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Il mantra dei CIO italiani: “Dopo la pandemia, non torneremo più al passato”

Primo evento dei Digital360Awards 2021, il cui gran finale del prossimo autunno potrebbe tornare in presenza. Pubblicati i risultati della survey fra i Chief Innovation Officier sui cambiamenti ICT dovuti all’emergenza sanitaria. “Smart working? Resterà strutturale. Il fattore chiave per affrontare il futuro? Diffondere cultura”. Ma su un fattore c’è accordo totale: il domani sarà sempre più ibrido

Pubblicato il 05 Mag 2021

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La metafora che dà la misura delle cose è quella della pianta di mangrovie. Come lei resiste e prospera nelle acque che amalgamano dolce e salato, in un ambiente meticcio rafforzato dalle diversità, così il business del domani è chiamato a ripensarsi in una nuova modalità. Quella ibrida, fatta di presenza fisica e collaborazione a distanza, dove ciò che era non tornerà più al suo stato originario.

L’emergenza sanitaria, non del tutto esaurita, posa sul terreno i primi mattoni della costruzione del futuro. Sono fondamenta ancora in divenire, ma delle quali si comprendono già i tratti chiave: smart working sempre più strutturale, infrastrutture sempre più capaci di sostenere la trasformazione, cambiamenti sempre più estendibili e soprattutto cultura. Cultura del cambiamento, cultura di una leadership che sa rileggere i processi e modernizzare l’esistente, cultura di una forza lavoro che comprende la definitività del nuovo e ne impara ad accogliere i benefici.

È la Nuova normalità che cresce, mattone dopo mattone, sospinta anche dalle idee e dalle esperienze dei CIO che rappresentano il nervo tecnologico del tessuto imprenditoriale italiano. Voci che il primo evento del circuito 2021 dei Digital360Awards, dedicato come sempre alla community dei Chief Innovation Officier e alle associazioni che compongono il CIOsummIT, ha messo in risalto con la consueta concretezza. Tracciando infine il ritratto dell’impatto che la pandemia “ha avuto e sta avendo – come ha spiegato Alessandra Zamarra, giornalista Digital360 – sul lavoro delle direzioni ICT, sulle strategie aziendali e sul ruolo stesso dei CIO”.

Dall’intelligenza artificiale all’IoT, allo smart working, al cloud, alla cybersecurity… sono 10 le categorie che raccolgono le candidature dei Digital360 Awards per le quali le iscrizioni sono aperte fino al 20 maggio.

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Un lavoro che cambia

La rappresentazione più diretta delle percezioni sul tema sono le canne d’organo dei grafici che immortalano i risultati della survey realizzata in vista dell’evento. Un’indagine a 360° sugli effetti dell’emergenza sanitaria sull’Ict aziendale, cui i CIO hanno dato i riscontri illustrati online dal presidente di Digital360 Andrea Rangone e dal responsabile scientifico di P4I Mariano Corso.

Smart working, cultura digital, impatto sui rapporti con i fornitori, sensibilità dei vertici: in una sola indagine, il quadro di un mondo in evoluzione ha preso la forma delle più disparate esperienze. Da chi ha già in pugno il futuro a chi ancora non comprende la portata delle novità, immaginando ancora un (improbabile) ritorno al passato.

Sullo smart working la platea canta quasi all’unisono. Ma non del tutto. La survey rivela infatti che il lavoro da remoto è ancora prevalente in 2 casi su 3, mentre 3 realtà su 4 affermano già che non torneranno indietro neppure ad emergenza finita. Le abitudini dunque cambiano in modo sempre più strutturale, ma resta uno “zoccolo duro”, pur limitatissimo, di aziende nostalgiche di un passato in presenza, che i fatti dicono però destinate a restare deluse.

“Stiamo assistendo a una rivoluzione epocale di cui vedremo i limiti solo fra qualche anno e del quale stiamo pian piano raggiungendo il pieno stato di consapevolezza – ha chiarito Stefano Brandinali, CIO Prysmian Group -. Il futuro? Sarà fatto di eventi ibridi, facilitati da un miglioramento delle autostrade digitali. E saranno i Millennials ad aiutarci a ripensare una normalità in cui anche le aree rurali, opportunamente innervate di tecnologia, sapranno garantire un’alta qualità della vita”.

“Non bisogna cancellare il positivo che si è creato – ha aggiunto Mario Carrelli, CIO di Guzzini nonché autore della fortunata “metafora della mangrovia” -: il lavoro smart va certamente regolamentato e vanno definiti processi più agili per progettare attività di collaborazione in modalità ibrida, fra remoto e presenza, con una piena integrazione fra vecchio e nuovo”.

