Al Simposio Emea di Gartner, Peter Sondergaard, capo della Ricerca globale, invita i Cio a “Re-immaginare l’It” e mettersi alla testa di un dipartimento che si fa carico di supportare un business ormai “post moderno”. Come? Pilotando tutta l’It aziendale, innervata nelle Unità di Business, a partire dal Marketing, E mettendo a punto un piano di “distruzione creativa” delle soluzioni legacy per puntare ad applicazioni estremamente semplici “centrate” sul Cliente
Pubblicato il 13 Mar 2012
Per guardare avanti di cinque anni, Peter Sondergaard, Head of global Research Gartner, propone un salto indietro di venti. Dal palco del Simposio Emea, anfiteatro che accoglie 3200 It leader di vario livello e settore, c’è un pullulare di portatili, iPad e cellulari. “Vent’anni fa non si sarebbe visto armeggiare nessuno, forse uno si sarebbe alzato per andare a spedire un fax”, esordisce Sondergaard. “Oggi nel mondo ci sono 800.000 smartphone, 1,5 miliardi di Pc, 2 miliardi di Internauti, 3,5 miliardi di persone con cellulare, 5 miliardi di dispositivi connessi a Internet, 87 miliardi di ricerche Google al mese, 28 exabyte di dati e 350 exabyte di storage per dati”.
“Per massicci che siano stati i cambiamenti in venti anni – chiede Sonderggaard – è pronto l’uditorio a mutamenti ancor più dirompenti nei prossimi cinque?”.
L’analista prevede l’incombenza di una nuova era di collaborazione di massa, esito dell’intelligenza di massa penetrata in azienda con la consumerizzazione dell’It.
I toni di Sondergaard, rivolgendosi direttamente ai Cio, sono prescrittivi e preoccupati: “per sopravvivere in questo nuovo ambiente voi leader It dovete “re-immaginare” il vostro ruolo, mettendovi alla testa del cambiamento. E fare tre cose:
abbracciare l’idea del “business post-moderno” trainato dalla relazione col cliente (che è ovunque);
perseguire un’estrema semplicità e rendere la tecnologia invisibile (l’obiettivo è finalizzato sempre a mettere i clienti al centro del disegno);
osare una “distruzione creativa” che porti gradualmente all’eliminazione dei sistemi legacy (naturalmente partendo da quelli a impatto zero o molto basso sul business)”.
“L’azienda deve sintonizzarsi con un mondo in cui sono i computer ormai che lavorano con la gente (e non più il contrario) e l’impatto della tecnologia sulla società è tangibile e potente: con Twitter, Facebook e YouTube, per esempio, i nuovi smartphone hanno fatto da innesco alla primavera araba, fronteggiato l’emergenza tsunami in Giappone, aiutato attivisti globali come Los Indignados”, osserva Sondergaard. “La nuova era di collaborazione di massa porta a rivoluzioni ma fa anche da propellente all’economia. Che l’It sia motore primario della crescita del business lo pensano due Ceo su tre, che si aspettano un contributo al business maggiore in questa decade rispetto ad ognuna delle tre decadi precedenti”.
“L’It non è più un astante passivo: l’impatto delle azioni dei professionisti It arriva a rimodellare addirittura lo sviluppo della politica globale”, afferma l’analista di Gartner.
Il “nesso” tra le forze dirompenti
Quattro le nuove forze decisive in campo: cloud, social network, mobilità e un’esplosione di informazione. Prese da sole sono di per sé innovative e dirompenti, ma insieme creano la “tempesta perfetta” che rivoluziona il business – e la società. È “il nesso tra queste forze a definire la nuova era per l’elaborazione dati”, dice Sondergaard.
Il cloud combina l’industralizzazione delle capacità It con l’impatto dirompente di un nuovo modello di business trainato dall’It: ciò che la supply chain ha fatto al manufacturing, il cloud computing lo fa a infrastruttura, applicazioni e piattaforma di sviluppo, consentendo di ottimizzare le operazioni It intorno alle “capacità differenzianti” (che restano in house). “Certo, lo scostamento dal modello tradizionale di acquisizione è agli inizi”, osserva Sondergaard. “Gartner ha stimato la spesa globale 2010 in servizi cloud pubblici a 52 miliardi di euro, il 3% della spesa It delle imprese. Ma entro il 2015 i servizi pubblici cloud cresceranno cinque volte più veloci della spesa It d’impresa”.
