Innovazione parte l’ultimo treno

Pubblicato il 02 Dic 2004

A giudicare dalla quantità di convegni che in questo periodo si organizzano sul tema dell’innovazione, sembra proprio di vivere in un Paese, l’Italia, proiettato nel futuro.
Va anche detto che, come ha sottolineato con una battuta non troppo distante dalla realtà, Adriano De Maio, ex rettore del Politecnico di Milano e oggi rettore dell’Università Luiss Guido Carli durante il recentissimo convegno Txt ‘Competing through innovation’ tenutosi a Venezia, “l’Italia è il Paese al mondo dove più si parla di innovazione e ricerca…perché non se ne fa!”.
Concretamente, possiamo ipotizzare che, accanto alla proclalamata necessità di “smuovere il sistema Italia” sulla sfida di una competizione internazionale sempre più spinta (che rischia di lasciare sul terreno parecchie delle “specificità imprenditoriali del made in Italy”), negli ultimi tre mesi dell’anno, quando i contorni della manovra finanziaria si fanno più precisi, il mondo imprenditoriale venga a ‘battere cassa’. Si sta determinando così una situazione dagli aspetti talvolta grotteschi. A fronte infatti del generalizzato dibattito sul tema dell’innovazione da parte di imprenditori e governo, da un lato notiamo quest’ultimo seguire nei fatti una semplice via di ricerca del consenso elettorale, puntando sul taglio delle tasse piuttosto che su politiche di lungo periodo tese davvero all’innovazione del Paese agendo su infrastrutture, sistemi finanziari, normative, formazione e ricerca. Dall’altro lato, accade che i vertici di Confindustria chiedano oggi supporti all’innovazione che abbiano sostegno all’interno della legge Finanziaria. Forse dimentichi che il deprecato appiattimento culturale da parte del nostro management in tema di cambiamento e innovazione tecnologica è anche frutto di un atteggiamento, avallato in passato da Confindustria, culturalmente più orientato al taglio dei costi e alle logiche di lobby che all’individuazione delle reali leve di cambiamento competitivo, tra le quali un ruolo centrale lo giocano senz’altro le tecnologie Ict.
Ci rendiamo conto della complessità del tema e del rischio di apparire superficiali. Ma ci sono alcuni tasselli di questo grande mosaico dell’innovazione, utili da focalizzare per dare un’idea di come stia avvenendo oggi il dibattito tra le parti in gioco.
Il contesto mostra chiaramente che nei confronti dei paesi asiatici l’Italia dovrà essere in grado di sostenere una competizione nuova, che valorizzi le proprie specificità pur all’interno di un profondo cambiamento nei modelli organizzativi, nelle strutture di impresa (e tra queste l’Ict) e di relazione sul mercato, cominciando a ripensare i modelli culturali individuali. Non dimentichiamo che oggi l’Asia registra circa il 40% delle importazioni mondiali e che queste dipendono in gran parte dal rafforzamento dell’apparato industriale attraverso beni intermedi di produzione e di investimento. La Cina ha una crescita annua del Pil del 9,2%. L’area asiatica nel suo complesso ha un Pil compreso tra il 4,5% di Taiwan e l’8,3% di Singapore. In Italia siamo oggi all’1,3% e saremo all’1,8% nei prossimi due anni se le previsioni della Commissione Ue saranno rispettate. Il mercato della cosiddetta ‘middle class’ cinese registrerà nei prossimi anni, secondo le principali banche d’affari, una fortissima crescita in termini di consumi e aumento degli standard di qualità. Nel 2006, infine, sempre la Cina, con il suo miliardo e duecento milioni di persone, dovrà implementare le regolamentazioni economiche del Wto, entrando così a tutti gli effetti tra i grandi “regolatori” economici del mondo.
E allora, che dire a quegli imprenditori italiani che vedono nell’innovazione non solo una risposta alla competizione che viene dall’estremo Oriente, ma anche un elemento propulsivo per sfruttare le potenzialità di sviluppo che l’apertura di questi mercati può dare? Molteplici sono le risposte. Secondo Bill Gates, il fondatore di Microsoft incontrato a Milano pochi giorni fa ad una riunione di Confindustria: “L’uso della tecnologia come leva per aumentare la competitività d’impresa deve articolarsi secondo le caratteristiche delle diverse aziende e le specificità di ogni paese, senza emulare modelli di altre nazioni. Quindi va rafforzato il modello tipico delle imprese italiane, riducendo il gap di utilizzo tra Pmi e grande azienda ed ingegnerizzando nelle soluzioni Ict questi modelli organizzativi consolidati di relazione e di approccio al mercato, per sfruttare in modo ottimale le potenzialità tecnologiche”. Una tecnologia insomma che sia metabolizzata secondo i criteri di competizione delle nostre aziende. Le quali, peraltro, devono sapere che accettare la sfida competitiva su un piano globale significa anche in parte mettersi in gioco, credendo nell’innovazione tecnologica e di mentalità. “In tema di innovazione – ha detto il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, presente all’incontro con Gates – dobbiamo porci almeno tre obiettivi: aumentare negli imprenditori una cultura all’innovazione; aumentare l’utilizzo dell’Ict come elemento di efficienza e competitività e infine coniugare l’innovazione Ict con il miglioramento dell’efficienza delle filiere produttive, per arrivare al cliente con prodotti e servizi adeguati”.