Sarà una vera rivisitazione della storia, si potrebbe dire: “La digitalizzazione è la quarta rivoluzione industriale e la pandemia non ha fatto altro che amplificarla – ha commentato Carlos Loscalzo di Schneider Electric -. In tanti magari sognano di tornare alla “vecchia” normalità, ma la storia ci insegna che i grandi cambiamenti difficilmente vengono compresi sin dall’inizio. Lo smart working diventerà normale nella nostra vita lavorativa e sarà parte di un mondo come non l’abbiamo mai visto, nel quale vincerà chi possiede tre caratteristiche: velocità, flessibilità e coraggio”.

Ma la svolta andrà anche oltre. “Stiamo vivendo un cambiamento dello stile di vita nel suo complesso, destinato a coinvolgere anche verticali del business prima non molto coinvolti da queste dinamiche – ha infatti fatto notare Francesca Puggioni, di Orange Business Services -. Insomma, lo smart working non è solo il classico tool collaborativo che coinvolge i white collar. È anche altro: una tecnologia abilitante che può avere un impatto anche sul lavoro dei blue collar, permettendo a lavoratori che dovevano andare on field di lavorare in remoto”.

Il crescente ruolo dei system integrator

Che l’impatto dell’emergenza sanitaria sulla trasformazione digitale delle imprese sia un fenomeno innegabile e definitivo è ormai appurato. In che misura questo avvenga, però, lo dice la survey, rivelando che l’impulso dato dal momento storico è considerato “forte” dal 42% delle imprese, mentre una maggior consapevolezza del vertice sulle questioni ICT si registra nel 32% dei casi.

Poco confortante l’11% di aziende che non ha visto alcun particolare impatto sulla digital transformation, cui si accompagna un 33% di realtà che non hanno visto alcuna importante variazione neppure sulla relazione attuale con i fornitori di nuove tecnologie.

E per il futuro? I risultati della ricerca dicono che la maggior parte delle aziende non prevede ulteriori impatti sul rapporto con i fornitori, mentre un 29% più intraprendente immagina già una crescita del loro peso in vista di nuove attività di esternalizzazione. E fra tutti i provider, saranno i system integrator a ricoprire un ruolo sempre più importante nell’economia aziendale.

“La sfida non è solo infrastrutturale – afferma Tommaso Bonaccorsi di Patti, responsabile offers Go to market, Enterprise Marketing di Tim -: c’è un tema importante da affrontare, ed è quello delle aziende che non hanno colto la definitività del cambiamento, sperando di tornare al mondo di prima. Il punto è che i cambiamenti stanno coinvolgendo chi vive non solo di connettività, ma anche di prossimità fisica. Occorre mettere mano a processi, competenze e sistemi produttivi: abbiamo l’opportunità di mettere in connessione logica e fisica un ecosistema produttivo, che può essere un distretto o una filiera. E questa opportunità va colta”.

“Ma esiste un effetto della pandemia su cui ora è necessario riflettere in modo serio: i nuovi stili di leadership– commenta Debora Guma, Group Cio, Lactalis Italia -. La realtà è che noi non abbiamo fatto un vero smart working, perché i nuovi stili di leadership sono ancora in fase di elaborazione: noi abbiamo fatto un home working. Quando interiorizzeremo il ruolo della tecnologia nel quadro del New normal e immagineremo possibili nuovi processi di business, allora realizzeremo ulteriori miglioramenti sul fronte della trasformazione digitale”.

I dati, in ogni caso, parlano chiaro. E quantificano già il feedback della pandemia in un’accelerazione di oltre cinque anni sui processi di transizione al digital. “Ma guardiamo le cose dalla giusta prospettiva – ha ammonito Alessandro La Volpe, vice presidente e technology leader, Ibm -: un conto è reagire all’emergenza per mantenere operatività, un conto è implementare una vera trasformazione, ovvero rivedere processi, modernizzare, integrare mondo tradizionale e moderno, ripartire dai dati, automatizzare e puntare sulla sicurezza grazie ad un’architettura adeguata”. “I nuovi modelli hanno impostato un tracciato che bisognerà continuare a seguire – ha aggiunto Giorgio Veronesi, Senior vice president Ict, Snam -, ma servirà andare oltre. E un ottimo punto di ripartenza per noi è stata la possibilità di conversare e creare partnership trasversali, con aziende, startup e fornitori, per capire come innovare e interpretare il cambiamento grazie a letture innovative della realtà”.

