Il digital, leva di sviluppo per il Made in Italy

Esperienze di digital marketing per lo sviluppo del business e del brand. Valorizzando il Made in Italy, favorendo le esperienze digitali–mobile degli utenti. Indicazioni per nuove strategie, errori da evitare, percorsi da seguire

Pubblicato il 27 Lug 2015

FIRENZE – All’interno del recente incontro internazionale WWW2015, rivolto soprattutto a computer scientist, si è deciso di organizzare un evento sul digital marketing. “Essendo in Italia e a Firenze, abbiamo colto l’occasione per trovare un’intersezione fra digital e Made in Italy”, ha ricordato Pier Paolo Bucalo di A12Lab & Arcadia University, uno degli organizzatori dell’incontro.

Barilla, Alitalia, Luxottica, Mastroberardinino, AS Roma, Hogan, Gruppo Buccellati, alcuni dei marchi del made in Italy che hanno partecipato all’incontro, pur nelle differenti peculiarità, hanno manifestato due aspetti in comune: la grande attenzione agli aspetti organizzativi e l’esigenza di raccontare marchi e prodotti. Questa la sintesi di Carlo Alberto Pratesi, professore presso Roma Tre University, altro organizzatore della giornata, oltre che chairman della tavola rotonda, che aveva l’obiettivo di capire le problematiche delle imprese del Made in Italy nel momento in cui trasferiscono online il loro marketing.

Da sinistra: Luca Lo Curzio, Head of Global Marketing, Retail Sun and Luxury, Luxottica – Alessio Gianni, Global Social Media & Digital Marketing Director, Barilla – Nicola Arnese, VP eBusiness & Digital, Alitalia – Gianluca Brozzetti, CEO, Gruppo Buccellati

Una digitalizzazione diffusa potrebbe portare un gran bene al Made in Italy, soprattutto alle Pmi che ancora faticano a sfruttarlo per una maggior presenza internazionale. Risulta dunque particolarmente utile analizzare le esperienze di grandi marchi nazionali che possono essere d’esempio a chi è ancora alla finestra.
Il punto di partenza è osservare le abitudini del cliente, connesso 24 ore su 24, soprattutto da mobile, come ricorda Luca Lo Curzio, Head of Global Marketing, Retail Sun and Luxury, Luxottica: “Il cliente ha già fatto la sua scelta: vuole entrare in contatto con i marchi senza distinzione fra canali. Si tratta di vedere quanto noi siamo veloci a fornire la risposta che cerca: è una sfida che ha complessità organizzative, logistiche e tecnologiche”.

La scelta del linguaggio giusto

Molta attenzione va posta nella scelta del linguaggio, esorta Guido Fienga, Head of Strategy & Media, AS Roma. “All’inizio abbiamo fatto l’errore di non adattare il linguaggio ai diversi media. Non è detto che un canale che funziona su un mercato possa funzionare anche per un altro, né che un social è efficace in una lingua lo sia anche in un’altra”.

Da sinistra: Piero Mastroberardino, Owner, Mastroberardino Winery and Professor of Management, University of Foggia – Guido Fienga, Head of Strategy & Media, AS Roma – Alessandro Pacetti, Digital PR, Hogan – Carlo Alberto Pratesi, professore presso Roma Tre University

“Un errore commesso e corretto è stato declinare su tutte le digital property il contentuto del sito, mentre abbiamo poi capito che è necessario diversificarlo per i diversi canali”, concorda Alessandro Pacetti, Digital PR, Hogan.
Particolarmente sensibile al tema del linguaggio è Alitalia, come testimonia Nicola Arnese, VP eBusiness & Digital: “Il digitale ha comportato un abbassamento del livello di linguaggio che deve essere sintetico e contestualizzato. La nostra priorità è la presenza in tutte le lingue (ne copriamo 20) e la velocità”. Un software intelligente che apprende dagli errori si affianca ai traduttori per distribuire i contenuti nei siti dei diversi paesi. La velocità viene al primo posto, mentre si dà per scontato che funzionalità non perfette al go-live in siti di e-commerce complessi possano essere perfezionate successivamente. “Preferiamo entrare subito su un mercato e migliorare successivamente anche con l’apporto dei clienti, sfruttando le potenzialità della tecnologia”, dice Arnese.
“Anche se il cliente non parla di omnichannel, ha acquisito di fatto questo modello che però varia per i diversi settori – sostiene Gianluca Brozzetti, CEO, Gruppo Buccellati – Restando nel segmento del lusso, nel settore dell’oreficeria è ancora raro che qualcuno compri un diamante online, un canale utilizzato soprattutto per informarsi”.

