È ormai noto che i cittadini italiani non utilizzano come potrebbero i servizi digitali per connettersi alla PA. La causa non è tanto da ricercarsi nell’inadeguatezza dei dispositivi o nel livello di connettività quanto nella scarsa competenza digitale degli italiani rispetto alla media europea. “Se questo fosse l’unico problema si potrebbe risolvere con la formazione – commenta Luca Gastaldi, Direttore della Ricerca dell’Osservatorio Design Thinking for Business del Politecnico di Milano – Ma il problema vero è l’effettiva disponibilità e la fruibilità dei servizi offerti”. Il panorama italiano nel campo dei servizi digitali presenta, come sempre, luci e ombre, sia per i servizi della PA sia per quelli privati. Questo articolo, che si ispira al ciclo di webinar degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano sul tema del Design Thinking, si focalizza però sulla digitalizzazione dei servizi pubblici in quanto più facilmente classificabili.
Who's Who
Luca Gastaldi
L’utilizzo dei canali digitali della PA da parte dei cittadini
Gli Osservatori evidenziano che dell’80% dei cittadini italiani che nell’ultimo anno ha avuto la necessità di interfacciarsi con la PA, il 26% ha usato almeno una volta un canale digitale per farlo e, nel complesso, oltre il 50% ha usato almeno un canale digitale eventualmente associato ad altri (figura 1).
Analizzando i diversi ambiti, emerge la differenza fra quanti sono riusciti a interagire esclusivamente attraverso un canale digitale e quanti non sono riusciti a farlo. Dalla figura 2 è evidente che il settore più problematico è la Sanità dove, ad esempio, solo l’11% è riuscito a pagare un ticket utilizzando esclusivamente canali digitali.
Una causa di queste difficoltà è riconducibile alla diversa maturità delle amministrazioni nel trasferire i servizi verso il mondo digitale e nel realizzare lo switch-off dei servizi analogici, ossia nello spegnere definitivamente i canali analogici, senza mantenere un complicato parallelo. “Ma la vera criticità è il fatto che non si usa questa occasione per ripensare i servizi – sottolinea Gastaldi – Spesso infatti si traduce in digitale un processo creato sulla carta a scapito della fruibilità, con il risultato di avere processi digitali super efficienti ma inutili”. È il caso del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) che è stato digitalizzato, ma sarebbe del tutto inutile se solo gli uffici si parlassero e che dovrebbe sparire in una logica di PA interoperabile.
“La necessità di riprogettare i servizi che le PA offrono ai cittadini nasce da alcune evidenze come le modeste competenze digitali degli italiani, l’uso ancora scarso dei canali digitali per le esigenze di servizi pubblici, la preferenza, dichiarata del 60% dei cittadini, di veder gestire il modo automatizzato le principali necessità di contattato”, sintetizza Gastaldi.
Come migliorare la fruizione dei servizi grazie al DT
Per spiegare come farlo, la parola passa a Tommaso Nervegna, Service Design Lead, PwC’s Customer Practice, che descrive un percorso basato su esperienze di collaborazione con le amministrazioni pubbliche: “Il cittadino, nell’interazione con la PA, si aspetta un’esperienza analoga a quella sperimenta nel privato, dove trova un servizio costruito attorno a sé, con elevati standard qualitativi”, è la premessa. Questa aspettativa può essere soddisfatta solo cambiando il modo in cui i servizi vengono progettati, non semplicemente digitalizzando i servizi tradizionali esistenti. Infatti, secondo Nervegna, gli attuali servizi pubblici vengono considerati poco fruibili e dunque scarsamente utilizzati per diverse ragioni:
- offrono un’esperienza non centrata sull’utente, ma dipendente soprattutto da vincoli tecnici, burocratici e organizzativi;
- sono spesso il risultato di un intreccio di vecchie tecnologie e strategie tecnologiche che non combaciano con le scelte di governance;
- sono spesso IT- centrici.
“Anche chi ha realizzato interventi di ridisegno ha troppo spesso contato sul cosiddetto effetto wow, che punta a ottenere un risultato immediato, ma non tiene conto delle reali esigenze dell’utente – aggiunge Nervegna – È invece importante uno shift mentale e l’assunzione della cultura del miglioramento continuo sulla base dei dati raccolti”. La consapevolezza di questa evoluzione si sta facendo strada soprattutto presso grandi Comuni, che si rendono conto della necessità di un importante sforzo di co-progettazione che coinvolga in modo attivo tutti gli shake-holder. E qui entra in gioco il Design Thinking, “il cavallo di Troia per il cambiamento culturale e al tempo stesso una strategia che fa leva sull’empatia e su una molteplicità di competenze”.
Gli ingredienti chiave della metodologia sono:
- la capacità di essere centrata sull’utente finale e i suoi problemi per capire come migliorargli la vita, senza dare per scontato che la soluzione giusta sia digitale;
- un approccio creativo alla soluzione che guarda il problema da diverse prospettive e, di conseguenza, considera più proposte;
- una logica iterativa, basata su test e feedback, che impone di sbagliare prima possibile per imparare dagli errori.
In questa ottica risultano fondamentali lo strumento della prototipizzazione rapida, per ottenere in tempi rapidi i feedback degli utenti, e una logica collaborativa, realizzata con tante piccole task force interne multidisciplinari, utili per abbattere i silos aziendali e far lavorare tutti in una grande rete di team.
Per facilitare questa impostazione PwC ha messo a punto un framework (figura 3)
- Nella fase di esplorazione si approfondiscono il contesto di riferimento, gli utenti e i potenziali fruitori; si analizzano non solo i big data ma anche gli small data; si fanno interviste agli stakeholder per raccogliere esigenze del business, vincoli e ostacoli, eventuali frizioni fra gli attori per superarle, ci si ispira alle best practice anche di settori diversi.
- Nella fase di strategia vengono definiti le proto persona, persone immaginarie destinatarie del servizio, e il loro customer journey per identificare le esperienze tipiche dell’utente; si definisce al tempo stesso l’innovation road map e si vanno ad identificare le priorità.
- Per la fase di co-creazione, PwC ha messo a punto un workshop di 5 giorni dove produrre nuove idee per touchpoint e servizi, grazie ad un approccio Design Sprint. Si utilizzano in questa fase la prototipazione rapida e test di usabilità, verificando quanto prodotto con utenti reali (esterni al team), se ne osservano le reazioni e si intervistano per capire cosa ha funzionato e cosa no (figura 4).
- Dopo le necessarie iterazioni si arriva alla fase finale e alla creazione dei presupposti per la crescita dell’organizzazione nel suo complesso. “L’efficacia dell’approccio è proporzionale alla capacità dell’organizzazione di evolvere – spiega Nervegna – Aiuta infatti a far esplodere i silos aziendali che rappresentano un ostacolo alla collaborazione, a realizzare la contaminazione delle competenze e a supportare le persone a comprendere gli ostacoli, sollecitandole nel cambio culturale”.
In conclusione, per un approccio efficace, si deve comprendere, che il Design Thnking non è un workshop non convenzionale ma, come sintetizza Gastaldi, “un paniere di strumenti e metodologie che possono essere applicati per ripensare le motivazioni che spingono a offrire un servizio, mettendo al centro le esigenze del cliente e coinvolgendolo nella riprogettazione”.