La Survey annuale compiuta dalla School of Management del Politecnico di Milano (205 tra Chief Information Officer e Chief Innovation Officer) aiuta a comprendere come si trasforma oggi nelle aziende la governance dell’innovazione in termini organizzativi. L’analisi dei dati è fondamentale perché è proprio da questi che si evince come l’IT “liquido” descritto nell’altro articolo di questo servizio, rappresenti un modello al quale tendere.
Di questo servizio fa parte anche il seguente articolo:
- L’INTERVISTA – Percorsi, modelli e competenze di un dipartimento IT sempre più “liquido” e innovatore
I Chief information officer in bilico tra consapevolezza e cecità
Quali sono le principali sfide organizzative che, secondo i CIO (Information o Innovation Officer che siano), le aziende devono affrontare per un’efficace gestione dell’innovazione digitale? L’analisi della figura 1 ci pone subito di fronte all’evidenza che i CIO mostrano una forte consapevolezza su alcuni aspetti, ma una preoccupante cecità su altri. Il 58% delle imprese intervistate, infatti, identifica la principale sfida nella Difficoltà a inquadrare processi e meccanismi di coordinamento e cooperazione tra Direzioni: i CIO sono perfettamente consapevoli che la pervasività dell’innovazione deve passare dalla ridefinizione di questi processi, ma si muovono ancora nella palude delle difficoltà di dialogo e del coordinamento tra le diverse aree aziendali.
Scouting, assessment e sviluppo di competenze digitali è la seconda sfida organizzativa, riconosciuta dal 51% dei rispondenti: assistiamo infatti a una “liquefazione” delle competenze digitali in tutte le aree aziendali e per il CIO diventa sempre più complesso identificare queste competenze all’interno dell’azienda (non fanno più capo esclusivamente alla Direzione IT) e, di conseguenza, comprendere le effettive carenze, le lacune, gli ambiti dove è necessario acquisire competenze dall’esterno ecc.
Who's Who
Alessandra Luksch
A fronte di queste due risposte, che evidenziano la consapevolezza di trovarsi in un momento importante di transizione organizzativa, è eclatante, per la cecità che invece dimostra, la scarsa percentuale (8%) che vede nello Scouting, assessment e sviluppo di competenze imprenditoriali una priorità: “Fenomeni come Airbnb e Uber – spiega Alessandra Luksch, Direttore della Digital Transformation Academy della School of Management del Politecnico di Milano, che aiuta nella lettura dei dati emersi dalla survey – ci hanno insegnato che, per fronteggiare la rapidità e l’imprevedibilità della digital disruption, è necessario andare oltre la pura attenzione agli indicatori di prestazione ed efficienza, aumentando la propensione al rischio e introducendo una cultura di accettazione dell’errore come prassi di sviluppo. Questo è un rinnovamento culturale forte che non può però venire solo dal basso. Non possono essere i singoli individui a rivedere la propria posizione di confort e i criteri con cui valutare il proprio operato. La spinta deve provenire dal vertice aziendale e deve essere connaturata con un rinnovamento nei sistemi di people management e di leadership, ma anche nei criteri di valutazione dei ritorni degli investimenti. La cultura imprenditoriale in azienda, favorita convintamente e concretamente dal vertice, può inoltre sostenere un nuovo entusiasmo da parte dei collaboratori nel condurre i processi di innovazione e nel rendersi promotori e imprenditori di soluzioni innovative”.
I 5 modelli organizzativi
La gestione dell’innovazione digitale è un percorso faticoso, complesso e lungo e quindi non stupisce la figura 2 dalla quale si evince che nella maggior parte dei casi (40%) si adottano team dedicati a specifici progetti o che (al secondo posto con il 31%) si tratta di attività non strutturate, con gestione occasionale in base alle richieste. Il 19% ha invece indicato la presenza di una Direzione Innovazione ed è stato andando a indagare a chi riporta questa direzione, che gli analisti del Politecnico hanno identificato cinque principali modelli organizzativi adottati dalle aziende oggi (figura 3).
