Ict strategic sourcing: fotografia di un mercato che cambia

È dato ormai per assodato che il ricorso all’Ict sourcing non è più solo un modo per ridurre i costi It, delegando all’esterno attività ritenute non core business e trasformando costi fissi in variabili, ma è anche il prodotto di scelte di respiro strategico, che mirano soprattutto ad accelerare l’adozione di tecnologie innovative.

Pubblicato il 26 Gen 2010

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Affrontare oggi il tema dell’Ict sourcing, termine che da qualche tempo ha preso il posto di quello ormai inattuale di outsourcing, significa innanzitutto tenere conto di due fenomeni concomitanti: il primo è la crisi economica, che ha spinto molte imprese a cercare, anche nell’Ict, dei modi per ottenere gli stessi risultati di prima spendendo meno; il secondo è l’evoluzione tecnologica che ha portato sempre di più a rendere fruibili dall’esterno delle aziende applicazioni e servizi infrastrutturali: parliamo delle offerte di tipo Software as a service, per quanto riguarda le applicazioni aziendali, e di capacità elaborativa, storage, sicurezza, disaster recovery e altre funzionalità, per quanto concerne le infrastrutture.
Nel 2009 la School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net) ha condotto in Italia una ricerca su questo tema intervistando 170 Ict manager, 30 rappresentanti del mondo dell’offerta e analizzando 80 casi utente.
La ricerca ha preso innanzitutto in esame gli effetti che la crisi finanziaria, iniziata a metà del 2008, ha avuto sulle scelte di Ict outsourcing. Per la maggior parte degli indicatori, l’Osservatorio ha messo a confronto le risposte fornite dai rappresentanti della domanda e da quelli dell’offerta, evidenziando, in alcuni casi, delle differenze di vedute interessanti. Un dato sul quale c’è abbastanza consenso tra clienti e fornitori è che la crisi ha portato le imprese a chiedere una rinegoziazione dei contratti per ridurre i costi. Questo è il principale effetto determinato dalla crisi per il 72% degli Ict manager, mentre risulta il secondo (con il 60% delle risposte) agli occhi dell’offerta. Questa, invece, pone al primo posto (67% del panel) la riduzione del numero dei fornitori. Una tendenza che conferma il 49% dei clienti, e che risulta a pari merito con la richiesta di un maggiore contributo all’efficienza richiesto al fornitore. Inoltre, il 50% degli Ict manager indica, tra gli effetti principali della crisi, l’esternalizzazione delle attività Ict (è d’accordo, invece, il 30% dei fornitori) (vedi figura 1).

Figura 1: Principali effetti della crisi sulle scelte di Ict Sourcing
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Diverse conferme a questi dati sono arrivate da alcuni Cio intervenuti al convegno di presentazione dei risultati della ricerca. “In un’azienda “Ict intensive” come la nostra – ha dichiarato per esempio Massimo Pernigotti, Cio di Edison (www.edison.it) – la crisi ha provocato una pressione sull’Ict a fare di più con meno. Nel nostro caso c’è stato un aumento di insourcing, ma soltanto sui fronti delle competenze, con l’obiettivo di incrementare le capacità di controllo. Nei confronti dei fornitori abbiamo ritrasmesso l’input di ottenere gli stessi risultati ottimizzando i costi. E lo abbiamo fatto mirando a sviluppare un approccio di tipo win-win”. Che non ci siano state riduzioni del ricorso all’outsourcing l’hanno confermato anche Paolo Torelli, responsabile Servizi e Tecnologie Sistema Informativo di Credem (www.credem.it), e Massimo Viacava, Cio di Barilla Holding (www.barillagroup.it). “Nel nostro caso – ha detto Torelli – anche di fronte alla crisi abbiamo confermato le scelte passate. Utilizzare un data center in outsourcing ci permette di ovviare a limiti che prima ci penalizzavano rispetto alle realtà bancarie più grandi. All’interno possiamo concentrarci di più su come utilizzare le tecnologie per migliorare i servizi alla clientela e ottemperare agli obblighi di compliance”. Gli fa eco Viacava: “Nei momenti di crisi bisogna investire di più. Da anni noi abbiamo effettuato una scelta di outsourcing globale che ci consente di usufruire di tecnologie sempre allo stato dell’arte e di adottare velocemente e in modo flessibile gli stessi processi in tutte le parti del mondo”. Per quanto riguarda il tema della riduzione dei fornitori e delle rinegoziazioni, il Cio di Barilla ha affermato che “una strategia multivendor porta tutti a essere più motivati. Per ciò che concerne i contratti, a seguito della crisi noi abbiamo effettuato alcune rinegoziazioni. Inoltre siamo sempre pronti a cambiare: abbiamo recentemente sostituito un grande database dopo solo un anno dall’adozione. E per quanto riguarda gli strumenti office, siamo sempre disponibili a valutare alternative open source o SaaS”.