L’importanza della cultura

Parlare di cultura digital, alla luce della rivoluzione da Covid-19, non sembra dunque più un tabù. Anche se le percezioni della sua importanza restano in parte lacunose.

L’indagine spiega da un lato che la stessa direzione Ict ha assunto un ruolo più importante che in passato (“molto” o “abbastanza”, per il 76% complessivo degli intervistati) e dall’altro lascia intravedere, anche ad emergenza finita, una futura crescita della sensibilità del vertice verso le tecnologie Ict (80% totale). Ma quanto a rilevanza di un’evoluzione della cultura, delle competenze e della professionalità verso il digitale, le imprese restano perlopiù arenate al presente: solo nel 29% dei casi la situazione ha reso evidente l’essenzialità di questi fattori competitivi, mentre il 9% degli intervistati afferma di non pensarci neppure ancora, almeno per ora.

“La difficoltà del momento ci ha spinti ad applicare e sostenere nuove iniziative digital – spiega Piera Carrà, CIO di Avio Aero, rappresentate di uno dei comparti più pesantemente colpiti dalla crisi sanitaria -. Già nel pre-pandemia avevamo avviato un percorso di digitalizzazione, che poi si è accelerato e intensificato in questi mesi con la scoperta di potenzialità nascoste che non avevamo mai avuto modo di approfondire. E nel frattempo abbiamo lavorato sulla formazione all’utenza, sempre più consapevoli del fatto che la digitalizzazione può migliorare la produttività e ridurre il peso di attività a basso valore aggiunto”.

“Diffondere una corretta cultura digital è fondamentale – aggiunge Davide Marini, Country manager Italy, NetApp -: solo cambiando la cultura alla base, sui dipendenti, è infatti possibile supportare l’evoluzione. Noi come portatori di tecnologia crediamo fortemente nelle possibilità che questa abilita. Ma il cambiamento è un processo fatto di più passaggi. L’emergenza può dare un primo aiuto alla trasformazione, ma le aziende devono impegnarsi di conseguenza: diffusa la cultura, è necessario investire nella formazione dei dipendenti e dei giovani, per aiutare le persone a vivere in maniera proattiva il cambiamento”. Stessa linea d’onda su cui si muove Cisco, promotore di un’Academy che ogni anno sforna 55mila studenti: “Per noi è una leva importantissima – ha puntualizzato Enrico Miolo, Collaboration Leader, Cisco Italia -. E mi colpisce molto il risultato della survey che lascia prevedere cambi organizzativi in senso digital: questo è il sintomo che sottende una trasformazione reale, un cambiamento vero nei processi. E si tratta di un dato estremamente positivo”.

Tutto questo per parlare del mondo industria e servizi. Ma che dire, invece, della Sanità? “Nel nostro settore la dinamica è vissuta in modo un po’ differente – ha spiegato Alberto Ronchi, CIO Istituto Auxologico e Presidente Aisis -: la percezione dell’Ict è certamente aumentata, ma solo dal punto di vista delle sue capacità abilitatrici. La tecnologia ci ha permesso, in altre parole, di affrontare in modo creativo e più flessibile alcune situazioni di emergenza, ma questo non significa che la percezione strategica dell’IT ne sia stata influenzata. Pensiamo al Recovery plan: il piano prevede molti investimenti su rinnovamento tecnologico, ma ben poco sulla vera digitalizzazione. Cosa significa? Forse che il mindset di base non è ancora completamente cambiato”.

Le dinamiche, anche davanti a tante esperienze e percezioni, restano comunque sempre in divenire. Cosa avverrà domani? Quale sarà davvero la Nuova normalità? Difficile dare riposte certe, codificabili, in un momento di trasformazione quale è ancora quello attuale. Le tendenze di base si sono chiarite, ma restano ancora incognite sulla maggior parte dei fattori.

Forse in autunno, quando il percorso dei Digital360Awards 2021 arriverà al gran finale, sarà possibile tracciare un nuovo ritratto del domani. La speranza, come chiarito in chiusura dal Ceo di Digital360 Raffaello Balocco, è che per allora si possa finalmente parlarne vis-à-vis, magari con un evento fisico. Per ora, intanto, il pensiero è alle candidature che si attendono entro fine maggio. Raccolte queste, il più importante premio dedicato all’innovazione digital è già pronto a ripartire.

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