La minor adozione in Italia rispetto ai paesi avanzati di soluzioni Ict, soprattutto da parte delle medie e piccole imprese, potrebbe derivare anche dall’inadeguatezza delle soluzioni sul mercato per soddisfare le nuove esigenze, come pure da operatori locali (partner, canale, system integrator…) non sempre abbastanza pronti a recepire le potenzialità delle nuove soluzioni per soddisfare le aspettative delle aziende. E, non da ultimo, da un’università che nonostante, come tutti gli intervistati sostengono, stia facendo un importante salto qualitativo per avvicinarsi al mondo business, si muove inevitabilmente in una prospettiva diversa da quella di breve periodo delle imprese. In questo scenario i fornitori It possono svolgere un ruolo importante, tenendo innanzi tutto aperto il canale di comunicazione verso le imprese utenti, assumendo un nuovo slancio nella capacità di innovazione, comportandosi da agenti attivi capaci di contribuire al trasferimento della conoscenza dai luoghi dove questa si genera (università, laboratori di ricerca, vendor internazionali…) verso il mondo delle imprese.
Di seguito e in continuazione dell’inchiesta sui processi di innovazione svolta da ZeroUno lo scorso gennaio (vedi ZeroUno gennaio/febbraio 2006) tra altri importanti vendor, riportiamo il punto di vista di tre fornitori It particolarmente attivi nell’ambito dell’innovazione.
Processi flessibili e riconfigurabili
Archiviata l’era nella quale la media impresa italiana riusciva a rivitalizzare la competitività e a rilanciare le esportazioni grazie alla leva della svalutazione della lira, siamo entrati nella fase dell’euro e della competizione globale dove si vince se si è capaci di accompagnare i prodotti con servizi distintivi. Lo sostiene Augusto Abbarchi (nella foto), amministratore delegato di
Sap Italia (http://www.sap.com/), che sottolinea: “Pur senza trascurare la qualità che distingue i prodotti italiani nel mondo, si deve ricordare che oggi la competitività deriva anche dai processi organizzativi e dai servizi che si collocano accanto al prodotto. Le aziende italiane più avanzate lo hanno capito e stanno cercando di recuperare il terreno perduto andando a creare processi organizzativi capaci di fornire velocemente servizi che affianchino i prodotti”.
In questo ambito conta soprattutto la velocità che deriva dalla capacità continua di riconfigurare rapidamente i servizi e i processi sottostanti. “Mentre non è più accettabile cristallizzare i processi in un sistema informativo che abbia come principale obiettivo abbassare al massimo i costi, come pure accadeva fino a qualche tempo fa”, prosegue Abbarchi che specifica come, ancora fino allo scorso anno, la stessa Sap veniva interpellata dai potenziali clienti affinché li aiutasse a comprendere in quale area realizzare risparmi grazie all’adozione di una nuova soluzione It; oggi viene invece sempre più spesso coinvolta per analizzare quale possa essere il ritorno di business dell’avvio di un nuovo progetto It. Per rispondere a queste esigenze l’azienda tedesca ha creato un struttura dedicata a denominata ‘value engineering’. “L’abilità consiste nella capacità di isolare un elemento della catena del valore per creare un nuovo business capace di massimizzare il valore della capacità che l’azienda ha al proprio interno”, spiega Abbarchi. “E spesso si tratta di un tipo di business diverso dal core dell’azienda, regolato da processi diversi”. Per dare risposte sempre più efficaci anche i vendor devono attingere ai luoghi dove la conoscenza e l’innovazione si generano, facendo da mediatori verso le imprese che sono disposte a cogliere solo gli aspetti della ricerca che hanno impatti immediati.
“Sap cerca di essere sempre più vicina al mondo dell’università per cercare di capire come se ne possa indirizzare l’azione per trarne un beneficio e portarlo di conseguenza alle imprese – ricorda Abbarchi – Oggi ci sono segnali interessanti da parte dell’Università, che si sta muovendo in modo positivo verso le imprese”. Un esempio concreto è quello di una collaborazione con l’Università di Pisa che ha dato esiti forse non estremamente significativi sul piano scientifico, ma molto concreti in termini di immediata applicabilità . I ricercatori italiani, in collaborazione con i loro corrispondenti rumeni, hanno studiato in termini di finanza e controllo di gestione quali siano gli elementi che consentono a un’azienda italiana di gestire una filiale rumena, risolvendo un problema che riguarda alcune decine di migliaia di aziende italiane che là operano. E con il supporto di Sap è nato un centro di competenza presso l’Università di Pisa per aiutare le imprese interessate.
Rete e open source
Dato per scontato che ci sia correlazione fra investimenti in Ict e innovazione, come mai l’Italia, che già parte da un livello basso, investe meno in rapporto al Pil dei paesi avanzati? Come mai, in particolare, continuano a diminuire gli investimenti delle Pmi che rappresentano circa 70% della ricchezza del Paese?
Sun (http://www.sun.com/ ) individua oggi due fenomeni che, interagendo tra loro, possono riuscire a innescare un’inversione di tendenza che favorisca, da un lato, le imprese utenti (con una nuova generazione di soluzioni applicative e servizi It) e, dall’altro, gli operatori del settore (che si trovano di fronte a una grande opportunità di rilancio). Stiamo parlando della Rete e dell’open source, entrambi in fortissima espansione. “Innanzitutto, la Rete è un potentissimo driver dell’innovazione poiché consente di mettere a fattor comune svariati elementi, con un risultato finale superiore alla somma delle singole parti.
