L’hybrid cloud identifica un ambiente che utilizza cloud pubblico, cloud privato e soluzioni on-premise, con l’obiettivo di trarre il meglio dalle varie modalità di erogazione delle tecnologie a seconda delle esigenze aziendali. È una definizione tratta dal blog degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano che fa capire quanto sia importante la conoscenza delle varie tecnologie che concorrono a definire un’offerta di tipo ibrido.
Questa importanza è confermata da Salvatore Ferraro, Head of Presales Office di WESTPOLE, il quale sottolinea come l’elemento differenziante di un solution provider derivi anche dalla certificazione del personale che vi lavora. “Spesso i public cloud provider, per creare un lock-in verso l’azienda che utilizza le loro capability, rendono complessa la gestione delle proprie piattaforme, arricchendo costantemente i rispettivi service catalog di nuove feature e di nuove versioni dei prodotti che afferiscono al catalogo. La certificazione su una determinata piattaforma, oltre a dimostrare che si è idonei per poter erogare i servizi correlati, consente fra l’altro di accedere a una scontistica maggiore in base ai contratti collegati al cloud provider”. Ne deriva che “per un solution provider come WESTPOLE è importante a livello consulenziale conoscere tutta una serie di terze parti: AWS, Azure, Google, Alibaba, Aruba, IBM e così via”.
La consulenza del solution provider per l’hybrid cloud
Nei servizi riconducibili all’hybrid cloud la consulenza, frutto di knowledge e skill sia verticali che trasversali, rappresenta il primo pilastro su cui avviene l’affiancamento nei confronti delle aziende che si rivolgono a un partner. Un affiancamento che deve tenere conto della “sensibilità che ha il cliente rispetto al tema cloud” dice ancora Ferraro, che rivendica la capacità del solution provider di riuscire a mettersi nei panni dell’interlocutore per “capire la soluzione migliore, il ‘vestito’ più adatto da indossare. Se il cliente, ad esempio, è restio a utilizzare piattaforme cloud esterne, allora giocoforza utilizziamo la nostra”.
In altri casi, come spesso accade con le software house, si è già in presenza di un ambiente public cloud per lo sviluppo dei propri applicativi. “per orchestrare soluzioni container per questa tipologia di azienda solitamente ci avvaliamo di Suse Rancher, una piattaforma open source per la parte Kubernetes. In generale, comunque, ci poniamo in modo agnostico sull’infrastruttura, dando la possibilità al cliente di risiedere su quella che meglio risponde alle sue necessità, comprese quelle future” evidenzia Ferraro.
Non basta, infatti, identificare i requisiti a cui bisogna rispondere nelle circostanze immediate, ma occorre avere una visione su cui tracciare una strada, un percorso evolutivo, scegliendo un tipo di cloud privato o pubblico che supporti l’organizzazione anche per le esigenze di domani. La consulenza, in sostanza, deve contemplare un approccio di natura strategica e non solo tattica.
Le 4 fasi in cui si suddivide il processo di migrazione
Il secondo elemento distintivo dell’offerta di un solution provider in ambito hybrid cloud si focalizza sul processo di migrazione, che per WESTPOLE si suddivide in 4 fasi:
- preparazione dell’ambiente per la transition;
- installazione, replica e disaster recovery;
- check;
- switch.
Tutta la parte precedente allo switch è quella di preparazione, che può prevedere anche l’installazione dell’hardware nel caso in cui si opti per un private cloud, seguita dalla configurazione dell’ambiente di replica per poi spostarsi nell’ambiente di delivery, fino ad arrivare alla fase di test e di fine tuning.
Va anche ricordato che “il servizio di migrazione non consiste soltanto nell’analizzare i dati del cliente in vista della replica. Il piano di migrazione va strutturato in funzione delle sue diverse fasi e dopo uno studio specifico della realtà del cliente, non soltanto delle sue esigenze. Tante volte, infatti, il cliente non ha le competenze necessarie che gli permettano di capire quali sono i requisiti per riuscire a replicare i dati nel nuovo ambiente nel minor tempo possibile. Per questo, una volta studiato il suo ambiente nativo, bisogna sia immaginare la soluzione finale da proporgli, che strutturare in maniera opportuna il piano di migrazione” spiega Ferraro. La transition, quindi, è un momento altrettanto importante per cogliere i vantaggi dell’hybrid cloud e va impostato e realizzato con un metodo collaudato.
La definizione degli SLA nella gestione dell’hybrid cloud
Dopo la consulenza e la successiva migrazione, subentra la capacità di gestire ambienti diversi, siano essi pubblici o privati, facendo leva su un competence center dedicato. “La definizione e il rispetto degli SLA sono un fattore che differenzia un solution provider dagli altri” tiene a precisare Salvatore Ferraro. Non è raro, infatti, imbattersi in service provider che propongono un’offerta in cui gli SLA o service level agreement sono difficilmente modificabili o personalizzabili.
WESTPOLE, al contrario, nel proporre l’hybrid cloud preferisce non limitarsi a rivendere un modello di offerta a catalogo. “in qualità di full outsourcer, devo fare mio il rischio aziendale di erogare un servizio sfruttando anche una piattaforma di terzi, per usufruire di servizi esterni che possono creare valore per il cliente” sostiene in conclusione Ferraro, riferendosi implicitamente a processi di customizzazione che implicano profili SLA più complessi e meno standardizzati o standardizzabili.
“Per fare un esempio, quando impieghiamo servizi cloud pubblici, l’hyperscaler risponde direttamente per i suoi SLA di tipo infrastrutturale, mentre Westpole è responsabile delle attività di help desk e trouble ticketing per garantire in toto la soluzione hybrid più complessa. E questo nonostante l’infrastruttura esterna sia una parte esogena che non è sotto la nostra giurisdizione”. La differenza di un solution provider sta anche in questo: nel garantire livelli di servizio su tutti gli ambienti che costituiscono le varie porzioni dell’hybrid cloud!