Figura 2: Livello di adozione dei modelli as a Service
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Con il Cio di Barilla apriamo il capitolo dell’offerta di Ict outsourcing disponibile e di quella alla quale le imprese effettivamente ricorrono. Dalla ricerca e dagli interventi al convegno sono emerse posizioni discordanti. C’è chi lamenta la scarsità di offerta e chi, invece, ritiene che siano le imprese a non avere sufficiente coraggio ad adottare i modelli di Ict sourcing più innovativi. Secondo l’Osservatorio, il 52% delle aziende intervistate utilizza i nuovi modelli as a Service in Italia a supporto di almeno un’attività. Solo il 9% non si è ancora avvicinato al tema (vedi figura 2). Gli altri si trovano in stadi intermedi di sperimentazione. Entrando nel dettaglio degli ambiti di utilizzo, si scopre che a guidare la classifica (con il 37% degli intervistati) sono i servizi applicativi relativi all’amministrazione delle risorse umane (vedi figura 3). Seguono, con il 23%, la conservazione sostitutiva dei documenti e i servizi di backup e security. Nelle posizioni sottostanti si rilevano ancora servizi infrastrutturali, come la capacità elaborativa (22%) e quella di storage (21%), mentre per ritrovare altri servizi applicativi si deve arrivare al Crm e al procurement, entrambi al 16%. Subito dopo arrivano i sistemi di Unified collaboration e communication, con il 15%, seguiti dal supply chain management (12%), dall’amministrazione finanza e controllo (11%), dalla business intelligence (10%) e dai sistemi di produttività individuale (4%).

Figura 3: Livello di adozione dei modelli as a Service per ambito
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Se si esclude il Crm, che da anni vede la presenza di offerte di tipo SaaS alternative alle soluzioni on-premise, sono poche le soluzioni fruite as a Service che non siano di tipo commodity o comunque non core business. “Sono deluso da come i fornitori trattano le banche” ha attaccato nella tavola rotonda Massimiliano Baga, della Direzione Applicazione Core Banking e Governo di Ubi Sistemi e Servizi (www.lombardasistemiservizi.it). “Incontro molti fornitori di servizi di sourcing ma quasi nessuno propone SaaS qualificanti. E questo pur in presenza di un mercato disposto ad adottarli”.
In effetti di aziende disposte ad abbracciare i modelli SaaS e di cloud computing per risolvere problemi di business cominciano ad essercene. Lo dimostra il caso di Mossi & Ghisolfi (www.gruppomg.com), un’azienda italiana divenuta leader mondiale nel settore delle bottiglie Pet. “Dopo aver acquisito da Shell un’azienda operante nel mercato Nafta (North American Free Trade Agreement – ha raccontato Marco Zanussi, Cio e Hr Corporate Director dell’omonimo gruppo – ci siamo ritrovati il problema di gestire una logistica basata quasi completamente sui treni merci, invece che sui camion, come avviene da noi. La Shell aveva sviluppato un’applicazione che non ci ha venduto. Per fortuna abbiamo trovato una software house di Houston con una soluzione per la logistica ferroviaria fruibile in modalità SaaS. Il ricorso a questo software non ci ha impedito di mantenere una governance centrale del processo”.
Secondo la ricerca, infine, nei contesti in cui cresce l’utilizzo strategico dell’Ict sourcing, i Cio e i dipartimenti It non perdono il loro ruolo. Cambiano semmai i rapporti tra alcune competenze. Nel 79% dei casi in cui sono adottati modelli as a Service, lo sponsor è proprio la Direzione Ict. Seguono, con il 24%, la direzione generale, con il 13% la direzione amministrazione e finanza, con l’11% le Line of business, con il 10% la direzione acquisti e con l’8% la direzione risorse umane.
I Cio, però, si ricava dalla ricerca e da alcuni degli interventi che si sono susseguiti al convegno, devono impegnarsi di più a non vedere l’Ict sourcing solo come un’alternativa per risolvere problemi di budgeting e di asset management, ma a considerarlo davvero come un territorio dove scoprire, con un pizzico in più di curiosità e di coraggio, soluzioni in grado di aumentare l’efficienza e la competitività aziendale.

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