La realtà non funziona? I videogiochi rendono migliori. Nella vita e nel lavoro

Stress e assuefazione sono termini spesso associati ai videogame. Ma se la realtà fosse diversa? Se i giochi ci aiutassero a migliorare le nostre qualità nella vita reale e nel lavoro? È la tesi di Jane McGonigal, Direttore R&D del settore videogiochi presso l’Institute for the Future dell’Università di Palo Alto, California

Pubblicato il 26 Ott 2011

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Nell’ambito degli eventi di Meet the Media Guru, abbiamo incontrato poco tempo fa Jane McGonigal, Direttore R&d del Settore VideoGiochi presso l’Institute for the Future dell’Università di Palo Alto, autrice del libro ‘La Realtà in Gioco’ (Apogeo). Jane è una grande esperta nei game collaborativi online, che utilizzano la rete come piattaforma partecipativa e possono movimentare il mondo e cambiarlo, perché sono Social Innovation.

Collaborare in game online, tempo sprecato…?
“Pensate ai game in modo aperto.” dice McGonigal, “Immaginate che si possa giocare tanto seriamente da crescere in una coscienza collettiva e affrontare e risolvere le maggiori sfide dell’umanità, come fame, povertà, conflitti globali. Oggi spendiamo 3 miliardi di ore alla settimana con avversari in game online: una immensa quantità di tempo. Se solo si potesse prendere a prestito il 10% delle ore di game, si disporrebbe di un’ora su dieci per ‘giocare’ ad affrontare un problema reale. Invece di pensare, come viene istintivo, allo ‘spreco’ di 3 miliardi di ore/settimana in game online, chiediamoci se e come questo tempo enorme possa diventare un investimento con un ritorno. Gamer compresi, che dopo aver passato 4 o 6 ore in un game online si ‘sentono colpevoli’. L’idea più diffusa infatti non è forse che dovremmo aver paura dei game, assuefacenti come una droga?”

…o tempo "investito" nella nostra crescita?
Ma se fosse vero il contrario, è la tesi di McGonigal, cioè che si gioca online perché si vuole essere migliori nella vita reale, per esempio perché si vogliono sviluppare skill che poi si sfrutteranno a scuola, sul lavoro, o per obiettivi personali o sociali? Se giocare fosse un modo di svegliare le nostre abilità naturali, per diventare motivati, determinati, curiosi e cooperativi? È l’idea sottostante la maggior parte dei game creati da Jane e del libro da lei scritto. McGonigal sostiene che giocare con i videogame è l’allenamento più produttivo che possiamo fare con il nostro tempo, al punto che invece di 3 andrebbero investiti 21 miliardi di ore alla settimana. 21 perché ci sarebbe mezzo pianeta – o 3 miliardi persone, quanti usano Internet – che si allena con i game online un’ora al giorno in media.
Ma per vedere i game come il modo più produttivo di impiego del nostro tempo, “dobbiamo cambiare la nozione stessa di produttività”. Produciamo per altri quello che per loro è un prodotto, ma abbiamo mai pensato di chiederci quali cose vogliamo produrre di più per noi stessi? McGonigal ritiene che ci sono in effetti quattro categorie di entità che vorremmo e dovremmo produrre di più e che non sono email o lavaggi di biancheria pulita: sono dieci potenti Emozioni Positive (creatività, contentezza, stupore e meraviglia; eccitazione, curiosità, fierezza, sorpresa, determinazione, sollievo e gioia); Relazioni più forti (ogni minuto speso con chi ci piace e ci importa è ben speso, non conta cosa facciamo se produciamo una miglior relazione che arricchisce la nostra vita sociale); Meaning (la Sensazione che siamo di servizio a qualcosa di più grande di noi stessi: è tempo ben speso tutto quello che ci fa sentire ‘eroici’): e Accomplishment (Realizzazione di qualcosa, superando ostacoli, nella consapevolezza che si sono usati tutti gli skill e i punti di forza disponibili per raggiungere un risultato di cui si è fieri). Le iniziali di questi quattro nuovi criteri di produttività a noi funzionali costituiscono in inglese l’acronimo Perma.
La teoria di McGonigal è che la produttività nelle categorie Perma viene suggerita dalla “Psicologia Positiva” (di cui è pioniere Martin Seligman, autore di “Flourish”, fiorire), che studia anziché le disfunzionalità della mente, come si possa far fiorire la miglior versione possibile di sè. E, vedi caso, la produttività in queste 4 categorie è l’obiettivo che i game perseguono: chi si mette a giocare è pieno di ottimismo e curiosità; i game producono capacità relazionale (dopo aver giocato con una controparte aumenta la mutua fiducia, ci si sente più legati). Nelle storie in cui ci si immerge, i game producono la sensazione che lottiamo per una giusta causa, e i più potenti connettono a comunità di oltre 100 milioni di gamer, facendoci sentire parte di qualcosa di più grande. E naturalmente, superare ostacoli che scegliamo volontariamente produce un senso di realizzazione.

L’eustress e gli effetti psicologici, sociali e… di business
“La chiave di un game è che non è né facile né rilassante, ma è proprio oltre che una sfida non necessaria, un duro lavoro – dice la McGonigal – “Lo scegliamo perché preferiamo essere impegnati piuttosto che rilassati; il motivo profondo è che l’opposto di game-gioco non è lavoro, ma depressione”. Per paradossale che sembri, il game-gioco consiste in ore di duro lavoro collaborativo per arrivare a produrre divertimento, ovvero il divertimento sta anche e soprattutto nel lavoro che, proprio per questo, è “più divertimento del divertimento stesso”. Insomma il game è un antidoto alla depressione: fa sperimentare al gamer una tonificante ondata di energia e percezione ottimistica delle sue capacità, per cui non esiste un termine clinico, ma McGonigal propone la parola “eustress” [letteralmente “giusto stress” ndr], perché ha le stesse manifestazioni fisiche dello stress (respiro e battiti cardiaci accelerati o sensazione di minaccia). Lo stress viene da imposizione esterna, mancanza di tempo o percezione di inadeguatezza, l’eustress da una scelta volontaria di misurarci con ostacoli difficili non necessari. Dunque l’esperienza psicologica del gamer non è quella dello stressato (ansia e frustrazione), ma dello “eustressato” (eccitazione, motivazione, spinta a fare di più e a performare meglio).
La teoria dei game si intreccia con psicologia e sociologia: McGonical vede una società che si avvia ad un’ora al giorno di videogaming cercando nell’eustress un riequilibrio dalle pressioni della vita quotidiana. Cosa tutto ciò ha a che vedere col business e l’Ict a supporto? Ce lo ha detto al Gartner Italian event di primavera Peter Sondergaard, Senior Vp e capo della ricerca mondiale di Gartner, che predice lo sforzo del business di catturare la partecipazione spontanea del consumer ridisegnando il proprio Erp in modo che la gente sia di fatto invogliata a ritrovarsi in modo collaborativo nell’Erp aziendale. Si arriverà alla “gamification” dell’Erp stesso?

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