Le diverse roadmap verso il cloud

Le aziende che vogliono adottare soluzioni di cloud computing devono scegliere quali modelli di servizio e di deployment utilizzare prendendo in considerazione aspetti di carattere tecnologico, organizzativo ed economico. Come disegnare una roadmap che armonizzi queste componenti? Qual è l’atteggiamento delle aziende italiane?

Pubblicato il 15 Nov 2011

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Il cloud computing rappresenta un nuovo paradigma per l’Information and Communication Technology che può essere inteso come la sintesi di due trend: la commoditizzazione delle Ict e l’affermarsi di nuovi modelli di fruizione delle stesse in ottica di servizio. Secondo questo modello, insiemi di risorse sono standardizzati e consumati in maniera condivisa dagli utenti (Business Line o Direzioni Ict) sulla base del fabbisogno, in ottica di servizio elastico e misurabile. Gli elementi caratterizzanti l’affermarsi del nuovo paradigma sono la riorganizzazione delle Ict sulla base del concetto di servizio e, nel caso questi servizi vengano erogati da attori esterni l’organizzazione cliente, lo spostamento di investimenti (CapEx) e complessità gestionale verso il fornitore, mentre il cliente può considerare la spesa come un costo operativo (OpEx) legato all’andamento del business.
I benefici in termini di flessibilità e di rapidità di implementazione di nuovi progetti sono di grande interesse per le imprese: in pochi anni il mercato cloud ha raggiunto, secondo Forrester, una dimensione dell’ordine dei 40 miliardi di dollari con previsioni di crescita annua superiori al 20% fino al 2015.
Dal punto di vista tecnico, i servizi vengono distinti sulla base delle tipologie di risorse fruite (modelli di servizio). Infrastructure as a Service (IaaS) fa riferimento ad esempio all’offerta di potenza di calcolo o di capacità di memorizzazione di dati. Platform as a Service (PaaS) include le piattaforme per sviluppare, testare, integrare, orchestrare ed erogare le applicazioni, lasciando all’utente il controllo sugli strati sovrastanti. Software as a Service (SaaS) include le applicazioni aziendali e gli strumenti di produttività individuale, forniti on-demand e remunerati a consumo. Al livello superiore, detto Business Process as a Service (BPaaS), il provider eroga interi processi di business in ottica di servizio.

Quale modello scegliere
Dal punto di vista dei modelli di erogazione si parla di private cloud quando la soluzione viene realizzata da un’organizzazione per essere fruita al proprio interno; di community cloud quando l’infrastruttura è condivisa entro un consorzio; di public cloud quando la risorsa è messa a disposizione del pubblico da un provider tramite la rete; di hybrid cloud quando il servizio è implementato da un insieme delle precedenti.
Le aziende che vogliono adottare soluzioni di cloud computing devono scegliere quali modelli di servizio e di deployment utilizzare, coerentemente con le esigenze e il contesto aziendale. Due sono i trade-off fondamentali: per scegliere il modello di servizio più adeguato occorre valutare la necessità di avere tempi rapidi di implementazione delle soluzioni rispetto al grado di personalizzazione desiderato, mentre per definire il modello di erogazione più opportuno occorre valutare il livello di controllo che si vuole esercitare sulle risorse rispetto alla necessità di contenere gli investimenti.
Nel caso dei modelli di servizio, la rapidità con cui l’It può attivare nuovi servizi aumenta spostandosi dall’IaaS verso il BPaaS, mentre il livello di personalizzazione raggiungibile, specularmente, diminuisce tanto più si ricorre a soluzioni esterne, dove, a parte pochi parametri di configurazione e personalizzazione, tutta la complessità di gestione dei livelli sottostanti è coperta. Questa scelta impatta sia sui tempi necessari per l’implementazione dei progetti, sia sulla possibilità di personalizzazione dei servizi, e richiede quindi un’analisi delle tempistiche richieste, ma anche delle esigenze in termini di flessibilità e della rigidità / adattabilità dei processi in funzione del proprio modello di business.
Analogamente, la scelta del modello di deployment impatta sul controllo dei servizi e sulle variabili economico-finanziarie, e dipende quindi dai requisiti di governance It e dalle risorse disponibili. Con questo si fa riferimento alla proprietà degli asset e quindi al livello di controllo che le organizzazioni possono esercitare sulle risorse: passando da una scelta all’altra, occorre valutare, per ogni ambito applicativo, quanto sia importante mantenere il controllo del servizio, rispetto alla necessità di essere veloci e flessibili, oltre che a quanto si sia disposti a investire all’inizio a fronte della quasi totale variabilizzazione dei costi. Il modello public cloud, per esempio, permette alle imprese clienti di contenere i costi e di sperimentare soluzioni innovative sviluppate da terzi direttamente attraverso il mercato, con un time-to-market significativamente ridotto rispetto alla tipica implementazione interna; esso implica tuttavia anche il vincolo crescente delle scelte effettuate dai provider.

