Negli anni a venire, il lavoro proseguirà sulla linea della connotazione ibrida, ma le dinamiche organizzative e i processi operativi dovranno cambiare: infatti, non è possibile effettuare una trasposizione dei modelli attuali, basati su orari e luoghi prestabiliti, all’interno di uno scenario più liquido, dove si fondono presenza e distanza.
Da questi ragionamenti è nata la Future of Work Week, un evento di più giorni promosso da Cisco per discutere le tendenze che stanno cambiando e caratterizzeranno il mondo del lavoro, portando l’attenzione su tre aspetti: tecnologie, persone e spazi.
Alla conferenza stampa di apertura, il management della multinazionale spiega gli obiettivi dell’iniziativa, fornendo alcuni ragguagli sulle strategie aziendali e i trend in atto.
Il tema della trasformazione lavorativa è prioritario
«È la prima volta che realizziamo una manifestazione simile – esordisce Michele Dalmazzoni, Direttore della Divisione Collaboration Sud Europa, Francia e Israele – ma oggi il tema della trasformazione lavorativa è prioritario e va affrontato con un approccio multidisciplinare. L’organizzazione del lavoro è cambiata drasticamente e le tre unità aristoteliche di luogo (la sede aziendale), tempo (le classiche 8 ore) e azione (l’attività consumata all’interno di spazi e orari predefiniti) su cui si reggeva sono saltate per sempre. I paradigmi degli ultimi cinquanta anni non sono più validi e stiamo facendo una sperimentazione per capire il nuovo scenario».
L’assunto è che qualsiasi lavoratore può svolgere la propria occupazione in movimento, all’interno di una sfera ibrida dove fisico e digitale si uniscono. «Le criticità tecnologiche e organizzative non sono banali» prosegue Dalmazzoni. «Secondo McKinsey, il 68% delle organizzazioni non ha ancora delineato una precisa strategia per l’hybrid work. L’approccio di Cisco è considerare tutte le dimensioni del lavoro, quindi le persone, le tecnologie e gli spazi. Abbiamo trasformato i nostri uffici in luoghi di incontro dove clienti e partner possono collaborare. La nostra focalizzazione è sulla capacità di garantire parità di esperienza tra chi si collega da remoto e chi lavora in ufficio. Insomma, il mondo è cambiato, le sfide sono tante e l’obiettivo è trovare le coordinate per superarle insieme».
Il progetto delle Smart Working Cities
Come dichiara il management della società, Cisco è pioniere dei nuovi paradigmi lavorativi e lo smart working è una pratica consolidata ormai da dieci anni, per connettere sedi e dipendenti distribuiti in tutto il mondo.
Gianpaolo Barozzi, Sr Director HR & Talent Management della società, sottolinea come la pandemia abbia costretto al lavoro da remoto cambiando radicalmente le regole del gioco. Oggi, con l’affermarsi della modalità ibrida, vige la necessità di riqualificare il contratto sociale ed emotivo che lega il dipendente all’azienda.
Così, nell’ottica di sperimentare nuovi modelli di impiego, Cisco ha avviato il progetto Venywhere in collaborazione con la Fondazione di Venezia e l’Università Ca’ Foscari, una sorta di “laboratorio di innovazione vivente”, secondo la definizione di Barozzi.
«Sedici persone dai nostri uffici europei – spiega il manager – si sono trasferite nella città di Venezia per sperimentare cosa significa essere cittadini e nomadi digitali. Il progetto ha avuto la durata di tre mesi e ha permesso alle risorse Cisco di lavorare all’interno del contesto urbano, in quattro spazi preesistenti, utilizzando le nostre tecnologie di collaboration».
L’iniziativa ha permesso di evidenziare alcune riflessioni utili per immaginare l’ecosistema aziendale dei prossimi anni. Innanzitutto, secondo le dichiarazioni di Barozzi, l’ambiente di lavoro sarà aperto e le persone si troveranno a operare in sintonia con il luogo che le ospita. Il modello delle Smart Working City, dove grazie alla tecnologia sarà possibile sfruttare gli spazi urbani per l’attività lavorativa senza soluzione di continuità, sarà vincente e permetterà di «trasformare il pendolarismo in mobilità».
