Divoratore di cinema, Massimo Palermo, Country Manager di Avaya, ha nel golf la sua “camera di compensazione” e considera una pietra miliare della sua formazione le estati passate a fare il barista: “Una grande palestra per imparare a relazionarsi con le persone e capire quanto la customer experience offerta sia fondamentale per ogni attività di business”.
Il suo stile di management è improntato su un insegnamento paterno per lui fondamentale: il mondo è una musica e c’è bisogno di tutti gli strumenti, quindi bisogna essere capaci di orchestrare i vari elementi.
Ecco quello che ci ha raccontato.
Agenda strutturata senza dimenticare sé stessi
ZeroUno: Con una responsabilità europea che, oltre all’Italia, comprende Eastern Europe, Greece & Adriatics (come indica il suo biglietto da visita), immagino che l’organizzazione della sua giornata sia piuttosto complessa. Quali sono i suoi punti fermi?
Massimo Palermo: Come suddivisione del tempo, cerco, su base mensile, di organizzarmi dedicando una settimana alla sede di Milano, una a quella di Roma e il tempo restante, a turno, ad Ancona, dove abbiamo un sito importante di ricerca e sviluppo, e alle altre capitali europee.
Ho un’agenda molto strutturata che riempio completamente, ma ci sono alcuni punti fermi.
Prima di tutto, quando sono a Milano, la mattina cerco di ritagliarmi del tempo per mio figlio e accompagnarlo a scuola. Il secondo riguarda il pranzo, o la cena quando sono all’estero, che dedico spesso a incontri con collaboratori, clienti o partner: non incontri di lavoro, ma semplicemente per passare del tempo insieme perché condividere la tavola, secondo me, è uno dei modi migliori per conoscere l’interlocutore”
Poi, ogni giorno identifico tre cose da fare assolutamente, professionali o personali, che possono sembrare anche piccole e insignificanti, ma secondo me è importante imparare a darsi delle priorità e raggiungere gli obiettivi quotidiani: il tempo c’è, sta a noi organizzarlo e in questo non dimenticare sé stessi, io cerco di lasciare almeno un 10% del mio tempo per pensare, per riflettere, per definire una pianificazione più strategica.
Questo periodo di emergenza ha reso ancora più evidente e forte la necessità di strutturare il tempo per non correre il rischio di iperconnessione, di lasciarsi fagocitare dal lavoro, di non trovare il tempo per giocare con tuo figlio o semplicemente trovarsi proiettato, dal senso di urgenza, nel lavoro fino a fine serata
Infine, la mia attività quotidiana, in tempi normali naturalmente, è suddivisa in tre macro ambiti: incontri con i collaboratori, sia per capire come va sia rivolti al coaching, governance, strategia, gestione del business e stato avanzamento progetti. Quello che mi dà più soddisfazione è certamente il confronto e l’incontro.
ZeroUno: In queste giornate così intense, quali sono le sue attività di svago preferite?
Massimo Palermo: Amo viaggiare e ho molte passioni. Sono un divoratore di cinema e serie TV, non c’è un genere che mi piaccia particolarmente, guardo di tutto, dipende dai momenti: da Ernst Lubitsch [il regista dell’indimenticabile Il cielo può attendere, ndr] agli iraniani come Kiarostami; in ambito comico Non ci resta che piangere e La cena dei cretini sono due capisaldi; sono innamorato del neorealismo e, in tempi moderni, di Tarantino; mi piacciono i film un po’ circolari come Babel o Crash contatto fisico, con storie che si incastrano e poi Almodovar, Woody Allen, Sergio Leone…
Mi piace molto leggere: anche se ultimamente mi interessano anche libri di management o intelligenza emotiva, L’amore ai tempi del colera, Siddartha o Alta fedeltà sono alcuni dei libri che più amo. Un autore che mi piace particolarmente è Gay Talese perché riconosco parte della mia infanzia nelle storie che racconta; Unto the Sons, per esempio, che narra di un emigrante calabrese: io sono figlio di migranti ed è un libro che sento molto vicino perché mi riporta alle mie origini.
Work life integration aiutata da tecnologia e “stanze di compensazione”
ZeroUno: Responsabilità importanti dal punto di vista lavorativo, tanti interessi che dimostrano tanta curiosità, ma come riesce a conciliare la sua vita professionale con quella privata?
Massimo Palermo: Più che quello di work life balance di cui tanto si parla, io sposo il concetto di work life integration perché rappresenta meglio l’integrazione dinamica tra vita professionale e vita privata, più che un equilibrio statico tra i due aspetti.
E in questo mi aiutano due cose ovviamente la tecnologia, perché mi consente di risparmiare tempo e trovare quel tempo di qualità da investire nella famiglia e negli amici, e poi le passioni, quelle che io chiamo stanze di compensazione, indispensabili perché quando la pressione esterna sale oltre la soglia di pericolo bisogna sapersi fermare.
