Quanto sono agili le imprese italiane? Quanto sanno impiegare analisi dei dati e intelligenza artificiale per crescere e competere a livello globale? A queste domande è stato dedicato un dibattito organizzato nei giorni scorsi dal Comitato Leonardo in collaborazione con PwC e Agenzia ICE per discutere dei risultati dell’Annual Global CEO Survey presentati in occasione dell’ultimo World Economic Forum di Davos. Lo studio in questione, realizzato da PwC, contiene le opinioni dei responsabili di circa 100 imprese italiane.
Le priorità dei CEO italiani per la crescita delle aziende
L’indagine di PwC rivela come l’efficienza operativa sia al primo posto nell’impegno dei CEO per la crescita aziendale (70% dei consensi), seguito dalla crescita organica (54%) e dal lancio di nuovi prodotti (46%). Per quanto riguarda l’espansione delle attività, il 35% dei CEO ritiene sia importante entrare in un nuovo mercato internazionale, il 31% fare operazioni di fusione/acquisizione, il 28% alleanze strategiche e joint venture. “L’attenzione all’efficienza rispecchia un atteggiamento difensivo da parte dei CEO – spiega Nicola Anzivino, partner PwC Italia – motivato da elementi d’incertezza che portano ad atteggiamenti prudenti”. L’alto punteggio per collaborazioni e fusioni aziendali conferma la percezione di un cambiamento nel perimetro aziendale: “Mentre cadono le barriere d’ingresso in molti mercati, si afferma una nuova visione del business in cui è più vantaggioso aprire a concorrenti e fornitori, comprare aziende e fare alleanze”.
Le competenze: un problema delle aziende in fase di trasformazione
La trasformazione digitale dei business si associa con la necessità di acquisire nuove competenze attraverso la formazione e l’aggiornamento delle risorse interne oltre che con la creazione di contesti più attraenti per persone di talento. Le competenze sono oggi un problema per oltre la metà dei CEO intervistati da PwC (54%), battendo i grattacapi causati dai prezzi delle materie prime (52%), la capacità di risposta alle crisi (46%), i cambiamenti nei consumatori (45%), l’emergere di nuovi concorrenti (43%) e di minacce informatiche (43%). Per il 42% dei CEO, la mancanza di personale qualificato crea un circolo vizioso che rende difficile reclutare nuove persone di talento.
“I CEO italiani sono consapevoli dell’importanza del capitale umano – spiega Anzivino – in mancanza del quale non si guadagnano clienti, quote di mercato e non si superano le crisi”. Secondo l’indagine PwC, il 58% dei CEO è consapevole del fatto che per migliorare la qualità delle risorse umane servono fidelizzazione e formazione del personale. Seguono l’assunzione di persone dalla concorrenza (16%) o da altri settori (13%) per arricchire il bouquet di competenze. “Se le persone sanno fare una cosa sola l’azienda non può cambiare – precisa Anzivino -. La formazione per sviluppare competenze differenti da ciò che le persone già fanno aiuta la flessibilità e la capacità dell’azienda di trasformarsi. È importante che gli uffici risorse umane lavorino a contatto con i CEO, impegnandosi nello sviluppo di competenze, carriera e riconoscimenti alle persone; nel caso dei millennial contano qualità della vita e visibilità personale”.
L’uso dei dati a supporto delle capacità decisionali
I CEO italiani denunciano qualche difficoltà nel disporre di dati affidabili oltre che nella capacità di analizzarli. Mentre i dati finanziari sono giudicati adeguati dal 46% dei CEO, esaustivi per il 45% e inadeguati solo per il 7%, quando si tratta delle informazioni necessarie per valutare le strategie nei riguardi delle tendenze tecnologiche la percezione d’inadeguatezza sale al 29%. “Dove in passato contavano fatturato, clienti e ordini, oggi devono essere valutati dati che riguardano la preferenze dei clienti, nuove esigenze e il livello di reputazione aziendale”, spiega Anzivino.