Con le giuste tecnologie di collaboration, lavorare a distanza e in un contesto diverso, stimola la creatività, la cultura e la produttività. «Il lavoro ibrido e il nomadismo digitale – evidenzia Barozzi – portano fatturato e sono molto distanti dal concetto di “work vacation”. I sedici “pionieri” di Cisco hanno mostrato performance migliori lavorando a Venezia, piuttosto che nell’ambiente abituale, perché sono aumentati i livelli di ingaggio. Infatti, è cambiato il rapporto con i manager, che sono diventati mentori e non controllori, ed è stato creato un legame di prossimità digitale per consentire la gestione funzionale delle attività e migliorare l’engagement».
Venywhere è servita da capostipite per una serie di iniziative analoghe: ci sarà una seconda edizione nel capoluogo veneto per coinvolgere più aziende, mentre è già partito un progetto a Rodi, in Grecia, con 17 persone Cisco. Tra le future mete coinvolte, ci saranno un paio di località negli Stati Uniti, ma anche in Africa e nel Sud Italia. Nella visione della multinazionale, infatti, il nomadismo digitale rappresenta una buona opportunità per vivere le città e riqualificare il territorio.
Ottimizzare il benessere e ridisegnare il workplace
Se l’intervento di Barozzi ha messo l’accento sulla tecnologia, le aziende ospiti della Future of Work Week hanno avuto il compito di evidenziare quanto il benessere delle persone e l’ottimizzazione degli spazi siano fondamentali per il successo del lavoro ibrido.
Andrea Bariselli, neuroscienziato e Ceo di Strobilo, società che studia la relazione tra qualità dell’aria e salute umana, racconta l’impatto dell’anidride carbonica sulla produttività delle persone.
«I livelli di CO2 in atmosfera – dichiara Bariselli – a cui l’uomo è tipicamente abituato, si aggirano intorno alle 280 parti per milione. In una sala meeting, questo indicatore può salire addirittura a 4000. Se il nostro cervello continua a lavorare nella stessa maniera, ma in un ambiente con una percentuale di ossigeno inferiore ai valori consueti, ecco che inevitabilmente si verifica un calo di performance, con una predisposizione all’errore maggiore».
Tenere sotto controllo la concentrazione di CO2 negli spazi condivisi pertanto è fondamentale. Applicata al contesto delle aziende, l’idea di Strobilo permette di esaminare la complessità degli stimoli ambientali per capire l’impatto sulle performance dei lavoratori, grazie alle neuroscienze e ai software di analisi predittiva. Così, attraverso sistemi di monitoraggio della qualità dell’aria, sarà possibile riportare gli spazi lavorativi a una condizione ottimale per la produttività e il benessere delle persone.
L’attenzione verso il workplace insomma deve rientrare necessariamente nelle strategie di attuazione del lavoro ibrido, come sostiene anche Barbara Cominelli, Ceo di JLL, player di spicco nel settore real estate. Tipicamente, la prima mossa delle aziende è riadattare i luoghi preesistenti, attrezzandoli con le tecnologie per l’hybrid work. Tuttavia, per ottenere efficacia, gli spazi devono essere ripensati e riorganizzati completamente in funzione delle nuove dinamiche e necessità lavorative.
«Bricks and kicks» sintetizza Cominelli con uno slogan. «Gli spazi aziendali vanno riprogettavi sfruttando la miriade di dati fisici e digitali disponibili per consentire alle persone di fare meglio il proprio lavoro. Oggi l’ufficio è diventato principalmente un luogo per stimolare collaborazione, socializzazione e innovazione, per migliorare l’engagement e ricreare quel patrimonio sociale che la pandemia ha spezzato. Pertanto, non va concepito come una torre chiusa, ma deve diventare piuttosto una piazza per riunire clienti, partner e tutto l’ecosistema esterno. Insomma, deve essere un luogo per fare innovazione, aperto a qualsiasi stakeholder».
