Abbiamo visto come la crisi, che sta investendo come un vento distruttore persone e imprese, stia connotando questo 2009. Ma abbiamo anche visto, spesso sulla nostra pelle, che, come un fuoco rigeneratore, la crisi interviene a eliminare molte storture, deviazioni e presenze ingiustificate sul mercato. E iniziamo l’anno lavorativo, che coincide per molti con la ripresa settembrina dei lavori dopo la breve pausa estiva, con un po’ di ottimismo. Ma senza esagerare. Abbiamo visto come la crisi, che sta investendo come un vento distruttore persone e imprese, stia connotando questo 2009. Ma abbiamo anche visto, spesso sulla nostra pelle, che, come un fuoco rigeneratore, la crisi interviene a eliminare molte storture, deviazioni e presenze ingiustificate sul mercato. Nessuno, crediamo, potrà negare come questa recessione sia anche una profonda lezione dalla quale dobbiamo apprendere per il futuro. Abbiamo però anche sentito e letto come le previsioni guardino ormai in modo quasi unanime a ipotesi di ripresa a partire già dai primi mesi del 2010 e come, proprio attorno a Ferragosto, i titoli dei principali quotidiani italiani ed europei indicassero che “La recessione sta per finire” e “siamo al punto di svolta”. Si trattava in questo caso non tanto di una delle tante forzature giornalistiche estive quanto della pubblicazione di un’affermazione della Bce, la Banca Centrale Europea, che prevede ormai ufficialmente una fase di stabilizzazione all’inizio 2010 alla quale dovrebbe seguire una graduale ripresa. E soprattutto, la notizia positiva è stata che due locomotive europee come Francia e Germania (e sappiamo quanto, nello specifico quest’ultima, sia fondamentale per il meccanismo dell’export italiano), che da sole rappresentano oltre la metà del Pil europeo, abbiano segnato nel secondo semestre dell’anno (aprile-giugno) un inaspettato + 0,3% sorprendendo persino i rispettivi governi che non si aspettavano un effetto così diretto e rapido delle manovre attuate per stimolare l’economia e i consumi. Senza contare, in questo nostro veloce sguardo sulla macro-economia, che soprattutto per quanto riguarda la crescita tedesca, e a dimostrazione dell’ormai forte integrazione globale economica e finanziaria dei mercati, il “traino” economico tedesco trova la sua primaria origine nella ripresa della Cina e dalla sua capacità di mantenere il proprio Pil al 7,9%, una crescita che drena buona parte delle esportazioni tedesche (e di conseguenza una parte significativa anche delle nostre). Insomma: i tanti segnali di ripresa auspicati cominciano a fare la loro timida comparsa e l’Italia, forte di una cultura finanziaria conservatrice (nel senso prudenziale del termine, non votata, per cultura e tradizione, all’eccesso speculativo, come invece quella americana), di una logica di risparmio familiare radicata nelle nostre abitudini da generazioni, di una percentuale di immobili di proprietà attorno all’85% e di manovre governative di supporto soprattutto al sistema bancario (meno alle imprese), sembra stia avendo maggiori “ammortizzatori” (non tanto sociali ma individuali e culturali) rispetto ad altri paesi, pur nell’estrema difficoltà in cui oggi dobbiamo continuare ad operare, competere e vivere.
Tuttavia attenzione, la vera sfida è partita da un po’ e il rischio di perderla è elevatissimo: chi uscirà meglio e prima dalla crisi? E poi c’è una questione di orgoglio nazionale da difendere, eh che diamine! Ribadire il fatto che Italians do it better! Abbandonate, per questione di inadeguato contesto, virili velleità, cosa possiamo riuscire a far meglio degli altri? Proprio il percorso di uscita dalla crisi! Quel percorso, come impresa e come manager (e senz’altro il Cio è parte di questo gruppo) di rinnovamento organizzativo, competitivo, di innovazione ed evoluzione di prodotto e servizio, sperando, come sempre, che un percorso di crescita e maturazione avvenga poi anche nella sfera politica e di governo. Interessante un’intervista in merito a questo tema al sociologo Giuseppe De Rita, apparsa sul Corriere della Sera sempre verso metà agosto. Il punto, esemplifichiamo con nostre parole il pensiero articolato del professore, è rifuggire dalla pericolosa attitudine, tutta italica, di adattarsi verso il basso, cioè, per spiegare meglio, di vedere in questi segnali di ripresa economica, la tanto attesa “carezza della mamma” (“coraggio, è passato tutto, è tutto come prima”) e quindi quasi far finta che nulla sia accaduto e continuare a credere che i vecchi modelli economici, politici, culturali e finanziari possano tranquillamente riprendere il posto che prima avevano (De Rita, ad esempio, rifugge l’idea che la soluzione sia la strada delle riforme: “Il bisogno individuale non diventa più bisogno collettivo, impegno sociale, intervento pubblico e quindi riforma”). Il punto, invece è un altro: è accettare la sfida dell’innovazione, parola che, concordiamo con voi, ci è venuta a nausea. Si tratta però di una cosa concreta, ben più che un atteggiamento individuale o una parola di moda da usare nei convegni. È la volontà di riconquistare posizioni, di affermare un nuovo modello di offerta di prodotto e di servizio che rappresenti un riferimento qualitativo e di business; è l’accettare, da parte delle imprese, degli imprenditori, delle aziende (e dei sistemi informativi) la sfida di ribaltare la classifica (De Rita, a livello sociologico, lo definisce il passaggio dall’adattamento all’arrancamento, che non è una parola negativa ma anzi indica lo sforzo di innovazione, la sfida dell’imprenditore). quella “classifica” che ci vede ormai spesso agli ultimi posti. Non più l’italietta arruffona ma, ricordiamoci, ancora l’Italia rinascimentale, quella di un nuovo rinascimento, se non artistico e culturale, economico e sociale. Certo ognuno deve fare la propria parte. Ma non possiamo attendere perché gli altri sono già partiti e quindi…guai a pensare che, passato il peggio, si possa rallentare. Definire nuovi progetti, nuovi prodotti e servizi, rivedere modelli che questa crisi ha impietosamente evidenziato come antieconomici ed obsoleti, continuare con l’opera di rinnovamento avendo il coraggio del cambiamento. Senza guardare allo spettacolo politico, che, dobbiamo dirlo, non aiuta certo a farci considerare, nel mondo, tra i protagonisti, quanto meno sul piano culturale, se non economico, di una ripresa che tutti stiamo aspettando. Ma il messaggio con cui ci sentiamo di invitarvi a ripartire è chiaro e netto: non fermarsi, salire di livello nella ricerca di un miglioramento possibile del proprio modo di essere lavoratori, manager e impresa. Ce la possiamo fare: d’altro canto… Italians do it better! O no!?
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