Negli ultimi mesi si sono moltiplicate le iniziative sui temi della competitività del nostro sistema-paese e di come l’innovazione tecnologica, ed Ict in particolare, possa aiutarci al riguardo. Così, il convegno annuale dell’ Aused – www.aused.org, associazione che raggruppa soprattutto aziende utenti di Ict, si è intitolato ‘Ict, propulsore dell’innovazione e della competitività del Sistema Paese ‘; a Firenze si è svolta la ‘Settimana Italiana dell’Innovazione ‘ (vedi riquadro più avanti) e da ottobre a dicembre si è svolta a Genova, organizzata da Aica (www.aicanet.it) e Fida (la federazione delle Associazioni Professionali d’information management, http://www.fidainform.it/ ), la mostra ‘Per Fili e per Segni ‘, che a partire dalla definizione di un percorso storico dell’innovazione Ict in Italia, ha promosso numerosi momenti di discussione anche sulle prospettive future. Anche i fornitori di tecnologia, e in particolare gli italiani, sempre più spesso propongono riflessioni sul tema dell’innovazione per la competitività. E ‘ il caso di un ‘iniziativa di Byte, svoltasi lo scorso ottobre, di cui parleremo più avanti, e del recente convegno di Etnoteam ‘Made in Italy: non solo moda’, a sostegno dell’innovazione e della R&S nell’Ict per la competitività del Paese. E solo per citarne un paio, ultime in ordine di tempo. Queste e altre iniziative hanno in comune la volontà di far prendere coscienza all ‘opinione pubblica delle attuali difficoltà della nostra economia, cercando di farne una diagnosi seria e di individuare percorsi in positivo. E, soprattutto di far crescere l ‘idea di un paese non solo creativo, ma anche competente in settori hi-tech. Sembra dunque che, se pure ancora limitatamente agli ‘addetti ai lavori ‘, si prenda coscienza del fatto che “Le capacità competitive di un Paese dipendono dallo stock di conoscenze incorporate nel sistema produttivo e nel capitale umano “, come ha ricordato Giancarlo Capitani, amministratore delegato di Netconsulting, nel suo intervento al convegno Aused, citando l ‘ultimo rapporto annuale Istat .Dove si sottolinea che: “Il Paese non percepisce a pieno i danni che provengono dal deficit di ricerca, sviluppo e innovazione che lo contraddistingue rispetto alla gran parte dei paesi sviluppati “.Ecco: percepire collettivamente questi danni potrebbe rappresentare il primo passo per porvi rimedio. E con questo servizio cerchiamo appunto di dare un contributo realizzando una sorta di dialogo a distanza fra le diverse iniziative.
GIANCARLO CAPITANI
AMMINISTRATORE DELEGATO DI
NETCONSULTING
BRUNO PAVESI
AMMINISTRATORE DELEGATO
DI BTICINO
ICT, PROPULSORE DI COMPETITIVITA’
Ancor prima di capire come l ‘Ict possa aiutare le nostre imprese a competere (tema del convegno Aused, che aveva come platea alcune centinaia di Cio italiani)vale la pena di analizzare l ‘impietoso scenario delineato da Bruno Pavesi, amministratore delegato di bTicino, suffragato da dati che, come si dice, fanno pensare: il contributo dell ‘Italia al commercio mondiale è diminuito dal 2001 al 2003 dal 4,9 a 4,4%; siamo al 47 ° posto nel Growth Competitiveness Index del World Eco-nomic Forum e la nostra spesa in ricerca e sviluppo è non solo bassa (circa la metà della media europea)ma cresce in misura minima: dello 0,5%contro, ad esempio, il 15%della Grecia. “Competere significa fare i conti con uno scenario in cui nuovi paesi (Cina, India ed Est europeo), si affacciano in un ‘unica arena, “nota Pavesi. Questi paesi si caratterizzano non solo per i bassi prezzi nelle produzioni mature, ma anche per l ‘elevata capacità di assorbire tecnologia e, aggiungiamo, per produrla. Andrea Bonaccorsi, coordinatore del master in Innovazione della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, nella Settimana dell’Innovazione di Firenze, poneva i termini della sfida con i paesi che stanno entrando sul mercato mondiale, citando una recente intervista di un alto esponente del governo cinese al Financial Times.
