LONDRA – Il Gruppo bancario Cooperativo Iccrea è nato dalla fusione di centinaia di banche di credito cooperativo per fornire a questa rete di realtà molto integrate nei rispettivi territori, prodotti, servizi e supporti innovativi. È il quarto gruppo bancario nazionale, a cui fanno capo oggi 138 Banche di Credito Cooperativo, per un totale di circa 4,2 milioni di clienti e 2650 filiali distribuite in oltre 1700 comuni italiani.
A margine del recente Appian Europe 19, manifestazione internazionale sulla tecnologia low code Appian tenutasi lo scorso dicembre a Londra, abbiamo incontrato Cristiano Pietrosanti, Head of Transformation and Chief Data Officer, e Giovanni Gallucci, Head of IT Process Innovation, per discutere con loro di una nuova visione che il gruppo sta portando avanti nell’ottimizzazione e valorizzazione delle risorse umane, nella realizzazione rapida di nuove progettualità, in sintesi nella riproposizione del gruppo come soggetto in grado di accelerare la propria capacità di innovazione di applicazioni e servizi sia in risposta alla propria domanda interna, sia nei confronti del mercato. Una strategia in cui, vedremo, la tecnologia low code e l’automazione tecnologica in generale sono componenti di un quadro di trasformazione più ampio e in piena attuazione.
Una visione strategica orientata a processi e risorse umane
Cristiano Pietrosanti: Il cambiamento in atto all’interno del nostro gruppo, non parte dall’elemento tecnologico. Le soluzioni low code e tutto quanto ha a che fare con lo sviluppo di nuovi progetti e applicazioni, deriva da una visione strategica di gruppo orientata al miglioramento dei processi e ad una focalizzazione forte sulle risorse umane. È una trasformazione partita dall’area organizzativa dell’azienda, che si è interrogata su come elevare il livello di automazione dei processi interni per far sì che le risorse umane presenti potessero concentrarsi in attività a valore aggiunto: primo, la relazione con il cliente, perché soprattutto in ambito bancario, e ancor di più nelle banche di credito cooperativo molto radicate nei territori, il rapporto interpersonale è fondamentale. Secondo, la creatività, cioè consentire alle persone di avere tempo per pensare al di fuori dagli schemi. Terzo, potersi impegnare in attività particolari, specifici deal che possono essere gestiti solo da esseri umani. Tutte le attività che non rientrano in questi tre ambiti sono automatizzabili: processi bancari, task operativi ripetitivi, degli schemi decisionali basati su algoritmi…
ZeroUno: Ma l’automazione, perché non sia solo eliminazione di ripetitività ma si estenda con efficacia anche alla digitalizzazione dei processi e alla creazione di nuovi progetti applicativi, deve basarsi su un modello attuativo preciso e condiviso…
Pietrosanti: Esattamente. Abbiamo infatti investito parecchio tempo per creare un modello organizzativo di riferimento, attuando una metodologia che ci ha consentito di definire un modello operativo che applichiamo sempre prima di avviare qualsiasi progetto. Abbiamo in pratica fuso l’anima organizzativa orientata al lean management, che applica quindi tutti i principi del Lean Six Sigma [un concetto di gestione manageriale che combina la filosofia di produzione Lean con il programma di gestione della qualità, Six Sigma – ndr] con quella tecnologica, un’area IT esperta in tecnologie innovative, in particolare sul low code Appian e che utilizza la metodologia Agile con strumenti quali intelligenza artificiale, machine learning, Bpms, ecc. Un panorama di soluzioni che vengono declinate però sempre secondo la prospettiva del cliente [interno al gruppo – ndr] e le sue esigenze. Per questo era necessario che queste due unità lavorassero insieme fin dalle prime fasi di definizione di ogni progetto di digitalizzazione e automazione.
Il continuous improvement in Iccrea
ZeroUno: Sta disegnando un quadro che è l’ideale espressione teorica di un approccio progettuale. Ma quali sono nella pratica le modalità di interazione tra le varie anime, cioè quella organizzativa, quella tecnologica e l’universo dei clienti?
Giovanni Gallucci: Le due metodologie di riferimento fuse insieme, la Lean e l’Agile, adottate dalle aree Organizzativa e Tecnologica, condividono gli stessi principi di continuous improvement e portano entrambe in dote il coinvolgimento del business, dall’inizio del progetto e per tutta la sua durata. Grazie a questa partecipazione continua, il business vede l’applicazione come un qualcosa che ha creato lui, non l’IT: dalla formulazione teorica alle diverse funzionalità operative. Questo ci consente di realizzare sempre un’applicazione conforme appieno al processo che l’azienda vuole attuare. Questo è senza dubbio una delle più grandi vittorie possibili, perché oggi è questo il vero problema legato al cambiamento e alla digitalizzazione: l’azienda chiede che i processi e le attività si svolgano in un certo modo, poi, molto spesso, per problemi di operatività quotidiana, difficoltà tecnologiche, difficoltà di recupero delle informazioni, rigidità organizzative e quant’altro, il processo agito è un’altra cosa, e si prendono derive procedurali sbagliate.
ZeroUno: Quali sono i punti guida di questo confronto ricorsivo tra organizzazione, IT e clienti? Saranno all’ordine del giorno criticità, elementi di frizione, punti di vista e competenze diversi che si devono armonizzare…
Pietrosanti: In tutte le fasi progettuali ognuna delle due unità, Organizzazione e IT, ha un compito di guida o di follower, però sono sempre entrambe presenti, insieme alle varie unità di business coinvolte. Abbiamo una sala dedicata per sviluppare questa progettualità, con una parete totalmente scrivibile e una lavagna digitale touch, perché il mondo lean è molto visuale. Il processo viene disegnato e messo di fronte agli occhi di tutti in modo che le persone riescano a definire bene il modo di lavorare attuale e quello che vorrebbero fosse il processo futuro. Nelle riunioni successive si comincia a vedere all’interno della lavagna digitale l’applicazione su Appian che propone il processo disegnato alla parete. Tutti hanno la possibilità di modificare l’applicazione, dettare aggiustamenti, e nel giro di 2-3 incontri l’applicazione è chiusa.
