Vita da CIO

Umberto Stefani (Chiesi): “L’innovazione è un gene che inseriamo nel DNA dell’azienda”

Ha imparato a conciliare il ruolo di responsabilità con una vita privata dove oltre alla famiglia coltiva tre grandi passioni: musica, cucina e acqua. Umberto Stefani, CIO di Chiesi Farmaceutici) si racconta nell’intervista rilasciata per la rubrica Vita da CIO

Pubblicato il 17 Dic 2020

Stefani CHIESI

Mattiniero, con un grande amore per la musica, Umberto Stefani, CIO di Chiesi Farmaceutici, ha altre due grandi passioni: la cucina e l’acqua (“non quella da bere”, come precisa ridendo)

La musica è un amore di lunga data: “La mia vita ha una colonna sonora: ci sono delle canzoni che mi ricollegano immediatamente a un momento, a un’esperienza. Ho anche fatto una playlist su Spotify che comprende circa 2000 pezzi, da quando sono nato a oggi”. La cucina ha un effetto benefico: “Mi rilassa in maniera incredibile e mi diverte sperimentare”.

Anche l’acqua è una passione di lunga data, ma accanto al classico nuoto, un anno fa Stefani ha iniziato a fare immersioni: “E mi piace tantissimo. Ho scoperto un mondo ed è una passione che ha coinvolto tutta la famiglia [Stefani è sposato, con due figli, una femmina che frequenta l’università e un maschio iscritto al liceo artistico ndr]. Ho scoperto che il mondo sott’acqua è proprio il mio habitat naturale”.

Vediamo quindi come il CIO concilia queste passioni e il tempo da dedicare alla famiglia con l’impegno di essere a capo dell’IT globale (circa 90 persone interne, più consulenti, servizi ecc.) di un’azienda che ha diverse sedi nel mondo. È proprio questo il tema della prima domanda:

Umberto Stefani: Cerco tenere separate il più possibile vita privata e vita professionale. Quando ero più giovane mi capitava spesso di portarmi a casa i problemi, con la conseguente “invasione” del lavoro sulla mia vita privata, ma l’esperienza mi ha insegnato che uno stacco totale è indispensabile. Questo ha anche un effetto positivo sul lavoro perché mi consente di recuperare energie.

L’importanza delle relazioni informali

ZeroUno: Quale impatto sta avendo sul lavoro questo difficile periodo che stiamo vivendo da marzo?

Umberto Stefani: C’è un aspetto negativo che riguarda la mancanza di contatto fisico con i colleghi, del rapporto informale, piacevole non solo dal punto di vista personale ma utile anche per il lavoro: alla “macchinetta del caffè” non solo si scherza o si chiacchiera del più e del meno, ma ci si scambiano idee, opinioni a ruota libera che poi possono rivelarsi utili per il lavoro.

Adesso è tutto più formale, ingessato e scadenzato da call che si succedono l’una all’altra senza darti il tempo di riflettere.

L’aspetto positivo è che abbiamo imparato a fare progetti anche molto complessi a distanza: abbiamo, per esempio, implementato Sap in alcune filiali senza muoverci da casa. Questo può essere molto utile anche in futuro perché vuol dire che non ci sono limiti in termini di efficienza al lavoro da remoto, ciò non toglie che lavorare sempre a distanza può essere alienante.

ZeroUno: La relazione è un aspetto importante sul lavoro e mai come dopo questa esperienza ce ne stiamo rendendo conto. Com’è la relazione con i tuoi collaboratori? Come definiresti il tuo stile di management?

Umberto Stefani: Sicuramente molto informale: chiunque può bussare alla mia porta (virtuale dato che da tempo lavoriamo in un open space) e chiedermi supporto, ma quello che non tollero è che mi si portino problemi senza portare anche possibili soluzioni. Naturalmente sono disponibile a dare il mio aiuto sull’identificazione della soluzione migliore, ma deve già esserci una possibile risposta al problema.