ANDREA BONACCORSI
COORDINATORE DEL MASTER IN
INNOVAZIONE DELLA
SCUOLA SUPERIORE SANT’ANNA DI PISA
ELSERINO PIOL
PRESIDENTE DI PINO
PARTECIPAZIONI
–
–
Il personaggio, oltre a ribadire il rifiuto di cedere alle pressioni Usa per la rivalutazione dellapropria moneta, criticava l’economia americana in quanto ancora troppo concentrata su produzioni a basso valore, quali il tessile e l ‘alimentare. E quasi a conferma di ciò è venuto l ‘annuncio dell’acquisizione della divisione Pc di Ibm (per 1,75 miliardi di dollari) da parte di Lenovo, il principale produttore cinese di personal computer, che diventerà così il terzo produttore mondiale, dopo Dell e Hp (vedi a pagina 10). Ma sebbene sia ormai dimostrato il ruolo dell’Ict come fattore di crescita di produttività e competitività, l ‘Italia spende poco nel settore e in modo sbilanciato tra It e Tlc. Mentre queste crescono ad un tasso superiore al Pil, l’It ha un andamento simile agli investimenti in macchinari, ma ancor più contenuto di questi, denunciando la scarsa capacità di innovazione delle imprese. Eppure, secondo Pavesi, quello dell’Ict nei confronti della competitività “…è ben più di un contributo, vista la natura stessa dell’Ict come elemento di innovazione “.L’Ict può infatti innovare prodotti (embedded system)e processi, migliorare le infrastrutture di comunicazione, i processi d’internazionalizzazione, la crescita della cultura scientifica e metodologica del sistema. Torna inoltre il problema di concentrazione della spesa It tipico del Paese; evidente soprattutto nelle banche, dove i primi 20 gruppi rappresentano l ‘80%degli investimenti, e nell’industria, dove meno dello 0,1%delle imprese è responsabile del 56%della spesa. A ciò si aggiunge un gap territoriale, con il 70%degli investimenti concentrato in 5 Regioni.
CRISTINA MOLINARI
PRESIDENTE DI ACCENTURE
TECHNOLOGY SERVICES
NICOLA ALIPERTI
AMMINISTRATORE DELEGATO
DI HP ITALIA
–
–
SISTEMA-ITALIA , PERCHE’ NON FUNZIONA
Di questi squilibri è certo colpevole una struttura industriale costituita al 90%da microimprese (meno di 5 dipendenti).”Ma più ancora dei limiti strutturali valgono quelli culturali del management “ricorda Capitani. Anche quando si fa innovazione, questa è focalizzata, come risulta da una survey sui Cio ondotta da NetConsulting, soprattutto sul cost-saving e sull’aumento di efficienza interna; obiettivi ovviamente non disprezzabili, ma tipici di una visione di breve periodo. In Italia l ‘Ict dovrebbe invece diventare uno strumento per l ‘aumento del fatturato. Tuttavia, ricorda ancora Capitani: “La velocità di cambiamento del business è superiore alla velocità di cambiamento dell’It. Per superare lo scollamento fra strategia e tecnologia, l ‘infrastruttura applicativa e tecnologica dovrebbe evolversi da patchwork a infrastruttura integrata, spina dorsale al servizio del business, ed il Cio trasformarsi da Chief information officer a Chief innovation officer, capace di dare impulsi positivi all ‘innovazione “. Sempre al convegno Aused, Elserino Piol, presidente di come dimostrano alcune imprese di successo nate con management e competenze tecnologiche adeguate e sopravvissute alla bolla Internet, come e-Biscom, Tiscali (nonostante le recenti difficoltà è stata la prima azienda Internet paneuropea), Elitel e Vodafone Italia, oggi non più italiana, ma nata da Omnitel. “Non andiamo male per incompetenza -conclude Piol -ma perché il sistema non funziona “;un ‘affermazione che rischierebbe di essere generica se non fosse supportata da esempi concreti. Il sistema Italia non funziona, secondo Piol, per la difficoltà di una chiara visione delle relazioni di causa ed effetto (manca la cultura del risultato, soprattutto negli interventi pubblici);perché si procede per interventi isolati anziché secondo una logica sistemica; perché, infine e soprattutto, è carente la componente finanziaria, a causa dell’atteggiamento delle banche. “Ci sono responsabili di importanti istituti bancariche si vantano di non investire in settori hi-tech, quasi che fossero più rischiosi dei settori maturi, mentre i casi Parmalat e Cirio dimostrano il contrario “esemplifica Piol, che aggiunge come alcuni fallimenti della ‘bolla Internet ‘ non siano derivati da debolezze tecnologiche quando dall’inadeguatezza di piani industriali che buoni analisti finanziari avrebbero potuto evidenziare. Tutte le imprese It degli Usa sono nate dal capital venture e questo è alla base della crescita, in Europa, di poli tecnologici come Cambridge (dove sono sorte circa 700 imprese hi-tech -vedi approfondimento sul cluster hi-tech inglese previsto nel numero di Febbraio di ZeroUno). Oltre ai ricercatori servono quindi imprenditori e capitali che finanzino non solo la ricerca ma anche il suo trasferimento all ‘impresa. Uno dei vantaggi della tecnologia, aggiunge Piol, è la sua continua evoluzione, che creando condizioni di discontinuità continua a fornire nuove opportunità. Per cui, anche se si sono già persi alcuni treni, si può ancora saltare su quelli che stanno arrivando. L’unica cosa da non fare è restare inerti nella situazione attuale, perché in questo modo, il messaggio finale è: “ci stiamo bevendo il futuro “.
