Il problema è non farne un problema

Un libro che si propone un obiettivo ambizioso: insegnare a risolvere i problemi. Come? rivistando il system engineering in chiave open

Pubblicato il 02 Giu 2005

Il primo passo per risolvere i problemi è rivisitare il concetto stesso di problema, da considerare non più solo come una seccatura da eliminare, nel minor tempo e con il minor costo possibili, quanto come una sfida per il manager, per l’imprenditore e per il consulente, a cui implicitamente il libro che recensiamo per i nostri lettori si rivolge. In “La pratica del problem solving – Come analizzare e risolvere i problemi di management” (Franco Angeli, 2004, 170 pagine, 18,00 €) si propone una metodologia sperimentata da aziende di tutte le dimensioni e appartenenti a diversi settori, il cosiddetto “system engineering”, che prende come fondamento il pensiero sistemico. Niente di nuovo sotto il sole, ma i concetti classici, nati negli anni ’70, vengono rivisti in una nuova luce e contestualizzati con dovizia di esempi concreti.

Particolarmente interessante la rilettura della metodologia in chiave “open source”, ossia disponibile per tutti e da tutti migliorabile e affinabile, a differenza delle metodologie proprietarie. Uno dei maggiri contributi alla sua rielaborazione è venuto dall’istituto di scienze aziendali e ingegneria gestionale del Politecnico Federale di Zurigo. Qui, due degli autori, Giovanni E. Alberti e Alberto Gandolfi, hanno maturato la propria esperienza, prima di dirigere Afg Management Consulting, società specializzata in consulenza a formazione aziendale con sede in Svizzera, mentre proviene dall’esperienza manageriale, il terzo autore, Giuseppe Larghi che, come specialista di processi e riorganizzazioni aziendali, opera a sua volta presso Afg Management Consulting.
L’obiettivo di questo libro è fornire alcuni strumenti a coloro che, in azienda, si trovano ogni giorno a dover superare sfide sempre più complesse per vincere le quali è necessario l’apporto di competenze, capacità, progettualità, caratteristiche personali differenti. Senza inutili semplificazioni viene dunque proposta una metodologia in cinque fasi: si parte con l’analisi della situazione di partenza, per passare alla definizione degli obiettivi, alla ricerca delle soluzioni, alla valutazione, scelta e critica della soluzione ottimale, fino alla gestione del progetto, prevedendo per i progetti più complessi e di maggior impatto, la reiterazione di alcune fasi.
Essenziale per il successo della soluzione è il momento iniziale di analisi, che passa per la comprensione delle dinamiche interne-esterne della situazione di partenza, ed è seguito dalla definizione degli obiettivi riassunti nel cosiddetto catalogo strutturato.
La fase di ricerca delle soluzioni ha come scopo l’esplorazione del campo delle soluzioni e la definizione delle varianti della singola soluzione. È fondamentale in questa fase mettere in gioco la creatività, andando poi a scegliere quelle soluzioni che più promettono di aumentare la performance globale. “È importante essere aperti e non limitare troppo presto il campo di esplorazione”, avvertono gli autori, che indicano nel libro diverse tecniche per aiutare la creatvità. Solo nel passo successivo si tratterà di scegliere la soluzione ottimale, ossia quella che meglio sembra soddisfare gli obiettivi precedentemente definiti. Anche in questo caso vengono suggeriti metodi informali e formali per la scelta e la critica della soluzione. A conclusione di questa fase viene elaborato un piano della soluzione scelta, per arrivare nella fase sucecssiva alla gestione del progetto che realizza in pratica quanto precedentemente selezionato.
L’uso della metodologia “system engineering” va di pari passo con il lavoro in team interdisciplinari. Per risolvere un problema complesso sono infatti indispensabili conoscenze specifiche del sistema, esperienza, psicologia, capacità comunicativa, motivazione a risolvere il problema.

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