Il coinvolgimento delle persone è uno dei fattori che maggiormente influenzano la produttività e il benessere nei luoghi di lavoro. Lo sostiene Gallup, azienda di consulenza nel settore del performance management, all’interno del suo report State of the Global Workplace dove ha analizzato la situazione di 142 Paesi fra cui l’Italia. Solo il 13% delle persone a livello mondiale risulta ‘engaged’, ossia coinvolto emotivamente e focalizzato sulla creazione quotidiana di valore per le loro organizzazioni. Il 62% dei dipendenti non è invece coinvolto e dunque risulta indifferente alla propria attività lavorativa, mentre il 27% è addirittura ‘disingaged’, ossia odia il proprio lavoro e chi lo coordina tendendo a minare la business unit a cui appartiene. In Italia solo il 14% risulta profondamente coinvolto mentre il 68% non è coinvolto e il 18% “rema contro”.
La ricerca Gallup rileva anche, a rigor di logica, che le imprese con alti livelli di engagement realizzano performance molto superiori a quelle con basso engagement. Le prime ottengono rating da parte dei clienti del 10% più alti, sono il 21% più produttive e il 22% più profittevoli. È dunque evidente la necessità in questa fase di creare posti di lavoro sempre più coinvolgenti.
Ma la creazione di nuovi modelli di workplace deve inevitabilmente prendere in inconsiderazione anche la trasformazione della natura stessa del lavoro che deriva dalla pervasività della tecnologia, dai nuovi strumenti diffusi nel mondo consumer e dalla globalizzazione delle organizzazioni. La conseguenza dell’ultimo punto è la creazione di team multiculturali formati da persone che lavorano in luoghi diversi che comporta la necessità per i manager di modificare la propria attitudine da “managing by seeing” a “managing by results”, ossia da una gestione delle relazioni basata sulla presenza a una basata sui risultati.
Come conseguenza delle rapide innovazioni nel mondo consumer stanno cambiando anche le aspettative da parte dei dipendenti. Soprattutto le persone più giovani si aspettano di portare sul luogo di lavoro oltre ai propri dispositivi, le app, le reti, i dati, le identità. Le persone si trovano maggiormente a proprio agio e ritengono di essere più produttive se portano con sé gli strumenti che usano costantemente nella propria vita personale. La nuova generazione di nativi digitali si sente più coinvolta nel proprio lavoro se può utilizzare una tecnologia che consente di collaborare liberamente con i colleghi.
Per conquistare, tenere in azienda e coinvolgere le migliori risorse è indispensabile che anche l’It sia consapevole della necessità di una transizione da un ambiente focalizzato sui device a uno centrato sulla persona, dando per scontato che ciascun dipendente o manager interagirà attraverso molteplici device.
Una ragione ulteriore che rende questo approccio efficace è l’imprevedibilità del business che caratterizza la fase attuale. La mobilità, in particolare, ha un ruolo critico quando le imprese sono spinte a reagire rapidamente e in modo agile sotto la pressione del business o per dare risposta a nuovi sistemi regolatori.
Oltre la consumerizzazione
Oggi ci sono le condizioni tecnologiche e organizzative per andare oltre la consumerizzazione su cui da tempo si focalizza l’analisi di Gartner, che oggi suggerisce alle organizzazioni di esplorare nuovi stili di lavoro come il crowdsourcing [modello di business nel quale l’azienda affida la progettazione, la realizzazione o lo sviluppo di un progetto a un insieme indefinito di persone non organizzate precedentemente, ndr] e i social network di impresa; di acquisire strumenti per migliorare il collaborative problem solving; di comprendere come i “business consumers” e le loro scelte impattino sugli strumenti digitali e sugli stili di lavoro; di aumentare il coinvolgimento dei dipendenti attraverso le mobile app e gli strumenti di collaborazione.
In aggiunta, le novità tecnologiche, come per esempio i wearable device, che si stanno sempre più diffondendo, sembrano destinate a portare una svolta ulteriore, consentendo alle persone e alle macchine di lavorare insieme come mai finora era accaduto, come evidenzia Tom Austin, alla guida di Maverick Research che sarà uno degli speaker di punta nel prossimo Gartner Digital Workplace Summit: “In passato le persone dovevano imparare l’uso delle tecnologie, mentre nel digital workplace si invertono le relazioni: le persone si limitano a dire cosa fare e le tecnologie eseguono. E così le persone faranno cosa sanno fare meglio [l’attività che richiede maggiore intelligenza, ndr] come pure le macchine” [su questo tema leggi anche l’Editoriale di ZeroUno di aprile – ndr].
Il digital workplace del futuro prossimo, a cui le organizzazioni e l’It aziendale devono mostrarsi preparati, è basato su un insieme di tecnologie e strumenti di tipo mobile, wireless, wearable, per la collaboration e di infrastrutture di virtualizzazione, networking e cloud. Il successo deriva però dalla capacità di integrare tutto questo in un’unica soluzione.
Questa trasformazione è spinta anche dall’esigenza di molte imprese di ottimizzare i costi degli spazi fisici, evitando di avere uffici inutilizzati per persone che per la maggior parte del tempo lavorano fuori dall’azienda. L’ufficio sta diventando sempre più un ‘collaboration hub’ dove le persone si possono incontrare e collaborare vis-a-vis, mentre il lavoro si svolge sempre più in spazi condivisi o all’esterno dell’azienda, spesso anche da situazioni di home-office. Questa trasformazione, con spazi progettati in modo adeguato, può portare a una maggior collaborazione fra management e dipendenti, fra i dipendenti al loro interno e a un loro più elevato coinvolgimento nella realizzazione degli obiettivi di business. Ma può anche attrarre i talenti, migliorare la produttività e la propensione all’innovazione e, infine, dare un contribuito a migliorare l’ambiente evitando spostamenti inutili.
Compito dell’It aziendale, insieme alle business unit, è rendere le persone in grado di raggiungere la stessa produttività da qualunque device, usando l’applicazione necessaria per qualunque compito, in modo che risulti trasparente per l’utente finale per poter ottimizzare la user experience.
La domanda è se le aziende, il management e i Cio sono, anche culturalmente, pronti per questa rivoluzione.