Basti pensare, a tal proposito, all’importanza cruciale della banda larga, che abilita nuove applicazioni ogni volta che fa un salto in avanti”, ha commentato Franco Roman, direttore marketing e partner sales di Sun Italia, “Ma senza una nuova offerta, basata su soluzioni pensate per la Rete, gli investimenti delle Pmi non ripartiranno”, sottolinea Roman, ricordando che la condizione affinché ciò avvenga è il rilancio e la riqualificazione dell’industria del software nazionale in quanto responsabile nel creare l’offerta per le Pmi. Lo sviluppo collaborativo open source rappresenta un modo intelligente di riqualificare l’offerta di software, che si addice perfettamente alla realtà nazionale. Infatti, le software house italiane, sempre più in difficoltà a competere con i grandi vendor internazionali, partecipando attivamente alla comunità open source possono condividere e attingere know how prezioso per creare servizi a valore aggiunto per le imprese e passare da una fase “artigianale” ad una compiutamente “industriale”. Un chiaro esempio del potenziale innovativo del binomio Rete-open source è rappresentato dall’iniziativa Java Open Business (JOB), promosso da Sun Italia, che, a soli due anni dalla nascita, conta oggi oltre 1.600 iscritti, e che è stato ideato proprio con l’obiettivo di creare una nuova generazione di software, totalmente flessibile e personalizzabile, pensato per la Pmi italiana.
Ma visto che il modello open source mette a disposizione software gratuito per fare altro software, come mai il fenomeno non esplode? La risposta di Roman è che mancano ancora le competenze: “L’ambiente open source è per programmatori veri”, spiega. Da qui il ruolo strategico che può svolgere l’Università dove queste competenze di base sono create e da dove possono essere trasferite. Sun prevede dunque da un lato, per diffondere la cultura dell’open source, il portale Job, che vede come sponsor ufficiali prestigiose università come Torino e Trento e il Tedis di Venezia, mentre altre sono in fase di aggregazione; dall’altro, per diffondere la competenza specifica, il centro di competenza Open Solaris, in collaborazione con l’Università di Pisa . Quest’ultimo è di fatto un centro servizi per terze parti che vogliono imparare, dove è possibile effettuare porting di applicativi su Solaris, provare le nuove tecnologie, utilizzare il sistema di benchmark per provare le prestazioni.
L’innovazione continua
Partendo dal dato di fatto che sono soprattutto i partner a interagire con le imprese utenti, Gregorio Piccoli che è parte del consiglio di amministrazione di Zucchetti (http://www.zucchetti.it/ ), con la responsabilità delle tecnologie per tutto il gruppo, sottolinea: “I nostri prodotti si caratterizzano come piattaforme applicative su cui costruire le soluzioni in un’ottica di innovazione continua. Da qui il mio ruolo, ossia quello di trasferire al canale, a un costo basso, le innovazioni, ricercate prima e poi sperimentate all’interno, seguendo lo slogan: rendere facili le cose difficili”.
Piccoli è in pratica a capo di un gruppo dedicato all’esplorazione delle tecnologie e che fa a sua volta ricerca; questa, una volta rielaborata e sottoposta a test, viene trasferita “in pillole” al canale. “Infatti – ricorda – non sempre il canale è pronto a recepire tecnologie spesso molto innovative; il nostro compito è allora impacchettarle in strumenti di sviluppo che accompagnino il prodotto per poter guidare chi deve fare innovazione adattando i prodotti alle esigenze delle aziende”. Il compito del gruppo guidato da Piccoli è selezionare le novità nell’ottica della specializzazione di Zucchetti, che consiste nello sviluppare software in particolari ambiti di utilizzo quali il gestionale, le risorse umane ecc. Un esempio che fa meglio comprendere come si espleti questa attività è legato alla ricerca di un’interfaccia web adatta alle applicazioni aziendali “Noi siamo da sempre molto interessati a un’interfaccia ricca per le applicazioni aziendali, per le quali è particolarmente importante l’interazione con gli utenti, a differenza di quanto accade per la componente pubblica ed editoriale dove ha invece un ruolo prevalente la componente di accesso – ricorda Piccoli – Fin dall’inizio dell’era web abbiamo capito che un’interfaccia troppo adagiata su form statici risultava troppo vicina alle architetture dei vecchi mainframe per essere apprezzata dai nostri utilizzatori tipici”. Nel tempo Zucchetti ha dunque esaminato le diverse soluzioni che cercavano di fornire interattività all’interfaccia (come ad esempio gli applet java) selezionando le soluzioni più significative da sottoporre a test interni. E alla fine ha preso corpo la proposta Asax 2.0, identificata come la più vicina alle scelte di Zucchetti e alle esigenze di interattività e dinamicità dei suoi clienti. Questa tecnologia è oggi presente in diverse soluzioni, ad esempio nella linea risorse umane e nel corporate portal. Altro terreno di analisi interessante secondo Piccoli è il Web 2.0, per la sua capacità di introdurre un enorme cambiamento nelle relazioni aziendali. Le attività di scouting alla ricerca di tecnologie innovative sfruttano in particolar modo i rapporti con l’università, anche se non in modo esclusivo. Particolarmente intensa è l’attività di scambio con l’Università di Crema, anche per la vicinanza a Lodi (sede di Zucchetti), e con il gruppo coordinato dal professor Degli Antoni, fondatore del Dipartimento di Scienze dell’Informazione presso l’Università degli Studi di Milano. Non ci si limita però a esplorare le attività svolte in ambito universitario, ma si cerca di stimolare l’analisi di nuovi temi anche attraverso la proposta di tesi, finalizzare a sviscerare argomenti particolarmente interessanti per Zucchetti.
L’open source svolge poi un ruolo importante anche per Zucchetti che lo considera complementare alla propria offerta. “Non c’è ragione per la quale i componenti di base non distintivi della soluzione come ad esempio il sistema operativo, il database, il browser, programmi di scrittura e presentazione dei documenti, ossia componenti di base, non siano open”, conclude Piccoli.