Mi piace che i miei collaboratori siano proattivi, che dimostrino entusiasmo per quello che fanno e perché ciò avvenga cerco di coinvolgerli nella loro totalità anche in iniziative formative che non siano rivolte a temi specificatamente tecnici, ma dal punto di vista manageriale.

Coerenza tra organizzazione IT e business

ZeroUno: Qual è la tua organizzazione IT ideale

Umberto Stefani: L’organizzazione IT deve essere coerente rispetto all’organizzazione aziendale, quindi deve esserci un legame quotidiano con il business. Dobbiamo garantire un costante allineamento tra l’evoluzione del business e l’organizzazione IT.

Noi abbiamo due anime: una applicativa, ed è la componente dell’organizzazione che si interfaccia con il business, e una tecnologica. La prima deve mappare esattamente l’organizzazione del business, avere punti di riferimento costanti e solidali nei confronti delle funzioni di business e l’interlocutore IT deve essere in grado di dialogare con la specifica funzione di business.

L’anima tecnologica è più funzionale, ma deve funzionare a supporto della parte applicativa: l’infrastruttura esiste perché ci sono le applicazioni che a loro volta ci sono perché il business ha dei processi e ha bisogno di un supporto.

La situazione può essere un po’ complicata quando si ha a che fare con un’organizzazione globale, come nel nostro caso. Anche qui il nostro filo conduttore è sempre la relazione con il business, per cui strutturiamo la nostra organizzazione sulla base dell’organizzazione che si dà il business e che deve vederci nella nostra semplicità: non dobbiamo creargli confusione, deve sapere sempre ed esattamente chi è il suo referente. Ovviamente questo comporta continue modifiche, adattamenti, sistemazioni, non si può stare fermi, ma questo è anche stimolante.

La cosa importante è pensare sempre che la nostra controparte di business è un collega, con il quale fare progetti insieme per un obiettivo condiviso.

ZeroUno: E qual è il vostro supporto nella relazione con i clienti?

Umberto Stefani: Quelli a cui, come industria farmaceutica, vendiamo i nostri prodotti sono i distributori, i wholesale, le farmacie e poi c’è il nostro cliente prescrittore, il medico. Noi non abbiamo rapporti diretti con i medici, ma supportiamo le funzioni di business che hanno questo rapporto. In questo periodo, per esempio, stiamo ripensando insieme al marketing e alle vendite tutto il tema della customer experience. La relazione con il medico, anche a seguito del periodo che stiamo vivendo (ma non solo, in realtà c’è stata un’accelerazione a causa della pandemia su un trend che era già in atto), sta cambiando significativamente: il classico rapporto informatore-medico, fatto di visite periodiche è un po’ obsoleto e si sta attivando una serie di canali digitali che abilitano una nuova relazione. Una relazione che può essere, da una parte, anche più frequente, con momenti di contatto anche non diretti, ma che, dall’altra, si caratterizza per una combinazione di contenuti che noi eroghiamo al medico e che possono essere cercati dal medico in autonomia o che spinti dai nostri informatori.

Per fare questo lavoro dobbiamo conoscere il comportamento, l’esigenza del medico per capire come possiamo informarlo in una maniera più efficace e più efficiente, non propinando in modo massivo le informazioni ma cercando di veicolare solo quello che è di suo reale interesse.

Naturalmente l’altra faccia di questo lavoro riguarda i nostri informatori scientifici, che costituiscono il 50% della popolazione aziendale, perché devono imparare a gestire queste nuove modalità di interazione e quindi sarà necessario fornire loro gli strumenti, anche in termini formativi, giusti per poterlo fare.

ZeroUno: E come si caratterizzano, dal tuo punto di vista, le relazioni con i vendor di tecnologia?

Umberto Stefani: In questo caso parliamo di una classica relazione cliente-venditore. Non amo molto il termine partnership per definire questa relazione perché non è semplice che ci sia un obiettivo comune tra chi emette e chi paga una fattura. Detto questo, la condizione fondamentale per una relazione proficua è la trasparenza perché per lavorare insieme bisogna fidarsi l’uno dell’altro e per farlo bisogna lavorare bene sui contratti. Meglio spendere un po’ di tempo nella preparazione di un contratto, questo consente di evitare qualsiasi discussione o equivoco successivi.