LODOVICO GROMPO
EXECUTIVE VP DI
SAP ITALIA
–
LUCIANO MARINI
PRESIDENTE DI SOFTPEOPLE
–
–
DANIELE CARBONI
PRESIDENTE DI OPERA21
–
–
TATIANA RIZZANTE
SENIOR PARTNER
DI REPLY
–
–
IL PUNTO DI VISTA DELL’OFFERTA
La ‘tavola rotonda ‘ con i fornitori It che ha seguito agli interventi qui sintetizzati, più che dare risposte agli interrogativi esposti ha aperto altri e nuovi fronti di dibattito. Per Cristina Molinari, presidente di Accenture Technology Services, l’Italia ha un ‘immagine internazionale peggiore del reale, per cui è difficile attrarre investimenti It. Ha portato l ‘esperienza di Accenture, che sta aprendo centri di sviluppo software. “E ‘ più facile investire a Bratislava che a Napoli, ma siamo riusciti a farlo in entrambi i luoghi con successo “.In quanto al problema della struttura economica frammentata, per Molinari le piccole aziende non investono in It anche perché: “Non ci sono incentivi che le spingano a crescere: spesso accade anzi che lo stesso imprenditore preferisca moltiplicare il numero di piccole imprese anziché crearne una più grande “.Su questo tema Nicola Aliperti, amministratore delegato di Hp Italia e Vp di Hp Corporation, si chiede se un struttura così polverizzata riuscirà a contrastare la competizione internazionale sempre più agguerrita. Coglie tuttavia alcuni segnali positivi nella tendenza delle Università a selezionare filoni strategici per creare masse critiche in termini di ricercatori e d ‘investimenti e nel loro raccordo con i centri di competenza regionali, all ‘interno dei quali anche grandi imprese come Hp cercano di identificare il proprio ruolo. Nella crescente attenzione di Confindustria e Confcommercio all ‘innovazione Aliperti legge infine il segnale di un Paese che sta reagendo. Lodovico Grompo, Executive Vp di Sap Italia, insiste a sua volta sull ‘importanza del territorio e delle associazioni per aggregare competenze raccordandole all ‘Università e alla ricerca. “Dovrebbe essere la Politica, con la ‘P ‘ maiuscola a fungere da aggregatore, dando indirizzi su cui concentrare gli investimenti per realizzare prototipi sulla cui validità dovrebbe essere il mercato a pronunciarsi “.Altrettanto importante per Sap è l ‘aggregazione delle piccole imprese della domanda affinché possano utilizzare tecnologie più adeguate e delle piccole imprese dell’offerta It affinché raggiungano a loro volta la massa critica per realizzare le localizzazioni e verticalizzazioni che ancora mancano. Due società di It che nonostante la crisi hanno conseguito un certo successo, indicano infine modelli che potrebbero fornire esempio di come la dimensione possa non rappresentare un handicap. Luciano Marini, presidente di Softpeople (un aumento del 40%del fatturato, di cui i 3/4 per crescita interna e 1/4 per acquisizioni)propone un modello di impresa-rete che coinvolge i manager nell’azionariato, garantendo qualità e stabilità indispensabili per relazioni di lunga durata con i clienti, ma al tempo stesso la flessibilità tipica della piccola impresa. Caratteristica che secondo Marini rappresenta un elemento di preferenza rispetto ai grandi vendor. Anche per Daniele Carboni, presidente di Opera21 (50 milioni di euro nel primo anno di vita), non è la dimensione la chiave del successo. “La battaglia sulle economie di scala si fa dove i mercati sono maturi, ma altrettanto importante è ottenere eccellenze distintive nelle aree di innovazione “.E questa non si fa solo nelle grandi imprese;Opera21 sta ad esempio dedicando parte della propria attività a un centro di sviluppo per la facilità d ‘uso delle tecnologie per le Pmi. “Il bravo imprenditore, indipendentemente dalla dimensione dell’impresa, deve essere capace di operare a breve, ma avere al tempo stesso una visone di lungo periodo per coglire le opportunità strategiche “. Tatiana Rizzante, Senior partner di Reply, evidenzia infine come il fenomeno della convergenza stia ridisegnando il settore Ict, che si configura sempre più come un insieme di reti di risorse e servizi. Le aziende italiane devono quindi cercare di sviluppare le proprie competenze in alcuni nodi di tali reti, pena la scomparsa. Le maggiori possibilità sono nei media e nelle Tlc, più che nella consulenza e nello sviluppo software, ma sempre in un ‘ottica di servizi.
