Caso Utente

illycaffè: se il CEO è digital, la cultura è digital

Incontro con Massimiliano Pogliani. Ci parla di un’azienda in trasformazione sul piano tecnologico, organizzativo e culturale verso un costante allineamento con i clienti e le loro aspettative. Per sostenere, dal chicco alla tazzina, una digital transformation che porta evidenti risultati di business. Il segreto? Determinazione nel change management, integrazione, ascolto e…passione per la tecnologia

Pubblicato il 26 Ago 2020

illycaffe 1

LONDRA – Più che la descrizione dettagliata di un progetto di trasformazione digitale, quello che ci è sembrato utile riportare, incontrando Massimiliano Pogliani, CEO di illycaffè in una saletta riservata a margine del recente Oracle Openworld Europe svoltosi a Londra, è l’approccio a questa trasformazione. Abbiamo guardato quindi a quegli elementi culturali, di impegno e consapevolezza della difficoltà che una digital transformation diffusa in azienda comporta in termini di change management. Elementi che, unitamente a una spiccata passione tecnologica, non sono proprio così frequenti da ritrovare in un CEO.

Sono peraltro aspetti imprescindibili per guidare, da un lato, un’azienda internazionale e sempre più “cool” come illycaffè, presente in oltre 140 paesi nel mondo, con un fatturato 2018 di 483 milioni di euro (di cui circa il 65% dall’export, con grande crescita dei mercati nord americano e cinese); e dall’altro per affrontare una sempre maggiore complessità competitiva che sarà di certo aumentata quando la fase di contrasto alla pandemia da Covid-19 lascerà il posto, nei prossimi anni, a una difficile ricostruzione del business (re-incentivazione della domanda, capacità di sviluppare articolate e nuove tipologie di offerta). L’intervista è stata realizzata davvero pochi giorni prima che il virus diventasse globalmente diffuso e la situazione degenerasse, e quindi questo aspetto non viene toccato durante l’incontro.

foto Massimo Pogliani
Massimiliano Pogliani, CEO di illycaffè

Il valore degli insight nelle relazioni interne e con i clienti

ZeroUno: Come si può sintetizzare la sua visione strategica per l’evoluzione della realtà Illy sul mercato?

Massimiliano Pogliani: Per una società come la nostra, diventata famosa nel mondo per la qualità del prodotto, il rischio che ogni azione venga guidata da un approccio product oriented è molto alto. Invece, mai come ora è necessario un modello customer oriented sapendo cioè declinare l’offerta del prodotto, è questo è uno dei miei principali compiti strategici, in relazione alle reali esigenze del cliente. In pratica, bisogna avere sempre in mente, nelle scelte organizzative, tecnologiche e anche culturali, che serve pensare sempre il prodotto con l’obiettivo di realizzare qualcosa che sia al servizio del cliente.

ZeroUno: Tutto questo come si declina in modo concreto? Attraverso quali esempi pratici nella vita aziendale di tutti giorni, si riesce a scaricare a terra questa filosofia?

Pogliani: Tutte le soluzioni e le proposte devono partire dagli insight che siamo in grado di effettuare sui consumatori e non da quello che noi pensiamo sia giusto. E questo sarà sempre più valido: Illy è partita dal mondo B2B, poi negli anni 70/80 ha cominciato a vendere il prodotto nei supermercati, e oggi è anche on line. Pur essendo ancora un traditional business, circa il 10% delle nostre vendite è ormai on line e mai come con questo canale è importante conoscere il nostro cliente e sviluppare una relazione il più possibile continuativa. Nell’on line stiamo crescendo di circa il 20%; il nostro secondo mercato sono gli Stati Uniti dove, grazie anche a un importante accordo con Amazon, siamo cresciuti dell’80%. Insomma, la dimensione digitale sta aumentando significativamente. Ma non è solo questa parte di e-commerce che intendiamo per digital transformation: sta cambiando, in chiave digitale, tutto il back end, ripensando infrastrutture, introducendo IoT per avere sempre più dati e aiutarci a fare il nostro business sempre meglio

ZeroUno: Il dato e le informazioni, quindi, al centro di questa vostra trasformazione…