E poi dobbiamo rispettare i nostri fornitori, ognuno deve avere il proprio onesto guadagno altrimenti anche il servizio degrada.

Cos’è l’innovazione

ZeroUno: Qual è la tua idea di innovazione?

Umberto Stefani: Comincio con il dire quello che per me non è: non è il colpo di genio di un individuo. Ho visto diverse esperienze in aziende con le quali sono venuto in contatto che hanno definito ruoli come “responsabile dell’innovazione”, con team che si occupavano di innovazione, ma non ne ho visto uno che abbia prodotto risultati eclatanti. Secondo me l’innovazione è una sorta di state of mind, è un modo di approcciarsi al nuovo, bisogna lavorare insieme a un problema da risolvere, un fabbisogno da soddisfare, un’opportunità da cogliere: lavorando insieme e mettendo a disposizione tutte le competenze, si lavora per trovare una soluzione; per fare innovazione c’è bisogno di più competenze che non possono essere tutte nella testa di una persona. L’innovazione deve essere una sorta di gene che inseriamo nel DNA dell’azienda, quindi tutti devono avere l’approccio all’innovazione, non è il lavoro di un singolo.

E poi innovare non significa necessariamente fare qualcosa di sconvolgente, può anche essere la semplice progettazione di una soluzione che risolve un piccolo problema, che migliora l’efficacia di un progetto.

Stefani CHIESI
Umberto Stefani, CIO di Chiesi Farmaceutici. Illustrazione di Lorenza Luzzati

ZeroUno: Mi puoi raccontare un momento particolarmente difficile e, d’altro canto, uno particolarmente entusiasmante?

Umberto Stefani: Fortunatamente ho avuto tanti momenti belli nella mia vita professionale. Dovendone citare uno mi viene in mente il primo progetto di implementazione di Sap in Chiesi Italia, ormai una decina di anni fa: come puoi immaginare era piuttosto impegnativo, è durato un anno e mezzo e ha coinvolto parecchie decine di persone, impattando su tutti i processi aziendali. Siamo riusciti a finirlo rispettando i tempi e il budget al centesimo: è stato un bel progetto e la soddisfazione tanta, soprattutto perché alcuni giorni dopo essere andati in produzione, in una cena aziendale, un top manager mi disse “non avrei scommesso sul successo di questo progetto”.

Un momento difficile è legato a una mia precedente esperienza professionale. Dopo un paio di anni di lavoro all’università, ho passato l’altra metà della mia vita professionale (sono in Chiesi da 17 anni) in Barilla. In quel periodo sono stato circa un anno negli Stati Uniti come responsabile IT della sede americana. Ero in una piccola città del Connecticut e, oltre ad essere lontano da casa, con una conoscenza della lingua non perfetta, mi trovavo per la prima volta in un ruolo con quella responsabilità. E quindi ci sono state diverse sera in cui, solo in albergo, mi chiedevo chi me lo aveva fatto fare. Per fortuna ero molto vicino a New York e poi i colleghi italiani mi hanno dato un grande supporto.

Contemporaneamente è anche stata un’esperienza professionale molto importante e formativa e sono stato molto contento di averla fatta anche perché ha abilitato la mia carriera successiva.

ZeroUno: Concludo con una domanda di rito: cosa consiglieresti a un giovane che si affaccia al mondo del lavoro oggi?

Umberto Stefani: Prima di tutto gli consiglierei di essere umile. Poi di mettersi in gioco, ma l’umiltà è una componente importante perché abilita la capacità di crescere. Spesso si vedono giovani rampanti che arrivano dall’università e pensano di sapere tutto, invece bisogna vivere la vita dell’azienda, viverla con umiltà e curiosità. E bisogna essere coraggiosi, disponibili a rischiare un po’.

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