1 – La Direzione Innovazione è un’unità indipendente che riporta al vertice
È un modello dove il grande vantaggio risiede nel dialogo diretto con il CEO, ma nasconde il pericolo della mancanza di condivisione degli obiettivi da parte delle altre direzioni aziendali se non si possiede una grande capacità di ascoltare e comunicare correttamente con queste stesse direzioni. Una criticità potrebbe essere costituita dallo spettro di competenze a disposizione che provengono in genere dalle altre direzioni aziendali: queste, se non vi è un’adeguata condivisione degli obiettivi e non sono sufficientemente incentivate, difficilmente metteranno le proprie migliori risorse a disposizione della Direzione Innovazione.
2 – La Direzione ICT riporta alla Direzione Innovazione
Anche in questo caso la Direzione Innovazione gode del grande vantaggio del contatto diretto con il Ceo; a questo si affianca il fatto che, inglobando il dipartimento ICT, acquisisce al proprio interno tutte le competenze tecniche necessarie. Un rischio possibile è rappresentato dal fatto che il dipartimento ICT, essendo a riporto della Direzione Innovazione, potrebbe defocalizzarsi dall’operatività dell’azienda trascurando così la qualità e l’efficacia del supporto alle normali attività delle altre Direzioni (soprattutto se le persone del dipartimento non hanno introiettato e fatto proprio quel dualismo sottolineato da Mariano Corso nell’articolo Percorsi, modelli e competenze di un dipartimento IT sempre più “liquido” e innovatore).
3 – La Direzione Innovazione riporta alla Direzione ICT
Come si vede dalla figura 3, è il modello che oggi ha la maggiore diffusione anche perché è quello probabilmente meno disruptive: “Tra le varie direzioni aziendali – precisa Luksch – la Direzione ICT è certamente la più vicina, per sua natura, ai temi e alle finalità di un programma di innovazione aziendale, che si fondi in particolare su una trasformazione digitale dei propri processi e/o prodotti/servizi. Pertanto la Direzione Innovazione trova frequentemente la sua collocazione naturale nell’ICT, almeno inizialmente, potendo contare su un ampio spettro di competenze differenziate e tecnologicamente solide”.
4 – La Direzione Innovazione dipende da una specifica Direzione che non sia quella ICT
Si tratta di un modello, sostengono gli analisti del Politecnico, che può essere molto efficace solo se si è in grado di identificare l’area veramente critica per l’innovazione in azienda ed è un’opzione particolarmente adatta per quelle aziende (come Telco, Media, Hi-Tech ecc.) dove l’innovazione di prodotto/servizio è centrale al business. Ma esistono altre due condizioni altrettanto importanti: forte relazione e continua comunicazione con la Direzione ICT per disporre delle necessarie risorse operative e tecnologiche; forte commitment del top management, altrimenti risulteranno difficilmente superabili le inevitabili inerzie e resistenze che un modello di questo tipo potrebbe indurre nelle altre Direzioni.
5 – Presenza di una cellula di innovazione in ogni area aziendale
È il modello sul quale ci siamo soffermati nell’articolo Percorsi, modelli e competenze di un dipartimento IT sempre più “liquido” e innovatore, dove la presenza di una figura (che può essere una persona singola o un team) focalizzata sull’innovazione in ciascuna area aziendale consente di comprendere meglio le esigenze dell’area stessa e, quindi, di interpretare in modo più efficace le reali opportunità di innovazione. È un modello che richiede una grande capacità di coordinamento (che nelle aziende analizzate nella survey viene, a seconda dei casi, svolta dalla Direzione ICT o dalla Direzione Marketing) e un forte commitment dalla direzione aziendale. Si tratta del modello sicuramente più disruptive, ma anche quello che, se correttamente interpretato, può sostenere la reale trasformazione digital oriented dell’azienda.