Attualità

Innovazione digitale nelle PMI: il sistema come eccellenza

L’Osservatorio del Politecnico di Milano ha presentato il nuovo rapporto sullo stato di maturità digitale delle piccole e medie imprese italiane estendendo l’indagine alle PMI “large” e alle filiere. Emerge, così, un ecosistema in grado di promuovere soluzioni innovative tra tutti, ovvero tra chi è digitalmente evoluto e chi rappresenta il cuore della produzione italiana.

Pubblicato il 28 Giu 2022

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Non è un caso se l’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano ha scelto un titolo di pirandelliana memoria per l’ultimo rapporto sul percorso digitale delle PMI italiane. “Uno, nessuno…ecosistema!” racchiude l’identità di un tessuto imprenditoriale frammentato in tante piccole realtà che, pur rappresentando l’orgoglio del made in Italy, faticano ad essere protagoniste del proprio cambiamento in chiave digitale.

Imprenditori che sembrano ancora essere concentrati sulla quotidianità piuttosto che nel pianificare e gestire processi innovativi; filiere fatte di imprese come tanti piccoli tasselli che necessitano di affrontare un cambiamento a livello di sistema piuttosto che in solitudine; PMI “large” evolute ma non abbastanza per intraprendere un processo innovativo in modo autonomo. Un quadro complesso, che ha bisogno di congiungersi in modo che ognuno possa essere parte di un sistema. “Oggi per la varietà delle PMI, guardare all’intero ecosistema a partire dalle filiere è l’elemento fondamentale per spingere alla digitalizzazione del nostro paese” afferma Claudio Rorato, direttore dell’Osservatorio, nell’introdurre la presentazione del rapporto sulle PMI.

Il ruolo delle filiere per la crescita digitale

Un ruolo centrale nel processo di digitalizzazione della piccola e media impresa italiana deve andare alle relazioni di filiera. Nessuna impresa può essere artefice e singolarmente responsabile di un processo di innovazione. Questo è quanto emerso durante la presentazione del rapporto all’interno del quale sono evidenziati trend emergenti e criticità delle tre principali filiere del made in Italy: l’agroalimentare che rappresenta il 25% del PIL nazionale con il primato assoluto per le esportazioni, la filiera della moda e quella dell’arredo.

Mentre l’agroalimentare è un settore rappresentato o meglio, polverizzato in tante microimprese (96%), l’indotto della moda è caratterizzato da un numero minore di PMI ma da un grado elevato di specializzazione e produttività per addetti con una spinta verso trend tecnologici legati alla tracciabilità delle materie prime e dei prodotti. La filiera dell’arredo ha un numero minore di PMI rispetto alle altre filiere, ma un fatturato elevato anche grazie alle politiche edili promosse dai governi.

Eppure, come emerge nel rapporto, manca una progettualità di filiera. Le imprese più evolute così come i gruppi a capo delle filiere sono orientati al proprio benessere piuttosto che dell’intero sistema di riferimento. Nelle PMI, ogni forma di innovazione risulta destabilizzante, perché altera gli equilibri quotidiani. Le relazioni di fornitura sono spesso di prossimità e non incoraggiano i processi di digitalizzazione. La relazione digitale con i capi filiera è fatta di soluzioni/portali prevalentemente basici. Mancano standard digitali e gli stessi capi filiera agiscono senza coordinamento.

Secondo l’analisi frutto del rapporto, le PMI più evolute dovrebbero favorire le relazioni e le comunicazioni con i diversi operatori territoriali (gli hub territoriali, ad esempio) per sensibilizzare verso i benefici della digitalizzazione lungo tutta la supply chain. I capi filiera attraverso le software house dovrebbero spingere verso la creazione di soluzioni tecnologiche ad hoc.

PMI vs. PMI large: la diversa maturità digitale

Il 41% del tessuto imprenditoriale italiano è costituito dalle PMI (tra 10 e 249 addetti e fatturato inferiore ai 50 milioni di euro) che assorbono il 34% di lavoratori. Esiste, però, un segmento di imprese che rispetta solo uno dei criteri attribuiti alle PMI tradizionali.