UOMINI E TECNOLOGIE PER COSTRUIRE LA COMPETITIVITÀ
Uomo, lavoro, tecnologia: costruire la competitività del sistema Italia è il titolo della giornata organizzata da Byte e aperta da Renato Mannheimer, presidente di Ispo, con una ricerca condotta su presidenti, amministratori delegati e direttori generali di 250 aziende oltre i 50 dipendenti. Ebbene:il 75%dei manager intervistati è dell’opinione che si dovrebbe reagire alle attuali difficoltà puntando sull’innovazione.Solo il 21%ritiene che in questa fase le aziende italiane dovrebbero tagliare i costi in attesa della ripresa (con il restante 4%indeciso fra le due opzioni).Non mancano le ombre: il 70%dei manager delle società con meno di 500 addetti e il 57%delle più grandi, ritiene ad esempio chele aziende italiane abbiano già investito parecchio in It senza però riuscire a sfruttarne appieno le potenzialità. E sono molti quelli che pensano che si debba investire in tecnologie di base che funzionino piuttosto che in tecnologie innovative che spesso deludono. Tuttavia l ‘atteggiamento reattivo, che individua la necessità di puntare sull ‘innovazione, prevale nettamente su quello più attendista, che punta al taglio dei costi. Una reattività più diffusa fra i manager delle grandi aziende (oltre 500 addetti)dove tocca l ‘83%, rispetto a quelli delle medie realtà (fra 50 e 500 addetti), dove si ferma al 73%. Quest’ampio riconoscimento della necessità di investire in innovazione tecnologica si inserisce in una visione del ruolo della tecnologia che l ‘individua come un possibile vantaggio competitivo per il sistemaItalia e come una leva strategica per aiutare le aziende ad operare nel mercato globalizzato. Nel complesso, la quasi totalità degli intervistati condivide “molto o abbastanza ” queste opinioni (il 94%la prima, il 96% la seconda), e più della metà (54 e 52%)le condivide “molto “.E ancora una volta questa visione prevale, sia pur di poco, fra le grandi aziende rispetto a quelle di medie dimensioni.Inoltre è ampiamente diffusa (circa 7 intervistati su 10)l ‘opinione che, per recuperare competitività, le aziende italiane debbano utilizzare nuove tecnologie principalmente per sviluppare nuovi prodotti e/o nuovi mercati, piuttosto che per migliorare i processi di business. Questa opinione si fa più sfumata fra i manager delle grandi aziende, che viceversa individuano in misura maggiore (56%)nel miglioramento dei processi il principale utilizzo competitivo delle nuove tecnologie. Sembra tuttavia che a questa buona disposizione verso l ‘innovazio ne non seguano i fatti, come dimostrano le stime di Maurizio Cuzari, amministratore delegato di Sirmi, che pur ipotizzando, a chiusura del 2004, una situazione nell’Ict non troppo negativa (-0,6%), ne attribuisce il merito soprattutto al segmento consumer. Mentre Carlo Mangiarino, membro del C.d.A.di Fiat Auto, attribuisce la crisi della grande impresa nazionale a carenze manageriali e all ‘assenza di politica industriale e suggerisce di trovare un modello di sostegno alla ricerca per l ‘Italia analizzando quanto fatto in materia da Usa, Giappone e Germania. Si tratterebbe di finanziare l ‘innovazione sia attraverso il trasferimento dalla ricerca all ‘impresa sia agendo nelle imprese stesse, dove il ritorno dell’investimento deve contribuire alla riduzione dei costi o all ‘aumento del giro d ‘affari. Un messaggio di speranza viene da Pietro De Carolis, presidente del terziario avanzato in Assolombarda, che ha sottolineato come nel milanese le imprese del terziario avanzato (1.800 sulle 5.700 di Assolombarda), crescano sia in fatturato (+7.8%)sia in occupazione (+2,7%).Ma certo non basta: le proposte vanno nella direzione di aumentare il grado di integrazione fra imprese, per poter competere sui nuovi mercati e puntare soprattutto a migliorare l ‘accesso al credito per le imprese innovative per le quali tale opportunità è invece tutt ‘ora particolarmente difficile. Sottolinea infine la necessità di “guardare a Maastricht con gli occhi di Lisbona “ossia avendo presente la necessità di realizzare la società della conoscenza, l ‘intervento di Agostino Sghedoni, direttore sistemi produttivi di Ibm Italia, che introduce il tema della prospettiva europea finora troppo assente dal dibattito. Guardiamo all’ora a questo aspetto negli articoli seguenti. Prima, però, occupiamoci di un altro tema centrale per la ripresa e la capacità innovativa del paese: i modelli di trasferimento dalla ricerca all ‘impresa e l ‘avvio di meccanismi di produzione di valore economico. Dove l ‘Ict gioca un ruolo centrale.