Nel sondaggio PwC risulta che, per prendere decisioni strategiche, l’88% dei CEO guarda a preferenze ed esigenze dei clienti, l’85% alla reputazione aziendale, l’82% a proiezioni e previsioni finanziarie, l’81% fa confronti con dati di settore. “Per prendere decisioni basate sui dati analitici, il problema dei CEO non è la capacità predittiva degli strumenti bensì l’affollamento di informazioni – precisa Anzivino -. È oggi difficile dare una gerarchia alla mole dei dati in base all’importanza strategica”.
Le aspettative nei riguardi dell’intelligenza artificiale (AI)
Un tema sul quale i CEO sono oggi in allerta riguarda l’AI, sia per le potenzialità d’uso interne aziendali sia per i possibili impatti sui mercati. Il 73% dei CEO ritiene infatti che l’AI possa rivoluzionare la gestione del business e aumentare la produttività, anche se solo il 20% dichiara di aver già avviato progetti. Il 33% dei CEO pensa d’introdurre capacità AI entro i prossimi 3 anni mentre il 44% non prevede, per il momento, alcuna iniziativa. “C’è la sensazione che sull’AI si giocherà una partita importante nel futuro e più drastica dei cambiamenti portati dall’arrivo di Internet – spiega Anzivino -. Nell’ambito manifatturiero, si parla molto di machine learning e macchine pensanti in grado di collaborare con le persone. In Italia, seconda manifattura in Europa dopo la Germania, i sistemi intelligenti potrebbero aiutare ad affrontare l’imprevedibilità dei cicli industriali”.
Come realizzare l’ecosistema per sviluppo delle imprese
Per vincere la sfida della competitività mondiale, le imprese italiane hanno bisogno di un solido ecosistema Paese fatto di università, centri ricerca, “collaborazioni, think tank e un mercato del lavoro più dinamico – spiega Anzivino -. Senza questo non si può accedere al mercato mondiale dei talenti e dei capitali”. Per Vincenzo De Luca, direttore generale per la promozione del sistema Paese presso il Ministero Affari Esteri e Cooperazione Internazionale, solo un impegno “di sistema” può aiutare le PMI di superare le barriere d’ingresso in mercati come Cina e India dove l’Italia ha quote d’export inferiori ad altri Paesi UE. “AI e industria 4.0 devono essere al centro dell’agenda – spiega De Luca -. Il Made in Italy non significa solo prodotti belli, dev’esserci anche innovazione e sostenibilità. Per questo occorre fare sistema tra università, ricerca e portare l’innovazione nei distretti. Con Confindustria abbiamo creato un piano di borse di studio per attrarre talenti; nelle università italiane solo il 4,5% degli studenti viene dall’estero contro l’8% della media OCSE”.
Per Antonino Laspina, direttore ufficio coordinamento marketing dell’Agenzia ICE l’informazione è la chiave per aiutare le imprese a trovare opportunità in nuovi mercati: “Servono sia le competenze per elaborare i dati sia l’esperienza. Questo perché le categorie usate in Occidente risultano spesso inadeguate per valutare lo sviluppo nei Paesi emergenti e le potenzialità dei nuovi consumatori che usano social media e online”.
ICE è impegnata a sostenere la vendita dei prodotti italiani all’estero attraverso la creazione di partnership con i grandi nomi del commercio digitale mondiale. “Lo scopo è aiutare grandi e piccole imprese a fare brand awareness, penetrare mercati lontani senza dover avere intermediari e fare grandi investimenti”, precisa Laspina. I mercati di riferimento sono Cina, India, ma anche USA e Medio Oriente. Al primo accordo stretto cinque anni fa con Alibaba, sono seguiti Yoox, portali nel food e l’ultimo, poche settimane fa, con Amazon.
Per la propria parte, il Comitato Leonardo che unisce 160 personalità del mondo imprenditoriale e culturale italiano (le aziende associate hanno complessivamente un fatturato 359 miliardi di euro nel 2018 di cui il 55% realizzato all’estero) continua nell’impegno istituzionale di promozione dell’Italia come sistema Paese: “Mettendo in rilievo le doti d’imprenditorialità, creatività e cultura che si riflettono nei prodotti e nello stile di vita – ha spiegato Luisa Todini, presidente del Comitato –. Questo attraverso premi, attività culturali, missioni all’estero, borse di studio e ricerche sugli argomenti più rilevanti”.