Pogliani: Noi gestiamo dal chicco fino alla tazzina; abbiamo milioni di dati sulla qualità del nostro caffè. Tutta l’analisi che facciamo la stiamo mettendo in cloud per renderla sempre più disponibile in azienda, proprio per avere non solo la tracciatura completa di ogni fase, dal chicco alla tazzina appunto, ma anche per lavorare su grandi moli di informazioni, per definire pattern, perché quando osservi pochi dati alla volta magari non rilevi evidenze significative, ma se sei in grado di lavorare stabilmente e in modo diffuso su big data trovi poi spesso risposte su trend che non eri in grado di capire, informazioni che non erano emerse…. Questo vale per ogni area dell’azienda: con Oracle stiamo collaborando sulla parte risorse umane (Oracle HCM Cloud). Bisogna andare oltre la gestione amministrativa delle persone e cercare valore nelle risorse presenti in azienda; sfido anche il più bravo HR director a sapere in modo costante cosa fanno esattamente le persone in azienda, la loro storia professionale, le potenzialità e le inclinazioni. L’analisi dei dati e la circolarità delle informazioni è fondamentale per muoversi nella complessità odierna. Se non lavori per questo, si perdono molto spesso delle grandi opportunità. E si generano nuovi costi perché magari vai a cercare competenze all’esterno che non sai di avere in azienda

Indispensabile la sponsorship del top management

ZeroUno: Ma come si spinge questa trasformazione in azienda sul piano organizzativo, di creazione di nuove competenze? E che ruolo può giocare un CEO in questo scenario?

Pogliani: Questi progetti per avere successo devono avere la sponsorship del top management. Però un conto è leggerlo in letteratura, un altro è metterlo in pratica. Anche se tu introduci in azienda un Chief digital officer, che tra l’altro ho voluto e messo direttamente a mio riporto, se poi non insisti, non hai la determinazione quotidiana per andare verso una reale trasformazione culturale, dei processi, dei modelli organizzativi, le persone lasciano con molta fatica la vecchia strada. Sei tu, in primis come CEO, che devi far vedere di essere un digital savvy [appassionato, smart, fan del digitale – ndr], facendo capire quali benefici le persone possono ottenere, anche rapidamente nelle piccole cose quotidiane. Io ho rifiutato il ricorso ad agenzie che twittano o postano per me. Le mie digital properties le curo direttamente. Sarà senz’altro un approccio meno raffinato e strutturato, ma la gente, sia interna sia esterna all’azienda, capisce che l’interazione è diretta, spontanea, immediata. Tra l’altro è un’attività che mi dà subito il polso vero di molte situazioni. Io ho un rapporto diretto con molti clienti che mi scrivono, che mi mandano foto, che suggeriscono e criticano. Per me tutto questo è un insight formidabile e uno strumento per aggiustare continuamente la rotta. Tutti noi dovremmo usare sempre più in azienda questa dimensione digitale. I primi ambassador del brand sono le persone che lavorano per l’azienda e se non si capisce l’importanza di questo, è difficile muoversi bene in una digital economy.

ZeroUno: Lei accennava alla trasformazione, grazie al digitale, da una dimensione product oriented alla centralità del servizio al cliente. Un lavoro molto complesso, considerando da un lato la trasformazione culturale e tecnologica dell’azienda e dall’altro la necessità di capire le diverse tipologie di clienti, clusterizzati per abitudini, tendenze, tipologie…

Pogliani: Vero. Partiamo però da un dato concreto: solo l’anno scorso, guardando le attività legate alla trasformazione digitale del nostro modo di operare, quindi con un ampio ricorso a comunicazioni digitali, nuove relazioni con il mercato, con i partner e con i fornitori, abbiamo realizzato circa 10 milioni di euro di fatturato on top alle classiche attività di e commerce.

Si tratta di progetti di digitalizzazione diffusa: una parte, ad esempio, relativa alla cosiddetta customer experience, con varie collaborazioni, tra cui senz’altro Oracle. Abbiamo dato corso ad una forte attività di integrazione tecnologica tra nuove soluzioni applicative e le esistenti architetture; abbiamo ripensato la parte di e-commerce unendo il mondo di comunicazione e di valorizzazione del brand con una raffinata attività di e-commerce. Abbiamo poi lavorato sulla parte CRM. Ad esempio, partendo dalla ripulitura del nostro data base, un lavoro certo non facile considerando che abbiamo circa 100 mila punti in cui si può trovare Illy Caffè nel mondo, abbiamo clusterizzato questi dati potendo realizzare dei package preconfezionati di prodotti specifici per tipologia di cliente, misurando l’impatto e il ritorno sull’investimento. Il passo successivo è stato l’implementazione di Salesforce Automation… Insomma, dietro tutto questo ci sono profondi cambiamenti culturali e un change management che deve essere governato. Devi sempre convincere e mostrare il valore di nuovi tool ai venditori. Far capire, ad esempio, che attraverso l’analisi dei dati su una determinata situazione cliente devi riprogrammare i tuoi percorsi visita per andare a trovarlo subito di persona, analizzando però prima lo storico dei suoi investimenti e la sua attuale situazione di business. Devi far capire il valore di una nuova cultura del servizio al cliente. Con Oracle gestiamo una serie di componenti delicate come il customer care, il customer service, la parte di HCM (Human Capital Management) e abbiamo sviluppato un intelligent digital assistant per la parte di chatbot. Sempre di più tutto in cloud perché è un’architettura che ti permette di passare da un focus sull’implementazione tecnologica allo sviluppo di soluzioni che abbiano un impatto sul business.

