Favorire la formazione di competenze, sancire il diritto universale al digitale e individuare uno standard condiviso per misurarne l’impatto sull’economia e sui singoli business. È quanto The Ambrosetti European House e Microsoft propongono al mondo delle aziende per una ripresa post Covid-19 che faccia leva sul digitale per risolvere le tre principali sfide che il Paese oggi non ha più margini per procrastinare, quella ambientale, quella economica e quella sociale.
Alla luce di quanto emerso dalla ricerca su digitalizzazione e sostenibilità presentata assieme alle tre azioni suggerite, si può guardare ai prossimi mesi con pragmatico ottimismo come ha suggerito Silvia Candiani, Country General Manager di Microsoft Italia, perché ora “esistono strumenti digitali per misurare e ridurre l’impatto sul pianeta, la sensibilità delle aziende sul tema è aumentata notevolmente e siamo diventati in grado di creare innovazione sostenibile aumentando la produttività e migliorando allo stesso tempo il nostro impatto su ambiente e società”.
Digitalizzare, unica soluzione per vincere tre sfide: economica, sociale e ambientale
Totalmente dedicato all’impatto del digitale in termini di sostenibilità, lo studio da cui nasce il piano di azione è stato presentato nell’ambito del Forum di The European House – Ambrosetti con un tempismo perfetto, in un periodo in cui convergono il Next Generation EU e il PNRR, il G20 con il suo pay off “People. Planet. Prosperity” e la COP26 presieduta dal Regno Unito in partnership con l’Italia, mentre da poco l’UE ha alzato l’asticella in modo significativo gli obiettivi di decarbonizzazione passando dal 40% al 55% entro in 2030 e l’Italia ha segnato l’ennesimo aumento dell’iniquità sociale, in crescita continua dal 2007. I risultati emersi smontano il “paradosso del trade off tra profitto e sostenibilità” dimostrando che non esiste un conflitto di interessi ma, anzi, un effetto moltiplicatore.
Le aziende digitalizzate in Italia risultano il 64% più produttive rispetto alle aziende che non hanno ancora avviato percorsi di trasformazione e, dato che in Europa si ha “solo” un +49% di produttività, “l’Italia può contare su un vantaggio competitivo importante” ha osservato Patrizia Lombardi, Vice Rettrice per Campus e Comunità Sostenibili del Politecnico di Torino e Presidente della Rete Italiana delle Università per lo Sviluppo Sostenibile, sottolineando che “questo differenziale tra chi è digitalizzato e chi deve essere colto da chi sta realizzando la strategia di ripresa del Paese”.
Grazie ad un modello costruito appositamente per indagare con questo studio anche gli impatti del digitale sulla sostenibilità ambientale, oggi si può affermare che esso sarà pari a quello incrementale delle energie rinnovabili contribuendo, tra il 2020 e il 2030, all’abbattimento delle emissioni fino al 10% rispetto ai livelli del 2019, a ritmo di 37 milioni di tonnellate di CO2 annue.
Oltre alla sfida economica e a quella ambientale, anche quella sociale può essere vinta investendo in digitalizzazione ovvero, come suggerito dalle oltre 200 aziende interpellate dallo studio, con l’adozione di nuovi modelli di lavoro a distanza (63%) e di collaborazione (59%) focalizzati sul benessere delle persone e sull‘inclusione di categorie e di territori oggi ai margini.
Aziende sempre più consapevoli ma le PMI rischiano di restare indietro
Quella mostrata dalle aziende non è solo un’apertura verso lo smart working ma anche una crescente sensibilità verso temi ambientali (64%) che però cala per le PMI come cala la percentuale di quelle che, al contrario delle più grandi (69%) ha scelto di far leva sulla digitalizzazione per migliorare il proprio impegno in tal senso: solo il 38%. “È necessario aiutare le piccole aziende a cogliere le opportunità di questa trasformazione incoraggiandole a incorporare la sostenibilità a livello di competenze, cultura e mission” ha commentato Lombardi portando l’esempio dell’intelligent manufacturing, un’innovazione in grado di permeare l’intera filiera abilitando nuovi modelli di business maggiormente basati sulla circular economy. Infatti “dati, AI e IoT oggi permettono di rendere i processi produttivi più smart e intelligenti – ha aggiunto Silvia Candiani – è un cambiamento win win che porta a fare business meglio e diversamente perché si riducono sia i costi che il proprio impatto ambientale”.
