Mercati

Il riscatto del manufacturing parte dalla fabbrica digitale

“Il manifatturiero in Europa ha perso 7 milioni di posti di lavoro fra il 2000 e il 2013 e in 10 anni ha diminuito il suo peso sul PIL europeo del 5%”, ha ricordato Bruno Lamborghini, presidente di Aica in occasione della cinquantunesima edizione del Congresso Nazionale dal titolo “Dal Bit agli Atomi: Rilancio della Manifattura e Nuove Competenze Digitali”. Un’occasione di rilancio viene da tecnologie come l’additive manifacturing e la stampa 3D, tasselli per quella trasformazione delle imprese industriali e artigianali tradizionali in fabbriche digitali. Una trasformazione che interviene sia sui processi produttivi sia sui modelli organizzativi.

Pubblicato il 03 Mar 2015

George Kassabgi, imprenditore, angel investor ed esperto di tecnologia che vive a Boston, intervenuto al 51esimo Congresso Nazionale Aica (titolo dell’evento: Dai Bit agli Atomi: Rilancio della Manifattura e Nuove Competenze Digitali), raffredda un po’ l’entusiasmo dell’Economist che in una sua ormai storica copertina, era il 2012, annunciava che stampa 3D e Additive manufacturing (Am) avrebbero innescato la terza rivoluzione industriale: “Non si tratta di tecnologie così nuove, visto che la natura stessa lavora in logica additive manufacturing e sono tecnologie utilizzate dalle grandi aziende del Nord America da almeno 40 anni, inizialmente per la prototipazione rapida e, più recentemente, come parte integrante dei processi di fabbricazione”, ha ricordato nel suo intervento.

George Kassabgi – imprenditore, angel investor ed esperto di tecnologia

Ma qualcosa di nuovo c’è, visto che fra il 2012 e il 2014 si è verificata una crescita significativa (attorno al 35% negli Usa), come conferma lo stesso Kassabgi che indica tra le ragioni di questa crescita: l’evoluzione del software Cad/Cae e dell’expertise It nella progettazione e nel manufacturing; la disponibilità di materiali più duttili da utilizzare nella stampa 3D; la radicale trasformazione della tradizionale supply chain globale riconfigurandola come un insieme di sistemi locali: potendo produrre on demand e in modo personalizzato, si riduce la necessità di fare magazzino, si produce vicino ai mercati facendo viaggiare i progetti digitali e diminuendo così i costi di distribuzione. Inoltre molto hanno influito anche aspetti “culturali” come il movimento dei maker e programmi dedicati di formazione e training. Il movimento dei maker nasce negli Usa ma si sta rapidamente diffondendo anche in Europa, creando una comunità internazionale di persone che si interessano di tecnologia, design, arte, sostenibilità, modelli di business alternativi, basati sulla condivisione online di software e hardware open source. In un momento di crisi si inventano il loro lavoro invece che cercarne uno classico. Ricordiamo che per Additive manufacturing si intende un processo che a partire da un progetto digitale in 3D consente di realizzare oggetti attraverso la deposizione di strati successivi di materiale. Spesso si identifica con la stampa 3D, ma in realtà si riferisce a una tecnologia industriale di produzione più sofisticata (e costosa) che va a sostituire i metodi tradizionali basati sulla rimozione del materiale in eccesso. Per queste ragioni può consentire di realizzare un pezzo unico (dove nelle tecniche tradizionali venivano prodotti più pezzi da assemblare), spesso più leggero a parità di resistenza, utilizzando materiali innovativi.
Il mercato Am negli Usa, stimato nel 2014 di 2 miliardi di dollari (il 70% in area industriale, 20% per uso personale e il 10% per formazione), rappresenta però ancora una quota minima del manifatturiero (molto meno dell’1%). Il suo peso resterà modesto anche nei prossimi anni: per il 2018 si stima un valore che può andare da 16 a 80 miliardi di dollari a livello mondiale, contro un valore del manifatturiero di parecchi ordini di grandezza superiore. Nonostante ciò, il suo impatto potrebbe essere significativo, come le applicazioni negli Usa evidenziano. Nei settori automotive, aereonautico e dei trasporti, per esempio, consente un aumento della complessità dei pezzi realizzati a costi inferiori, riesce a ridurre i costi di magazzino e di consegna, migliora la risposta ai clienti grazie a una maggior vicinanza, ottimizza la logistica, grazie al trasporto di materiali grezzi o semilavorati anziché prodotti finiti. In campo medico/dentistico si sta arrivando alla produzione di protesi e prodotti che riproducono il tessuto umano, a partire da alcune cellule e materiali sintetici, realizzabili in loco. “In questo campo si va verso la stampa 4D, ossia di materiali capaci di evolvere e adattarsi nel tempo”, prevede Kassabgi.

