Lo smart workplace è ancora un sogno?

Le novità tecnologiche che possono rappresentare un elemento disruptive anche per la trasformazione del posto di lavoro sono molteplici e riguardano, da un lato, i nuovi dispositivi, molti dei quali di provenienza consumer come i wearable, e nuove modalità di connessione, ma dall’altro lo sfruttamento di infrastrutture già consolidate, come cloud o big data per definire soluzioni integrate, su cui si appoggiano soluzioni di collaborazione che vanno a inglobare modalità di interazione tipiche dei social. L’aspetto più critico resta la capacità delle aziende di definire una strategia univoca e per l’It di adeguare a queste esigenze le attuali modalità di sviluppo applicativo e di rilascio delle soluzioni.

Pubblicato il 17 Giu 2016

“Le tecnologie wearable sono l’ultima frontiera dell’Internet of things, destinate a modificare profondamente il modo in cui le persone si rapportano con l’ambiente esterno e con gli altri individui. Difficile dunque considerarli ancora dei gadget; sembrano piuttosto destinati a diventare una disruptive technology che, partendo dal mondo consumer, finiranno per cambiare profondamente anche l’ambiente di lavoro”, ha affermato Laurent Eymard, Developing Specialist Platform for Distribution of Wearable Technology nonché Co-founder e Ceo Red Dolphin, partecipando alla recente edizione di Distree Emea a Montecarlo, importante evento di canale in ambito Emea del settore Ict & Consumer Electronics.
Le tecnologie consumer, soprattutto quelle in fase di sviluppo come i wearable, possono aiutare le aziende a coinvolgere le persone e renderle maggiormente produttive. Gli activity trackers (ossia gli oggetti indossabili che misurano una determinata attività) non sono ancora entrati nella vita di milioni di persone come gli smartphone, ma sono dispositivi sui quali si concentra un grande interesse. La capacità di connessione Internet intrinseca a questi oggetti, poi, è ancora scarsamente valorizzata. Ma la situazione è in fermento.
Secondo Eymard, nell’ultimo anno sono state testate dalle 3 alle 5 nuove tecnologie wearable al mese; è un numero destinato a crescere per la grande quantità di ricerche e sviluppi in corso, nonché per l’interesse dei principali player, prima fra tutti Intel che ha fra l’altro lanciato la competition “make it wearable” (concorso che premia il wearable più innovativo). “Intel gioca sul suo terreno quando si tratta di realizzare oggetti intelligenti – ha ricordato Christian Morales, VP and General Manager Emea di Intel, in occasione di Cebit – Siamo stati i primi nelle applicazioni embedded già 35-40 anni fa e siamo stati la prima azienda a introdurre microcontrollori delle applicazioni embedded. La sfida è che queste applicazioni oggi si connettano con il cloud e con Internet”. Non c’è dunque da stupirsi che Intel abbia presentato nuove tecnologie per la workplace transformation e che aiutano il business a trarre valore dall’IoT.

Anche Samsung dispone di una vasta gamma di wearable per raccogliere dati biometrci da utilizzare stand alone o in connessione con lo smartphone.
La crescente pervasività di questi oggetti potrà avere un impatto significativo sulla produttività e sulle performance nel luogo di lavoro, come evidenzia la ricerca The human cloud at work, condotta da Chris Brauer, dell’Institute of Management Studies at Goldsmiths – University of London.

Figura 1 – Andamento della produttività delle persone che utilizzano wearable
Fonte: ricerca Chris Brauer

Lo studio, basato su sperimentazioni sul campo e su interviste ad aziende e consumer, nel corso del primo mese di indagine ha rilevato che chi indossa i wearable aumenta la produttività del 8,5% (figura 1) e la soddisfazione sul lavoro del 3,5% (figura 2). La ricerca è ancora in corso, ma è chiaro che le tecnologie wearable sul posto di lavoro possono portare reali benefici. Tuttavia lo studio evidenzia anche che le organizzazioni devono affrontare una drammatica sfida nel gestire l’ingresso dei wearable (dal punto di vista della security, per esempio), che va ad aggiungersi a quella realtiva al fenomeno Bring-Your-Own-Device.
I dati di origine ‘umana’ sono, secondo la ricerca, il pezzo mancante nel puzzle dei big data e possono fornire un vantaggio competitivo derivante da una conoscenza real time dei processi e dalla loro analisi immediata.
Per quanto riguarda il punto di vista delle imprese, una survey condotta da Vanson Bourne su economie occidentali (Italia esclusa) evidenzia che generalmente le Pmi sono le più interessate all’adozione di questi oggetti e che il mondo retail e quello manifatturiero sono molto più avanti degli altri settori. Le principali ragioni di interesse sono il miglioramento del benessere dei dipendenti, l’accesso istantaneo a informazioni importanti, il miglioramento del customer service e l’aumento della produttvità.
La sfida per l’It è anche un aumento nella produzione di dati che può essere indirizzata con il ricorso al cloud, mentre non si sono notate particolari resistenze da parte dei lavoratori in termini di controllo stile “Grande Fratello”, essendo abituati a condividere i dati attraverso gli smartphone e altri dispositivi nel loro tempo libero.