Competenze, inclusione e standard condivisi, ecco come muoversi per una vera ripresa
Forte dei dati che sanciscono l’importanza cruciale del digitale per il futuro dell’Italia, il gruppo di lavoro ha elaborato un piano di azione profondamente radicato nella realtà presente di un Paese in cui mancano competenze (appena il 42% degli adulti possiede quelle digitali di base, contro una media UE del 57%) e cala l’occupazione (tra gennaio e dicembre 2020 – 1,1% per gli uomini e -2,7% per le donne). The European House Ambrosetti e Microsoft propongono prima di tutto un “new Deal delle competenze” per abilitare il diritto e il dovere alla formazione digitale sensibilizzando le aziende alla sua incentivazione non solo per aumentare la produttività ma anche per avviare una transizione verde oggi inevitabile. Massima attenzione ai giovani e al sistema universitario, ma anche chi è già nel mondo del lavoro attraverso programmi di upskilling e reskilling può aumentare la propria impiegabilità e contribuire alla digitalizzazione dell’ecosistema imprenditoriale. Tale trasformazione non può però essere riservata al mondo delle aziende perché c’è un intero Paese che è sempre più povero (nel 2020 gli individui in povertà assoluta sono passati da 4,6 a 5,6 milioni di individui) e sempre più scoraggiato nel cercare lavoro (nel +2,6% per gli uomini e +3,7% per le donne). Serve quindi sancire il diritto universale al digitale come leva di inclusione sociale e riduzione delle disuguaglianze per colmare il gap di competenze in alcune fasce di popolazione ma anche in particolari aree geografiche che, grazie al lavoro da remoto e digitale, potrebbero innescare circoli virtuosi di sviluppo e brain (re)gain.
Data l’abbondanza di slogan e di fenomeni di greenwashing, in vista di un massiccio processo di digitalizzazione del Paese orientato alla sostenibilità, urge l‘individuazione di standard condivisi per misurare il reale impatto delle azioni implementate in modo da convogliare anche le energie del mondo privato verso la costruzione di modelli di produzione e consumo realmente sostenibili e innescare meccanismi di premialità economica e finanziaria per i soggetti più avanzati sulla strada della carbon neutrality.
L’impegno dei big verso aziende e giovani per costruire ecosistemi sostenibili
“Per passare dagli enunciati filosofici di adesione emotiva ad impegni efficaci e concreti è necessario avere degli standard a disposizione ed essere precisi e digitali sul definire il proprio impatto ambientale – ha spiegato Candiani riferendosi al mondo delle aziende – solo così si può rendere davvero l’attenzione per l’ambiente un pilastro della propria strategia di sviluppo”. Microsoft ne è fermamente convinta tanto che, dopo aver annunciato lo scorso anno di voler raggiungere la carbon neutrality entro il 2030 e di diventare carbon negative entro il 2050, ha implementato iniziative sia interne che esterne, fortemente incentrate sulla misurazione dell’impatto ambientale. Resi i propri data center ad energia rinnovabile per oltre il 60%, ha poi introdotto una “carbon tax” interna estesa a tutte le business unit affinché ottimizzino le proprie scelte anche in chiave ambientale.
“Sperimentando personalmente l’importanza di misurare e tener traccia, abbiamo poi lanciato il Microsoft Cloud for Sustainability per aiutare altre aziende a monitorare i risultati delle proprie iniziative e migliorarli – ha raccontato Candiani – per costruire un ecosistema attento alla sostenibilità chiediamo un approccio simile a tutti i nostri fornitori e, assieme a clienti, università e studi di ricerca, abbiamo creato laboratori e iniziative per raccogliere spunti e accelerare il percorso di innovazione in diversi settori”. Il Paese ha bisogno di idee nuove e fresche che molto spesso possono arrivare da giovani come i 16 studenti e neolaureati che hanno partecipato alla Sustainability Challenge lanciata in contemporanea con la realizzazione dello studio e che ha incoronato “Smart Borgo”, un progetto che fa leva su un modello di lavoro “phygital” per salvare i borghi italiani a rischio di spopolamento offrendo alle aziende in espansione soluzioni di “smart working”.