Su questo punto esistono già segnali chiari di accettazione della sfida da parte delle imprese italiane: alcune analisi evidenziano infatti come le nostre esportazioni siano aumentate soprattutto in quelle aree dove si è delocalizzata la produzione. A partire quindi da una filiera produttiva che si internazionalizza sempre più e che deve diventare flessibile, si estende la capacità di presidio di nuovi mercati. In tutto questo l’ Ict ha un valore fondamentale. “Anche per le imprese di più contenute dimensioni – ha detto Gates – oggi ogni processo viene digitalizzato e le Pmi devono poter essere parte di questi nuovi digital process ed inserirsi nelle filiere produttive distribuite anche in paesi a forte crescita economica”.
Ovviamente i tasselli da incastrare, nel puzzle dell’innovazione italiana, sono molteplici. Essenziale è ad esempio il ruolo delle banche. Ed anche da questo mondo, storicamente restio ad erogare credito “alle idee” senza pretendere garanzie spesso impossibili da offrire da parte di aziende in fase di crescita, qualche segnale sta venendo. Abbiamo sentito, sempre al convegno Txt, una banca di primaria importanza presentare un proprio servizio di erogazione di credito “senza garanzia” per sostenere l’innovazione della Pmi. A fronte di un progetto interessante, con una grande presenza di infrastruttura Ict, la banca lo farà valutare da centri universitari ad essa collegati per verificare la congruità dei costi rispetto alle caratteristiche tecniche dell’innovazione. Se questa fase verrà superata, la banca finanzierà il progetto attraverso una specifica linea di credito, fornendo anche consulenza sul piano dell’analisi dei competitor simili presenti sul mercato e dando alla Pmi una serie di valutazioni comparative e di supporti.
Per Assinform, l’Associazione nazionale dei produttori di tecnologie e servizi Ict, anch’essa presente a Venezia con il presidente Pierfilippo Roggero, innovazione significa concretizzare l’azione di lobbing presso il governo affinché inserisca nella Finanziaria 2005 provvedimenti in conto interessi per agevolare l’adozione di Ict presso le Pmi, con finanziamenti da 6 mesi a 3 anni, sino a un massimo di 500.000 euro.
E ancora: l’innovazione, per il ministro dell’Istruzione Letizia Moratti, presente in video all’incontro milanese di Confindustria, “Passa anche attraverso la filiera della conoscenza ed un rapporto più stretto tra ricerca e impresa”. E a questo proposito, non si capisce perché mai alla scuola ogni anno vengano date sempre meno risorse, lasciando spesso in una dimensione ‘missionaria’ il ruolo dell’insegnante, fondamentale invece nel percorso formativo dei ragazzi. “Il sistema educativo deve farsi carico di formare persone che abbiano skill diversificati – ha affermato infatti Gates – per arrivare ad avere uomini e donne che abbiano non solo competenze tecnologiche ma anche capacità di coinvolgimento, di relazione, leadership, uomini che sappiano anche guardare allo sviluppo d’impresa secondo un’azione che abbia una valenza non solo sul piano economico ma anche su quello della responsabilità sociale e della tolleranza”.
E’ evidente infine come l’innovazione abbia profondi impatti sulla società e sulla qualità della vita. E a questo proposito vorremmo chiudere questo editoriale parlando di un’iniziativa nuova, coraggiosa e che merita di essere apprezzata per lo sforzo ideativo e di posizionamento che le si è voluto dare. Segnaliamo il Futurshow 3004, chiusosi a Milano pochi giorni fa, come il tentativo di articolare l’innovazione tecnologica nelle sue mille sfaccettature. Una manifestazione che ha voluto abbandonare la logica tradizionale dello stand espositivo per mettere al centro dell’attenzione le persone, le aziende, le istituzioni nei loro percorsi di avvicinamento alla tecnologia e di espressività attraverso di essa. Insomma l’innovazione è già qui, è diffusa e le persone non la rifiutano. Si tratta di renderla un processo trasversale e intrinseco al nostro modo di vivere, dandole un ruolo centrale oltre che come strumento di crescita economica per le imprese, anche come strumento infrastrutturale per favorire l’integrazione e quindi la tolleranza tra le persone, il miglioramento dei servizi sociali e, in sintesi, della qualità della vita. In questa dimensione di pacificazione sociale della tecnologia e non di esasperata competizione finalizzata al solo modello consumistico (per non dire delle applicazioni ai progetti di guerra…), sta probabilmente la svolta della nostra società.
Ci vogliono però delle menti illuminate, dei leader che abbiano il coraggio di imprimere questa svolta. Se ne vedete in giro qualcuno scrivete a: s.ubertifoppa@zerouno.pbh.it

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