Purtroppo, adesso mi capita più spesso di “portarmi il lavoro a casa”, non in senso fisico, ma nei pensieri e mi risulta un po’ più difficile concentrarmi, quindi mi focalizzo su quelle passioni che mi consentono di “staccare” completamente e una di queste è sicuramente il golf. Il golf mi ha insegnato molto in termini di regole, definizione delle priorità, a essere flessibile, a imparare a giocare con tutti, il rispetto reciproco e non da ultimo, l’importanza della strategia e della capacità di gestire stress e frustrazione come parte del gioco, con focus ed ironia se necessario, cosi come la costante ricerca del miglioramento personale.
Un’altra stanza di compensazione che mi libera la mente è la passione per lo champagne, lo studio di questo mondo, fatto di migliaia e spesso sconosciuti ma eccellenti produttori e microaziende oltre le grandi marche e celebrate maison. E poi mi piace molto cucinare a stare con gli amici.
Anche nella vita privata è importante darsi delle priorità perché se definisco quello che è importante per me e riesco a farlo, anche tutto il resto va meglio: bisogna esserci nelle cose, magari anche solo per pochi minuti, ma esserci completamente, con il corpo e con la mente. E questo significa avere anche imparato, e insegnato negli anni, a dire di no.
Uno stile di management basato su disponibilità, comunicazione schietta e gentilezza
ZeroUno: Qual è il suo stile di management? Come gestisce le relazioni coni suoi collaboratori?
Massimo Palermo: Gli anni e il contesto economico mi hanno insegnato che non si può più giocare un solo ruolo e questo vale sia per le persone sia per le aziende. È una cosa che per me non è nuova, ma fa parte della mia educazione: mio padre mi ha sempre detto che il mondo è una musica e c’è bisogno di tutti gli strumenti, quindi bisogna essere capaci di orchestrare i vari elementi. È stato un insegnamento importante e mi ha aiutato nel gestire i collaboratori che non può essere fatto sempre nello stesso modo, ma risente anche delle condizioni esterne, del momento dell’azienda o del mercato. Quindi la caratteristica principale del mio stile di management è mettere al centro le persone dove le parole chiave sono disponibilità e una comunicazione schietta e continua. Il confronto è fondamentale per esaltare il potenziale delle persone e nel confronto, un termine in cui mi riconosco è gentilezza: in un mondo frenetico, in cui l’engagement è ritenuto importante, la gentilezza è qualcosa che dovrebbe essere un po’ un po’ rispolverata. Oggi le competenze sono la chiave di volta del business quindi vanno coltivate con cura e l’unico modo per farlo è ingaggiare le persone nel modo giusto.
ZeroUno: Quanto incide la sua storia professionale in questo modo di pensare?
Massimo Palermo: Prima di arrivare in Avaya nel 2015 ho lavorato quasi 10 anni in HP. Un’azienda della quale ero innamorato proprio perché c’era un’attenzione molto forte alle persone, del resto lo “stile HP” ha fatto scuola nelle teorie di management. Prima ancora ho sempre lavorato nell’ambito della tecnologia anche con soddisfazioni personali importanti, ma due momenti molto formativi della mia vita sono stati sicuramente La Sapienza di Roma, non tanto per gli studi in sé ma perché era una vera e propria giungla dove dovevi imparare a districarti, e l’esperienza da barista e gestore di uno sporting club di famiglia che ho fatto tutte le estati dai 14 ai 25 anni per contribuire al mio mantenimento agli studi. È stata una grande palestra per imparare a relazionarsi con le persone, imparare ad ascoltare il cliente, a immedesimarsi, a interpretare i suoi bisogni, ad avere pazienza scoprendo, per esempio, in quanti modi diversi due elementi semplici come il latte e il caffè possono combinarsi.
E poi le esperienze extra lavorative, come i viaggi e lo studio delle lingue e di culture diverse (in particolare spagnolo e francese), sono momenti altrettanto importanti e che contribuiscono a formarti.
Ho scelto di venire in Avaya perché la consideravo un’azienda che andava a completare lo spettro delle mie conoscenze, aggiungendo al software ed al networking, ambito nel quale in HP avevo raggiunto un livello di risponsabilità internazionale, tutta la parte telecomunicazione e contact center. E quello che mi è piaciuto è che era un brand molto importante, con un posizionamento significativo ma aveva capito che doveva cambiare completamente la propria proposizione dall’hardware al software e alla vendita di servizi, passando da prodotti a piattaforme con API aperte: una virata decisa e senza compromessi verso il cloud. Gli altri elementi sono che stiamo parlando di tecnologie rilevanti che, come abbiamo visto in questo periodo di emergenza e di chiusura, hanno impatto importante sulla società e poi, anche qui, l’attenzione per le persone.