Workplace del futuro, mai più fili

Il pieno utilizzo dei nuovi strumenti rende urgente sui luoghi di lavoro la disponibilità di connessioni efficienti, ma senza l’ingombro dei fili. In questo campo l’ultima novità infrastrutturale è il WiGig, protocollo di connessione wireless 10 volte più veloce del wi-fi che può consentire di trasferire 25Gb di un disco Blue-ray in meno di un minuto e, quindi, permetterà di condividere rapidamente grandi quantità di dati, realizzare videoconferenze ad alta definizione e stream Tv.

Figura 2 – Andamento della soddisfazione delle persone che utilizzano wearable
Fonte: ricerca Chris Brauer

Sempre all’insegna del ‘senza fili’ sono i dispositivi che consentono il collegamento in modalità wireless a schermi e docking station, per permettere alle persone di passare rapidamente da un luogo all’altro, da una modalità all’altra, dal lavoro al tempo libero e viceversa. È quanto propone Intel con i dispositivi su processori Intel Core vPro di quinta generazione. Ai nuovi workplace contribuiscono anche quei notebook che, proposti da fornitori come Hp, Fujitsu e Dell, possono trasformarsi con una semplice rotazione o rimozione del coperchio in tablet; sempre nel campo delle ibridazioni arrivano i phablet (smart phone/tablet) e laptop sempre più potenti che comprendono un touch-screen ad alta definizione e tutto quanto da un computer si può desiderare.
Anche i protagonisti per definizione del mondo senza fili, come i fornitori di smartphone, stanno a loro volta portando il proprio contributo all’evoluzione del posto di lavoro. Ricordiamo, fra l’altro, che gli stessi smartphone rappresentano un elemento di raccordo fra le tecnologie wearable e gli altri dispositivi. Samsung ha recentemente annunciato un nuovo brand dedicato al business per unificare prodotti e servizi rivolti all’impresa focalizzato in gran parte all’IoT. Uno dei prodotti proposti sarà il sistema di sicurezza e di gestione della mobilità aziendale Samsung Knox lanciato in collaborazione con Blackberry. Sempre con Blackberry e Ibm l’azienda ha lanciato, SecuTablet, un nuovo tablet a prova di sicurezza e al riparo da intercettazioni per leggere le email, navigare su Internet o partecipare ai social network.

Mobilità al centro della trasformazione del workplace

Da quanto fin qui detto, è evidente che la mobilità è un elemento centrale per i nuovi luoghi di lavoro che saranno sempre più centrati sui singoli utenti. Non si tratta di implementare una singola tecnologia, ma serve la combinazione di più tecnologie (mobility, virtualizzazione, networking, cloud…) che devono essere integrate in un’unica soluzione per aiutare gli utenti ad affrontare un mondo dinamico e mobile.
L’It dovrebbe essere in grado di fornire le applicazioni di cui le persone hanno bisogno, indipendentemente dai dispositivi su cui operano, provvedendo al tempo stesso alla sicurezza degli accessi e all’indipendenza dei dati. I mobile workspaces consentono di guardare all’utente finale come a un unicuum (applicazioni, Pc, mobile, altri dispositivi…), semplificando anche il lavoro dell’It, che può avere un’unica vision di cosa serve alle persone, indipendentemente da dove si trovano.
La mobility è una priorità per oltre il 90% delle aziende, la cui maggioranza concorda sul fatto che le nuove applicazioni debbano essere mobile-friendly per essere efficaci. Lo sostiene una ricerca condotta da Vanson Bourne per Avanade che ha coinvolto 750 responsabili It senior di aziende con oltre 1000 dipendenti dei principali paesi industrializzati. Tuttavia il 38% degli intervistati afferma che manca una strategia coerente su come, in quest’ambito, devono essere sviluppate, implementate, mantenute e rese sicure le applicazioni
Le organizzazioni It sono coscienti delle nuove necessità: il 78% degli intervistati ha segnalato l’esigenza di implementare le applicazioni più velocemente; il 69% si rende conto della necessità di svilupparle su diversi tipi di dispositivi; il 68% capisce di dover aumentarne la focalizzazione su una progettazione user-centric. Il 65% delle imprese ritiene inoltre che le interfacce che offrono le migliori esperienze utenti sono la chiave per le applicazioni di successo, ma l’87% degli intervistati afferma di avere difficoltà nel trovare partner esterni e fornitori con un adeguato livello di competenze per la progettazione di interfacce utente adeguate.
Diventa dunque sempre più importante che la trasformazione in senso digitale e mobile entri nell’agenda delle imprese, coinvolgendo il top management, le business unit e l’It, per definire una strategia coerente e per assegnare le risorse necessarie in vista dei ritorni che si prospettano.

White Paper - Smart Working: come favorire processi di lavoro più innovativi e produttivi in modalità as a service

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