Il sistema della competizione e delle alleanze, come effetto della digitalizzazione globale, vede l’arrivo di nuovi competitor da settori diversi, spesso aziende native digitali, e la necessità per le imprese di cercare alleanze fino a poco tempo fa impensabili o entrare a far parte di nuovi ecosistemi.
Per avere la misura della spinta alla digitalizzazione, basti ricordare che a fine 2015 erano 2 miliardi le persone connesse a Internet e saranno 3 miliardi (metà della popolazione mondiale) entro il 2016. Chi non sarà in grado di diventare digitale sarà dunque escluso dal mercato globale.
Secondo lo studio “Digital globalization: the new era of global flows” di McKinsey, mentre i flussi mondiali finanziari e di merci hanno perso spinta, la banda crossborder utilizzata per trasferire dati è cresciuta di 45 volte negli ultimi 10 anni (da 4,7 Tpbs a 211,3 Tbps). Si prevede che cresceranno nove volte nei prossimi 5 anni i flussi digitali commerciali, di informazioni, di ricerche, video, comunicazione e traffico fra aziende. Questi flussi contribuiscono, secondo l’analisi econometrica di McKinsey, a incrementare del 10% l’entità degli scambi commerciali e degli investimenti diretti.
Ma l’enorme potenzialità dell’economia digitale è ancora scarsamente sfruttata a livello europeo, dove il 41% delle imprese non è ancora digitale e solo il 2% ha colto pienamente i benefici della digitalizzazione perdendo grandi opportunità, secondo le analisi dell’Unione Europea, che ha in cantiere programmi per favorire la digitalizzazione delle imprese e della società.
Lo sviluppo di applicazioni per il mobile ha creato, ad esempio, 500mila nuovi posti di lavoro negli Usa, una crescita che non si è vista in Europa. La Commissione Europea ha stimato che si potrebbero creare 1,5 milioni di nuovi posti di lavoro nel Vecchio Continente nell’economia digitale se si replicassero le performance degli Usa. A trarne vantaggio sarebbero soprattutto le Pmi, capaci di crescere molto più rapidamente e generare più lavoro delle grandi imprese con l’aiuto della tecnologia. La digitalizzazione avrebbe un impatto particolarmente positivo nel settore manifatturiero, un settore strategico per l’Italia, con concrete prospettive di rientro in Europa di parte dell’industria delocalizzata negli scorsi anni.
Un’ulteriore indagine McKinsey, focalizzata sul mercato Usa, stima che la digitalizzazione avrà impatti positivi sul mercato del lavoro, sull’efficienza del capitale investito (reso più produttivo grazie all’impiego di soluzioni basate su IoT che potranno ridurre i tempi di fermo degli impianti e i costi di manutenzione), sulla produttività grazie all’innovazione, alla maggior rapidità di sviluppo dei prodotti, alla maggiore efficienza per tutti i settori derivante dall’impiego di tecnologie come Big data e analytics, mobile, cloud, intelligenza artificiale,…
Per sfruttare pienamente i vantaggi, la società di ricerca suggerisce ai leader aziendali di:
- prepararsi a un competizione a 360 gradi sempre più dura; i confini fra settori hanno infatti scarso significato per un mondo digitale dove i nuovi leader di mercato nascono da un giorno all’altro;
- costruire nuovi asset e nuove fonti di fatturato per contrastare i modelli disruptive che arriveranno dai competitor digitali;
- costruire o comprare le future capability tenendo conto che l’agilità è fondamentale e che non è consentito fallire nelle capacità business critical;
- ridefinire il customer engagement, facendo leva sui dati generati dalle interazioni digitali per “aggiustare costantemente il tiro” del marketing;
- trarre vantaggio dai nuovi modelli di innovazione e abbracciare l’innovazione aperta e collaborativa coinvolgendo tutta l’organizzazione, i partner della supply chain, le comunità di ricerca e i clienti;
- puntare su agilità e sull’apprendimento; in un mercato in rapido cambiamento l’agilità è più critica degli esercizi sulle previsioni a lungo termine;
- ripensare in modo diverso la forza lavoro; per tenere il passo con tecnologie in rapida evoluzione, le aziende devono investire in talenti e in programmi di formazione.
Le priorità delle aree di intervento e le implicazioni sul piano delle scelte tecnologiche differiscono per i diversi settori merceologici sulla base dei diversi terreni sui cui si combatte la battaglia competitiva che si gioca sia sul fronte esterno, verso clienti e partner, sia verso l’interno, utilizzando la digitalizzazione per ottimizzare e rendere più fluidi i processi.
Negli articoli che seguono abbiamo analizzato con maggiore dettaglio l’impatto che le tecnologie digitali avranno su cinque diversi macro-settori (banche e assicurazioni, manifatturiero, retail, sanità e farmaceutico, utility e telco), non esaustivi del panorama imprenditoriale italiano, ma sicuramente rappresentativi.
Le aziende utenti che abbiamo incontrato percepiscono, pur con diversa intensità, la pressione competitiva che deriva dalla digitalizzazione e si apprestano a reagire da un lato sul fronte esterno, sia verso il cliente sia verso un ecosistema di partner, dall’altro su quello interno, per ottimizzare i processi. Sembrano in ogni caso intenzionati a far valere, rispetto a nuovi entranti, il vantaggio competitivo derivante dagli asset e dalle competenze nel settore, sfruttando al tempo stesso i benefici della digitalizzazione.
Fra le tecnologie abilitanti analizzate il cloud, la mobility, i big data e gli analytics rappresentano un substrato comune, come pure l’impiego di app e la creazione di un framework per accelerare lo sviluppo di prodotti e servizi. Il tutto pensato sia per migliorare la relazione con il cliente sia per ottimizzare l’attività dei lavoratori sul campo, per le attività di manutenzione o di produzione.
I diversi settori sono accomunati dalla consapevolezza di dover realizzare e fare i conti con un’informatica a due velocità, che da un lato deve garantire il business as usual ma dall’altro deve urgentemente avere competenze e risorse per la transizione alla digitalizzazione di tutta l’impresa, con tempi rapidi e modalità flessibili. Su piano organizzativo la scelta ricade quasi sempre su un’organizzazione It bi-modale, ma emerge in ogni caso l’esigenza che le architetture, le tecnologie e le organizzazioni siano integrate e “parlino” fra loro.