C’è poi un altro aspetto che non è facile trovare in una corporation ed è la capacità di incidere territorialmente; solitamente queste grandi multinazionali tendono a dare delle regole comuni e quelle bisogna seguire, pur essendo ovviamente una realtà molto strutturata, Avaya è molto attenta alle realtà locali. Questo è molto gratificante per il management locale, ma significa anche essere rilevanti per il territorio in cui lavori e vivi; oggi molte persone si pongono la domanda se condividono i valori dell’azienda per cui lavorano o di cui sono clienti. In questo periodo, per esempio, abbiamo offerto gratuitamente il nostro portafoglio fino ad agosto alle scuole e alle aziende sanitarie per abilitare video conferenze; solo in ambito Unified Communication abbiamo messo a disposizione più di 40.000 licenze in ambito contact center e più di 3.000 operatori lavorano gratuitamente.
E questa attenzione penso sarà sempre più importante nella retention del personale e dei clienti.
ZeroUno: A proposito di clienti… come imposta le relazioni di business?
Massimo Palermo: Mi piace passare il 50-60% del mio tempo con i clienti, è una componente imprescindibile della mia giornata e oggi è quanto mai fondamentale perché certo, la relazione è tra aziende ma dietro c’è una relazione tra persone e quello che cerco di rendere durature improntandole sulla fiducia. È più facile a dirsi che a farsi e io cerco di farlo riducendo la distanza: prima di tutto ascoltando i clienti, è fondamentale anche se in una realtà come quella italiana, fatta di tante piccole e medie aziende come vendor potresti essere tentato di non seguirle direttamente, di non ascoltarle. Anche se i nostri partner sono un asset fondamentale, ne abbiamo circa 250 attivi, come vendor abbiamo comunque il dovere di andare a trovare i clienti e sentire direttamente da loro necessità, esigenze, criticità.
La fiducia si costruisce con un dialogo costante e, naturalmente, con la coerenza delle promesse che si fanno.
L’innovazione è un dono per migliorare le cose più preziose che abbiamo
ZeroUno: E qual è la sua idea di innovazione?
Massimo Palermo: Prima di tutto l’innovazione è un dono, il risultato della creatività e dell’intelligenza umana che è tanto più apprezzabile quanto più mi aiuta, come persona e come azienda, a migliorare le due cose più preziose che abbiamo: il tempo e la salute
Per me l’innovazione deve servire a migliorare questi due aspetti, quindi il primo concetto che voglio passare è di concretezza: qualcosa che miri alla risoluzione dei problemi, a semplificare la vita.
L’altro tema importante è relativo all’impatto sociale, e quello che abbiamo visto in questi momenti lo dimostra; per me la tecnologia deve essere accessibile a tutte le persone.
Come ho sentito dire qualche giorno fa, questa emergenza è stata come una marea che ha travolto un’area enorme e che, man mano che si ritira ha lasciato dei sassi, problemi che non avevamo visto prima o che avevamo sottostimato. Ora, il punto è se vogliamo aspettare che la sabbia torni pian piano a ricoprire questi sassi e continuare come prima o se vogliamo rimuoverli. Questa emergenza può forse servire a dare nuovo impulso all’innovazione.
È come uno schiaffo che, nonostante la tragedia, ci insegna tante cose: prima di tutto ha tolto degli alibi. Pensiamo solo al remote working o in qualche caso allo smart working (come sappiamo non sono due sinonimi, ed è importante sottolinearlo), in pochi giorni centinaia di aziende sono passate a questa modalità organizzativa e anche chi era contrario si è reso conto che “si può fare”. E lo stesso è stato per le video conferenze al posto delle riunioni fisiche ecc. Ci si è resi conto che tante barriere esistenti nei confronti del digitale erano soprattutto culturali: si è acquisita la consapevolezza di quanto il digitale sia importante e che non si potrà tornare indietro.
ZeroUno: Avvicinandoci alla conclusione della nostra intervista, mi piacerebbe sapere cosa consiglierebbe a un giovane che sta entrando nel mondo del lavoro
Massimo Palermo: Prima del consiglio, vorrei fare ai giovani due doni: entusiasmo e curiosità. Perché sono due cose che non ti fanno accontentare, ti fanno approcciare la vita in maniera diversa.
Come consiglio direi: lavorate dove potete e prima che potete. Come ho detto, la mia esperienza da barista è stata molto formativa mentre invece si tende a demonizzare il lavoro nei confronti dello studio: prima di tutto ti devi laureare e poi pensare al resto, questo resta l’assioma soprattutto nella zona dove sono nato. E invece no, perché le attitudini e i comportamenti sono importanti quanto le competenze, l’esperienza viene lavorando, scontrandosi con i problemi della vita, viaggiando, conoscendo quanto più possibile culture e lingue diverse.
Lo studio deve essere visto come un investimento e la prima fase di lavoro affrontata con un po’ di spirito di sacrificio che significa, da una parte, avere una salda etica del lavoro, dall’altra, non aspettarsi tutto e subito. Quando si è giovani non è facile scendere a compromessi, ma all’inizio bisogna essere capaci di farlo. Un compromesso che svanisce poi quando si è trovata la propria strada perché non si può lavorare per 8 ore al giorno per una realtà di cui non si condivide la mission, con la quale non si è in sintonia.