker considera frustrante l’esperienza con i tool e gli ambienti IT forniti dall’impresa e il 65% è convinto che sarebbe più produttivo con tool migliori. Ancor più radicale è la conclusione secondo cui il 26% degli end user e il 31% del personale IT valuta di lasciare il proprio lavoro parzialmente a causa delle applicazioni e degli strumenti tecnologici disponibili.
È in atto un circolo vizioso. Un quinto degli employee ritiene che i problemi legati alla dotazione tecnologica e i relativi tempi di risoluzione siano le principali sfide del digital workplace, mentre l’IT viene letteralmente sommerso di ticket e non riesce a supportare gli utenti finali con un servizio veloce e di qualità, finendo per condizionare produttività, efficienza ed engagement. I budget non crescono, all’IT viene richiesto di fare di più con le stesse risorse di prima e il risultati sono questi.
I motivi di una digital employee experience rivedibile
Nella scelta degli strumenti a supporto del lavoro ibrido, l’experience dell’utente non è il primo requisito valutato dalle aziende: “I nostri interlocutori – ci spiega Marco Cellamare, Regional Sales Director Mediterranean Area di Ivanti – hanno iniziato a valutare la Digital Employee Experience, ma non ancora in modo prioritario. Prima dell’esperienza valutano solitamente produttività, funzionalità e gli economics”. Oggi, la digital employee experience è dunque un KPI, ma non ancora il principale. Non per tutti, almeno.
L’ovvia conseguenza è la frammentazione. I tool vengono acquistati e gestiti in modo separato, e quindi la grande attenzione per la user experience che si riscontra nei portali per i dipendenti si scontra poi con PC non performanti, con tempi lunghi di gestione dei ticket, con un’autenticazione frammentata tra le varie app, software non comunicanti, attività manuali e via dicendo.
Di fatto, il problema che affligge l’IT, e di conseguenza gli end user, è l’impossibilità di adottare un approccio sistemico, olistico alla digital experience. Certamente, la pandemia non ha aiutato: se l’attenzione per la UX, ci spiega Cellamare, stava crescendo prima del Covid, l’intento di mantenere produttive le persone ha assorbito nel 2020 buona parte delle energie. Fortunatamente, l’engagement sta tornando protagonista.
Verso la migliore Digital Employee Experience: le 4 sfide da vincere
Data una situazione di partenza tutt’altro che idilliaca, quali sono le sfide che l’IT deve vincere per ottimizzare la digital employee experience? Cellamare ne identifica quattro: “la prima è la governance dei dispositivi. L’IT deve avere una conoscenza approfondita e mettere sotto gestione tutto ciò che accede alla propria rete. Poi deve garantire alti livelli di qualità dei servizi, con velocità e precisione delle attività erogate. A titolo d’esempio, le risposte ai ticket devono essere rapide e vanno offerti strumenti self-service, a beneficio degli utenti”.
Terzo punto: l’hardware deve essere adeguato ai tempi, altrimenti le persone tendono ad usare dispositivi personali, determinando un aumento dei rischi di security. Quarto: la sicurezza, appunto, che deve abbracciare i dettami dell’approccio zero-trust. “Questi quattro fattori – conclude Cellamare – sono alla base di un workplace ibrido produttivo e sicuro, che Ivanti chiama Everywhere Workplace”.
Come ottimizzare (e monitorare) la digital employee experience
Vincere le quattro sfide di cui sopra è un indice di attenzione verso un’esperienza lavorativa moderna e connessa. A tutto ciò si possono sommare fattori come l’autenticazione sicura e unificata alle varie applicazioni aziendali, una sicurezza trasparente e un’automazione proattiva dei processi di supporto agli utenti.
Le aziende devono dunque indirizzare i propri sforzi verso l’adozione di un approccio sistemico in grado di stimolare la produttività, risolvere i colli di bottiglia e ottimizzare la work experience, senza concedere nulla sul fronte della sicurezza. Ma come si può valutare l’avanzamento verso questo obiettivo?
Nell’era digitale, tutto è monitorabile: nonostante la complessità di un paradigma agile in cui ognuno utilizza decine di app, in cui vi è compresenza di dispositivi diversi e una forte dissociazione tra lavoro, luogo e orario, è possibile far confluire tutte le interazioni tra persone e tecnologia in uno scoring sintetico di produttività e qualità dell’esperienza.
Sotto questo profilo, Ivanti ha un posizionamento privilegiato poiché le sue piattaforme abbracciano un po’ tutti i contesti in cui l’utente comunica con l’azienda attraverso la tecnologia. Monitorando in modo automatizzato i processi di autenticazione, le applicazioni, i device, il service desk, è infatti possibile “produrre una misura dell’impatto delle tecnologie sulla produttività dell’utente, superando le metodologie tradizionali come la survey dell’HR o quella dell’IT”.
Non solo: il monitoraggio può quantificare il grado di soddisfazione dell’utente, permettendo al management di agire di conseguenza. A tal fine, vanno introdotti dei sensori all’interno dell’infrastruttura (laptop, smartphone, servizi utilizzati dall’utente…) e, grazie agli algoritmi di AI, si possono identificare pattern di utilizzo, di comportamento e dati di performance, da cui estrarre valori numerici di produttività ed engagement. Ottimizzarli entrambi equivale a vincere la sfida del lavoro ibrido.