Capita che gli utenti arrivino con l’impronta del tradizionale rapporto business-IT, cioè vengo con il libro delle specifiche, te lo do, tu sviluppi qualcosa e poi litighiamo…Adesso entrano in una stanza dove non si scrive niente ma si disegna insieme, si co-progetta secondo una metodologia che è un punto di riferimento per il percorso di confronto, di modalità di sviluppo. È un modo completamente diverso di interazione che dà tanta soddisfazione agli utenti.
Quali criticità
ZeroUno: E le criticità? In questi confronti, la cultura IT legacy, consolidata nei decenni, che tipo di approccio sta avendo?
Gallucci: Bella domanda! Questa è dura! Posso averne un’altra? Scherzi a parte: onestamente, l’IT che gestisce i sistemi legacy, molto spesso non capisce questo nuovo mondo. Le stesse tecnologie che si usano impongono un modo diverso di lavorare: scrivere una procedura Cobol, Java o altro, vuol dire avere ben chiare le specifiche fin dall’inizio perché devo scrivere 48 milioni di righe di codice e se non ho chiaro dove devo arrivare, il rischio di scrivere un sacco di stupidaggini è elevato. Le tecnologie low code come Appian, questo problema l’hanno risolto perché non è importante capire fin da subito dove devo arrivare: facciamo un pezzetto per volta e facciamolo funzionare insieme. Se ci rendiamo conto, nella fase successiva, che qualcosa nell’applicazione va cambiato, questo non rappresenta un problema perché non ci sono milioni di righe di codice su cui intervenire ma degli oggetti che devono essere configurati in maniera diversa. Un’attività per sua natura molto semplice, veloce e incrementale, nell’ordine dei minuti. Servono certo competenze, ma non ipertecnologiche, piuttosto competenze di prodotto. Appian è una piattaforma che chi la usa deve conoscere, altrimenti i guai li crei lo stesso. Non parliamo quindi di una decadenza delle competenze necessarie, piuttosto di un cambiamento delle competenze a vantaggio delle performance implementative. Il low code ti permette di essere più veloce e più aderente a quello che ti viene chiesto, perché modelli l’applicativo insieme a chi te lo chiede. Questo per noi è davvero disruptive.
Una relazione business-IT sempre migliore
ZeroUno: Quindi il famoso quanto complicato rapporto business-IT sta migliorando…
Gallucci: La metodologia, con lo strumento adatto, ha colmato la distanza e l’incomprensione tra utenti e IT, almeno nel nostro caso…Questo significa avere degli amici nel business, non più dei clienti, amici con cui lavorare insieme per un risultato che deve essere sentito proprio. Vedendo l’applicazione come una loro creatura, la sposano, la sponsorizzano…
ZeroUno: E nell’IT…
Gallucci: Nell’IT serve conoscere bene la complessità e la ricchezza funzionale della piattaforma low code, come affronta e risolve certe problematiche, ma poi esiste una fenomenale semplicità realizzativa. Certo la persona cresciuta con Java e Cobol difficilmente la converti. Peraltro sono competenze importanti da mantenere perché non sono certo ambienti applicativi che scompariranno dall’oggi al domani…
Pieitrosanti: Indubbiamente il tema culturale dell’IT esiste. Questo nostro approccio è disruptive, non tutti sono pronti ad abbracciarlo. C’è una naturale resistenza al cambiamento, una diffidenza che stiamo cercando di scardinare attraverso l’evidenza dei risultati. Ad esempio, dopo una fase prototipale, durante la quale abbiamo comunque rilasciato 13 applicazioni, faremo quest’anno un’attività più industriale di sviluppo applicativo. Abbiamo dei business plan che produrranno tanto di quel valore che queste modalità di lavoro saranno capite da tutti nella loro potenzialità. Ci stiamo dando degli obiettivi di contrazione di risorse coinvolte in alcune attività operative da indirizzare su altre aree dove c’è maggiore bisogno. E’ un piano di riconversione di competenze, al posto di nuove assunzioni, che genererà un enorme ed evidente valore per la banca.
ZeroUno: E che tipo di potenzialità vedete per questo modello organizzativo e per queste tecnologie applicandoli a strategie per il mercato dei clienti finali?
Pietrosanti: Abbiamo già lavorato con il top management per realizzare servizi in grado di facilitare l’interazione cliente-banca e migliorare la capacità di innovazione di offerta. La velocità e la facilità di fruizione sono la chiave di lettura. Più riusciamo ad essere vicini, come risposta, all’istante della richiesta, più il cliente sarà soddisfatto. Qualora questo processo non fosse completamente comprimibile, vogliamo consentire al nostro cliente di vedere sempre lo stato di avanzamento di ciò che ha richiesto, e anche di interagire, così si riduce l’ansia. Esattamente come avviene, in Amazon, con il tracking del pacco, cosa possibile solo grazie ad Appian. Terzo step, ancora in fase embrionale: in un processo, l’azione si compone anche di una componente destrutturata che è quella di comunicazione tra i vari soggetti. A tutte le competenze, che devono essere orchestrate all’interno del processo, vorremmo quindi abilitare una modalità di collaborazione e comunicazione social “Facebook style”. E come ultimo passo, integrare in questo flusso anche il cliente finale. Ma qui stiamo parlando di qualcosa ancora da realizzare. D’altro canto…l’appetito vien mangiando.