Infine, secondo Cominelli, il ridisegno del workplace deve essere prioritario nell’agenda degli amministratori delegati, anche ai fini di soddisfare i criteri ESG (Environmental, Social and Governance) e le esigenze di inclusione: i nuovi ambienti lavorativi devono contemplare l’esperienza fisica e digitale insieme, favorendo tutti i dipendenti, indipendentemente dalle diversità o disabilità.
Un nuovo workspace legato alle competenze digitali
La strada intrapresa da Cisco, come sottolinea Gianmatteo Manghi, Amministratore Delegato per l’Italia, va proprio nell’ottica di estendere i benefici dell’hybrid work a tutta la popolazione aziendale. Come spiega il Ceo, internamente la multinazionale attua una strategia di ripensamento del workplace per soddisfare le esigenze differenti dei vari profili professionali. L’obiettivo è rendere attrattivi gli spazi fisici, ma anche sviluppare tecnologie per connettere i lavoratori da remoto ed effettuare incontri virtuali che esaltino l’ingaggio, le relazioni, la fiducia.
«Cisco Italia – afferma Manghi – sta guidando l’evoluzione del workplace in modo pionieristico rispetto agli altri Paesi. Il nostro quartier generale di Vimercate era stato concepito nel 2009 con tutti gli accorgimenti d’avanguardia, perché potesse soddisfare appieno le necessità lavorative dell’epoca. Recentemente abbiamo aperto a Milano il centro di co-innovazione dedicato alla sicurezza informatica, all’interno del Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci. La struttura è stata pensata per rispondere alle nuove necessità: pur essendo un decimo della sede vimercatese, nell’ultimo anno ha accolto il doppio dei clienti e dei partner perché è confortevole, attraente e studiata per favorire la collaborazione».
Come sostiene l’amministratore delegato, “tornare a vedersi” impatta fortemente la produttività e la soddisfazione delle persone: l’incontro fisico è fondamentale per garantire l’innovazione, ma anche per generare nuove opportunità di business.
«Tutte le organizzazioni – puntualizza – vanno verso modelli di lavoro più flessibili. Oggi le persone passano in ufficio soltanto il 40-60% delle ore lavorative. Se i tempi in sede si riducono, per noi diminuiscono anche le occasioni di visitare i clienti. Ecco perché nasce l’esigenza di costruire nuovi spazi attrattivi per invitare e accogliere le aziende, ma anche per offrire un luogo di socializzazione ai giovani talenti».
Ma quali sono effettivamente gli impatti della tecnologia e dell’organizzazione ibrida sulle professioni e sull’occupazione?
Manghi riporta l’attenzione sulla necessità per la leadership di cambiare atteggiamento e favorire l’inclusione di tutti i lavoratori, compresi i remote worker che, venendo meno l’incontro fisico, potrebbero essere penalizzati. Infine, rassicura sul ruolo della tecnologia come mezzo per creare occupazione.
«Non sarà il progresso tecnologico a togliere lavoro – dichiara – ma sarà difficile che una persona senza competenze digitali trovi un impiego. Secondo le ricerche di McKinsey, nel settore pubblico, in Europa, mancano 5 milioni di professionisti con competenze digitali; in Italia ne servono 800mila. Le tecnologie insomma permetteranno non solo di migliorare la qualità della vita, ma anche di aumentare le opportunità di lavoro, una buona notizia per un Paese come l’Italia dove il tasso di occupazione è fermo al 61%».
Non sarà quindi l’intelligenza artificiale a tagliare i posti di lavoro, ma l’incapacità di acquisire i digital skill. Ecco perché Cisco si è impegnata nella formazione dei talenti nell’area EMEA e soprattutto nel settore della sicurezza informatica. «In Italia – conclude – abbiamo 350 Cisco Networking Academy, che negli ultimi 12 mesi hanno formato 62mila persone. Soprattutto chi frequenta corsi di Cybersecurity trova lavoro in brevissimo tempo».