Ergo, comprato sul mercato pubblico o costruito, cloud è la prima mossa per investire per la nuova era.
La seconda forza è il social computing, con 1,1 miliardi di persone che interagiscono sui social network, un sesto della popolazione mondiale. “Ha raggiunto lo stadio di coinvolgimento di massa di clienti, cittadini e dipendenti nei sistemi d’impresa”, puntualizza l’analista. “Se non già fatto, è da incorporare immediatamente nelle capacità corporate dell’insieme dei sistemi d’impresa. Per l’azienda i social media costituiscono fondamentalmente una sfida di leadership e di management”.
C’è poi l’informazione, “il petrolio del 21° secolo – con gli analytics che sono il motore”. “Tramontato il concetto di una Datawarehouse d’impresa contenente tutte le informazioni utili alle decisioni – afferma Sondergaard -, lo scenario è quello di sistemi multipli (Content Management, Datawarehouse, Datamart, File system specializzati) fra loro collegati da data service, e che con i metadata diventano un sistema di “intelligence d’impresa”. Un simile cambiamento nella strategia di data management crea un insieme di informazioni di varietà e complessità senza precedenti, ormai noto come big data, che si riesce a gestire dotandosi di framework architetturali appropriati”. Che Sondergaard chiama una “pattern based architecture”, capace di “eseguire” la pattern based strategy: di ricercare segnali di opportunità o rischi in avvicinamento, di modellarne l’impatto e adattandone i processi di business.
C’è poi tutta la “forza” del mobile, con “l’angoscia di non riuscire a muoverci abbastanza in fretta – commenta Sondergaard – dato che l’It ha speso due decadi per passare da un’informatica centralizzata a un It disegnato sull’elaborazione distribuita (personal computing); ma il mobile è già qui: la base installata 2010 di Pc laptop, netboook e smartphone ha superato quella dei Pc desktop. Ed entro il 2014, l’installato dei dispositivi con sistemi operativi come Android di Google, Ios di Apple, Windows 8 di Microsoft su Nokia, Rim di Blackberry supererà quello di tutti i sistemi installati su Pc (fissi e mobili). Per non parlare poi del fenomeno tablet. Vendute 20 milioni di unità nel 2010 (una minoranza i non iPad), ma proiettate a 918 milioni nel 2016 (un tablet ogni otto persone sulla Terra)”.
Il sorpasso entro il 2014 è una sfida enorme: “costringe a re-immaginare tutto il modo con cui si sviluppano e rilasciano le applicazioni”, riflette Sondergaard. “Il mobile computing non è solo traslazione dell’applicazione desktop sul dispositivo che abbiamo in mano: le applicazioni vanno ridisegnate, per essere “sensibili al contesto” (context aware computing) o, in certi casi, anche al luogo dell’utente fruitore. (si pensi ai Paesi che ancora applicano censure come la Cina – ndr)”.
Così cloud, social, informazione e mobile si combinano in un nesso in cui al data center subentrano i data cloud; i dispositivi mobili diventano finestre nel cloud personale; il personal computing diventa computing di massa collaborativo; e la stessa Information Technology cede il passo ad una un’informazione ecosistemica intelligente di livello superiore. Sondergaard la chiama “Information Ecology”, scandendo: “noi di Gartner crediamo che l’impatto congiunto di queste forze renderà obsolete le architetture degli ultimi vent’anni”.
Rischio: va valutato nel contesto di business
Nel ragionamento di Sondergaard, parte integrante del business postmoderno è la rivalutazione del rischio nel contesto dell’associato valore business (business outcome) e non solo del buon fine del processo informatico. “Serve un nuovo approccio al rischio che superi l’ossessione della gestione It di proteggere dati operativi in assoluto, e che evidenzi, inevce l’associazione (che l’It ignora) del rischio con la realizzazione di risultati di business (che dipendono quindi anche dal rischio)”.
Il Risk Management deve quindi essere inserito in un contesto di business e diventare “Risk adjusted value management”. Come i Key Performance Indicator si usano per misurare il grado di successo, all’organizzazione servono dei Key Risk Indicator che misurino i gradi di rischio, per una vista informata da cui derivare come agire. In un’economia difficile come l’attuale, le aziende che usano i Key Risk Indicator “supereranno in performance i loro concorrenti”, conclude Sondergaard.
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