Italia: verso la fabbrica digitale
L’Italia resta un Paese dove l’industria manifatturiera ha un ruolo preponderante e la perdita del peso occupazionale nel settore è stata relativamente contenuta nel decennio 2002-2012: -2,8% contro un -4% della Gran Bretagna. Determinanti sono state la capacità di riposizionarsi in termini di specializzazione e di proiezione internazionale, come emerge dallo studio Aica che evidenzia le opportunità per il nostro sistema produttivo derivanti dalla manifattura digitale e dalla stampa 3D. La ricerca realizzata da Aica, in collaborazione con la Direzione Studi e Ricerche di Intesa SanPaolo, Prometeia e NetConsulting si è focalizzata su cosa si stia effettivamente facendo nel campo della fabbrica digitale nel nostro paese. Questo paradigma, dopo essersi affermato presso le grandi multinazionali del settore automotive, difesa e aerospaziale, ora si sta diffondendo anche fra le Pmi e le imprese artigiane.

La ricerca ha analizzato in modo empirico i principali benefici del digital manufacturing, come la riduzione dei tempi di prototipazione, il reshoring di questa attività precedentemente delocalizzata nei paesi asiatici, la possibilità di produzione in piccole serie e la realizzazione di prodotti molto personalizzati per componenti a elevato valore unitario.

Giancarlo Capitani – Presidente a Amministratore Delegato, NetConsulting

Per quanto riguarda i settori di impiego prevale anche nel nostro Paese l’automotive e la relativa componentistica dove la R&D interna è supportata da service esterni che utilizzano stampanti molto sofisticate e costose (da 500K a un milione di euro), come nelle aree di Modena e Reggio Emilia. Altri settori segnalati sono l’oreficeria con il distretto di Valenza, il design, l’architettura, il medicale (soprattutto protesi per l’odontoiatria e altri ambiti). L’Am sembra essere una tecnologia adatta al tessuto produttivo italiano e alle Pmi anche grazie alla crescente diffusione dei FabLab, iniziative di singoli professionisti o di gruppi che mettono a disposizione le stampanti 3D e i servizi di prototipazione, inizialmente creati attorno alla realtà di Arduino (framework open source, che ha avuto grande diffusione al livello mondiale, e che consente di realizzare rapidamente prototipi, piccoli dispositivi di controllo e sensori, in comunicazione con altri dispositivi utilizzando il linguaggio Wiring derivato dal C) e basati sulla cultura dell’open innovation. NetConsulting ne ha censiti 52 a fine settembre, in rapida espansione numerica, in termini di fatturato e di organizzazione. I loro servizi sono utilizzati soprattutto dalle Pmi locali per il 46% del fashion, 40% della meccanica, per circa il 7% dal food per packaging innovativo. “Si evidenzia una pluralità di esperienze molto frammentate da ricondurre a sistema per fa sì che questa spontaneità possa avere un effetto Paese”, commenta Giancarlo Capitani, Presidente a Amministratore Delegato di NetConsulting che suggerisce la creazione di un’infrastruttura di connessione nella prospettiva della creazione di ecosistemi territoriali che metta in comunicazione centri di ricerca, università, FabLab ma soprattutto domanda e offerta, in un’ottica di co-innovazione.

Per non perdere il treno del Digital Manifacturing

Alessandra Benedini – Responsabile Industrial Sector Analysis, Prometeia

Una simulazione di Prometeia effettuata in 29 microsettori interessati all’Am, evidenzia la possibilità per le Pmi operanti in questi ambiti, grazie all’adozione di questa e altre tecnologie digitali, di allineare la loro produttività a quella delle grandi imprese e realizzare un aumento del fatturato di 16 miliardi di euro, corrispondente al valore atteso per l’intero manifatturiero nel 2015. Sarebbe però necessario convincere a investire in innovazione gli imprenditori italiani che nell’ultimo decennio hanno invece disinvestito complessivamente del 14,8%. “Oggi le cose stanno cambiando grazie al miglioramento dei macchinari e delle tecnologie, che consentono una riduzione di taglia degli investimenti – spiega Alessandra Benedini, Responsabile Industrial Sector Analysis di Prometeia – Inoltre negli anni precedenti, in una fase di abbondanza di liquidità, gli investimenti si sono concentrati in aree non produttive ampliando il gap di produttività con altri paesi. Sono dunque fiduciosa: le imprese italiane che oggi sono restate sul mercato conoscono già l’importanza di investire sulla qualità, su nuovi processi e in prodotti innovativi”.
Sarebbe indispensabile, secondo Capitani, per accompagnare questa fase, un programma strategico a livello paese per il re-shoring che favorisca non solo il ritorno in patria di alcune delocalizzazioni, ma anche il rientro di cervelli emigrati.
Il digital manufacturing dovrebbe infine essere colto come occasione di rilancio anche del settore Ict in cerca di riposizionamento che dovrebbe da subito inserirsi in questa filiera, sfruttando gli spazi che si stanno aprendo in termini di tecnologie e nuovi servizi digitali.

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