Queste PMI “large” sono l’anello di collegamento tra le piccole e medie e le grandi imprese. Una distinzione che, quando viene letta nell’ottica dei processi di digitalizzazione, si fa subito marcata. Il 61% delle PMI large spinge in modo deciso verso il digitale rispetto al 35% delle PMI cosiddette tradizionali. Non solo: per le prime il digitale è a tutti gli effetti centrale nelle scelte di investimento. Due imprese su dieci dichiarano, infatti, di aver avviato un processo interno di digitalizzazione da almeno due anni. Solo il 2% ritiene che il costo per digitalizzare sia più alto rispetto ai benefici; percentuale che nelle PMI tradizionali sale al 16%.

Non soltanto il digitale è percepito come vantaggio sia in fase di revisione che di integrazione dei processi, ma soprattutto le PMI considerate large hanno una maggiore consapevolezza del proprio livello di competenze in tema di digitale. Manca, però, attenzione alle attività di formazione dei dipendenti. In pratica, manca una cultura digitale estesa.

Dall’altra parte, la transizione verso il digitale è in armonia con una visione green. Il 58% guarda a soluzioni in grado di ridurre l’impatto energetico. Il 48% ha introdotto o è interessato ad introdurre un giudizio di solidità riguardo le performance ambientali, sociali, e di governance (rating ESG). Il 61% è interessato o ha introdotto best practice di Corporate Social Responsibility (CSR) nelle strategie di impresa.

Le PMI large a cui le altre potrebbero guardare per evolversi, mostrano una particolare attenzione verso le tecnologie di frontiera, anche se con tassi ancora molto contenuti per poter parlare di approccio diffuso: il 17% ha adottato soluzioni di Big Data, il 21% di IoT, il 14% di intelligenza artificiale e solo il 4% di Blockchain.

Chi promuove l’innovazione tecnologica all’interno delle PMI?

La spinta verso una maggiore consapevolezza del digitale si rispecchia anche nella scelta di soluzioni personalizzate (45%) sviluppate internamente o attraverso un partner esterno, e dalla volontà di creare un gruppo completamente dedicato all’IT (il 68% delle large ha un responsabile IT, nelle PMI scende al 64%). A gestire l’innovazione nelle large è il vertice strategico, seguito dal responsabile IT mentre è meno rilevante il ruolo dell’imprenditore (13% contro il 34% delle PMI). Le progettualità interne sono spesso sviluppate in autonomia.

Il cloud è diffuso, ma principalmente in soluzioni basiche e le PMI large nel 61% dei casi scelgono un approccio ibrido, cloud e on premise. Nel 21% delle PMI large i dati sono completamente accessibili, mentre l’approccio alla cybersecurity nelle PMI tradizionali è secondario e affidato a consulenti esterni.

La connettività resta un problema: “Non abbiamo potuto avviare un progetto di industria 4.0 perché la connettività di zona non consentiva livelli di affidabilità e latenza sufficienti per il dialogo macchina-macchina”. Questa è la frase più condivisa durante l’indagine del rapporto. Infine, anche gli hub territoriali di innovazione possono essere un supporto e un modello per tutti gli imprenditori. Nel rapporto sono analizzati in quattro diverse tipologie: Digital Innovation Hub, Punti Impresa Digitale, Innovation Manager e Competence Center.

PMI Award 2022

Durante la presentazione sono state premiate tre PMI italiane: Arredo Inox (Crotone), Bcn Concerie (Pisa) e Rta (Pavia). Il premio frutto di un contest è stato assegnato perché si sono distinte rispettivamente in un progetto per il monitoraggio e l’analisi dei dati attraverso un sistema MES (Manufacturing Execution System); per aver introdotto all’interno un sistema basato su intelligenza artificiale per la gestione dei tempi di produzione e delle criticità e per aver migliorato i processi lavorativi interni attraverso una migliore gestione dei dati.

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