Digital ed e-commerce non sempre vanno d’accordo
Non sempre dunque il digital serve per vendere, anzi “nel settore del vino l’e-commerce può essere un complemento di servizio per un target alto (chi in particolare vuole specialties). Questo approccio si scontra con le nostre logiche di commercializzazione – sostiene Piero Mastroberardino, owner di Mastroberardino Winery e Professore di Management dell’università di Foggia – Abbiamo spesso rifiutato le offerte degli operatori dei canali digitali, che consideriamo estremamente rischiosi. Vogliamo infatti seguire le nostre bottiglie in giro per il mondo in modo che siano nei punti di ristorazione che noi selezioniamo”. La scelta è allora di fare offerte specifiche ad esempio una verticale di Taurasi, disponibile su e-commerce per un certo numero di settimane. E qui la logica non è tanto vendere ma comunicare e promuovere, restando su piccoli numeri.
Si deve in ogni caso evitare di utilizzare in modo improprio per la promozione di prodotti o, peggio, la vendita, i social, che vengono invece visti da chi vi partecipa come strumento di relazione. Avverte Lo Curzio: “Anche se alle aziende i social network fanno gola per il forte engagement, la vasta platea, il basso costo di contatto, si deve evitare il rischio di utilizzare il social con fini diversi da quelli per cui è nato, ad esempio fini promozionali, ricordando che nessuno vuole essere amico di una promozione. E’ un rischio che alla lunga si paga”. Per non snaturare la natura dei social bisogna resistere alla pressioni, suggerisce anche Fienga, ed evitare di usare i media per la promozione vendite.
Concorda Alessio Gianni, Global Social Media & Digital Marketing Director, Barilla, che mette in guardia dal rischio dell’autoreferenzialità: “Le marche devono prendere atto della rivoluzione copernicana che oggi rende sbagliato mettere il brand al centro. Nel nostro caso, le persone non vengono sul nostro sito per cercare la pasta ma le ricette”. Seguendo questa strategia Barilla intende investire soprattutto non sulle proprie ma sulle property di altri. Un esempio è la recente partnership con il più importante editore di ricette online, giallozafferano.it.

L’organizzazione digital
Per aziende come quelle del Made in Italy, diventare digitali comporta un percorso irto di difficoltà che richiede anche un certo coraggio. L’esperienza che meglio lo testimonia è quella di Barilla, oggi all’inizio del terzo step nella realizzazione di un’organizzazione digital strutturata, studiata a tavolino e partita con la creazione di un’unità dedicata. Oggi le persone che facevano parte del team di Digital Marketing si sono spostate all’interno dei team di Marketing e rispondono funzionalmente ai direttori marketing, mentre il Digital Marketing come funzione è all’interno del Global Marketing. “Abbiamo deciso di lavorare su due fronti: portare le persone cresciute nel Digital Marketing all’interno del Marketing per far sparire questa distinzione e acquisire nuove leve che hanno già una cultura e un linguaggio digitali”, spiega Gianni, che attualmente come DMD riporta al capo del marketing (CMO).
Questo risultato corrisponde alla considerazione di Alessandro Zanotti, Executive Director Digital, The Boston Consulting Group: “Un’organizzazione è veramente digital quando la parola digital scompare dagli organigrammi”.
Zanotti individua sostanzialmente quattro modelli, basati sull’osservazione delle esperienze aziendali, che possono anche corrispondere a diverse fasi: il primo vede il digitale fisicamente separato, il secondo lo vede presente nelle diverse unit, il terzo prevede un centro di eccellenza ma vede la duplicazione di alcune funzioni, il terzo è totalmente centralizzato.
Il percorso prevede che nella fase iniziale, per innovare, si crei un team dedicato. “Nelle aziende dove il digital ha un ruolo importante, l’organizzazione è tendenzialmente centralizzata, mentre le organizzazioni dove il digital non ha ancora un ruolo rilevante tendono ad avere un’organizzazione del digitale maggiormente decentralizzata – osserva Zanotti che conclude “Non esiste un modello migliore ma è importante la coerenza rispetto alla fase di sviluppo”.

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