La relazione IT – business in illycaffè

ZeroUno: Che tipo di rapporti ci sono con l’area IT dell’azienda? Come si riesce ad estendere una cultura tecnologica, come quella dei sistemi informativi, in una dimensione business?

Pogliani: Nel nostro IT abbiamo numerose persone che hanno un approccio smart, market oriented. Ovviamente è fondamentale la competenza tecnologica, ma in termini generali esiste sempre meno in azienda una differenziazione netta tra il dipartimento IT, quello marketing, quello retail che pur fanno cose diverse. Le esperienze, le vision, soprattutto gli obiettivi, devono essere condivisi, comuni, integrati. Il collante è ciò che si diceva prima: allargare il focus dal “devo vendere” al “devo servire il cliente”. Se devo creare nel cliente l’attenzione e il desiderio per portarlo all’acquisto, farlo innamorare del brand del prodotto, poi non importa dove comprerà, in negozio, a casa via on line o al supermercato. Certo questo significa rivedere anche le politiche di incentivazione e quant’altro. È un change di mentalità profondo ma va fatto. Tutto questo si basa sui dati sulla capacità di analisi e gestione. Se questa è la sfida non ha molto senso che ci siano rigide divisioni tra i dipartimenti. Fare CRM non significa mandare delle mail al data base: significa analizzare i clienti, formare i cluster, capire come reagiscono a certe attività, devi lavorare per aumentare la tua conoscenza. Oggi abbiamo un’app che rappresenta per noi il punto di integrazione di tutte le interazioni che abbiamo con il cliente, ci permette di servirlo al meglio, in forma più personalizzata, capendo quali sono i suoi canali preferiti, cosa acquista, arrivando a proporgli un’offerta che percepisca ritagliata sulla base dei suoi gusti e interessi. Come si fa, con approcci di questo tipo, a non avere un’azienda che nei suoi dipartimenti non abbia processi integrati e continui percorsi di confronto?

ZeroUno: Quanto conta, in questo contesto, la sua sensibilità e curiosità digitale?

Pogliani: Secondo me moltissimo. In azienda sanno della mia passione per la tecnologia. Io mi sono laureato in Economia e Commercio, indirizzo marketing. La tecnologia è stata per me un’opportunità in passato per pagarmi gli studi. Facevo installazioni di Office ancora quando si usavano decine di dischetti. Ho fatto il capo progetto Sap, pur riportando, a quell’epoca, al direttore marketing. Ho sempre visto l’IT come un tool per fare meglio il mio lavoro di marketing. Ho vissuto in passato in prima persona la farraginosità tecnologica, la difficoltà delle persone al cambiamento, il rifiuto di trovare vie più funzionali e più semplici. Ma non per cattiveria, solo per abitudini consolidate. C’era proprio la disconnessione tra la parte IT, tecnologica, autoprotettiva e la parte business che non capiva le potenzialità. Negli Anni ’90, quando sapevi bene di SAP, ti chiamavano da tutte le parti. Io però non ho mai voluto sviluppare una direttrice tecnologica fine a se stessa ma volevo riuscire a fare meglio il mio lavoro marketing. Questa impostazione l’ho portata fino ad oggi e da questo punto di vista sono sicuramente avvantaggiato perché conosco i due mondi: quello IT, con cui riesco a discutere, valorizzando e ascoltando le persone; e il mondo business verso cui il mio compito è quello di convincere le persone che la tecnologia ti fa lavorare meglio, ti semplifica la vita, e quindi bisogna sempre più integrarsi.

Se i progetti di digital transformation, sempre verificati nel loro Roi, vengono sviluppati come frutto di un’intelligenza aziendale collettiva e condivisa, tutte le componenti, anche quelle tecnologicamente più infrastrutturali, concorrono alla creazione di valore, alla ricerca di nuove opportunità, al miglioramento dell’integrazione operativa tra le persone, generando nuove occasioni di business. Poi io ci metto del mio. Ci vuole anche passione per la tecnologia. A casa mia ho attrezzato, con grande disappunto di mia moglie, un’intera parte dell’armadio per farne il mio data center domestico, con tutta la casa connessa, audio, video, le mie passioni. Penso di avere ormai più terabyte a casa che in tutta la Illy.

ZeroUno: Mi strizza l’occhio, Pogliani, ma sono propenso a credere che sia vero.

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