Ognuno ha il proprio percorso
Le considerazioni espresse ci permettono di capire come l’adozione del paradigma del cloud computing da parte di un’azienda non sia banale e come sia opportuno avvenga sulla base di un adeguato piano d’azione composto da una sequenza di passi logici capaci di coniugare le esigenze dell’azienda con le molteplici alternative offerte dalle scelte di adozione. È quindi fondamentale andare a definire una vera e propria cloud Roadmap.
Per capire quanto il cloud sia realmente introdotto nelle imprese Italiane e quale siano le scelte in termini di percorso d’adozione, la School of Management del Politecnico di Milano ha attivato un Osservatorio specifico su “cloud & Ict as a service” diretto, oltre che dal sottoscritto, dal Prof. Mariano Corso.
La ricerca ha coinvolto direttamente un panel di 168 Cio, tra survey e incontri diretti. In generale i Cio consultati vedono il cloud come un fenomeno rilevante (66%) o addirittura rivoluzionario (11%) per il mondo dell’It, e ne leggono il potenziale sia in termini di maggiore flessibilità (63%) sia per la possibilità di condivisione di risorse (41%). Circa la reale diffusione del fenomeno, la ricerca ha mostrato come la metà delle aziende ha già in utilizzo soluzioni cloud di IaaS (cui si aggiunge un 22% che le sta valutando/sperimentando), mentre per il modello di servizio SaaS il livello di diffusione rilevato è ancora più alto, con il 63% di aziende che ha una soluzione in utilizzo e un ulteriore 15% la sta valutando/sperimentando.
La ricerca ha inoltre dimostrato come il percorso verso il cloud dipenda molto dalle caratteristiche dell’azienda. Il percorso preferenziale seguito dalle aziende di grandi dimensioni e con buone capacità d’investimento parte da una logica prevalentemente interna (o tecnology-push) dallo IaaS o dal PaaS privato. Parallelamente a questo primo passo vengono eventualmente affiancate soluzioni SaaS pubbliche per servizi standard (per esempio email e unified collaboration & communication), oppure per attingere temporaneamente a soluzioni rapide per esigenze contingenti di processi più significativi (per esempio gestione HR, acquisti). Dualmente, un altro percorso preferenziale parte dalla sperimentazione di servizi SaaS pubblici, per poi muoversi verso l’interno. Interessante è che, seppure con una percentuale di adozione a oggi molto bassa, soprattutto le piccole imprese più innovative colgono da subito buoni risultati ricorrendo a soluzioni SaaS pubbliche, via via integrandole ai sistemi legacy esistenti. Colpisce invece come siano rare le iniziative nel segmento intuitivamente più maturo e attrattivo, quello dello IaaS pubblico, che consentirebbe forti risparmi.

Figura 1 – Il trade-off per la scelta di modelli di servizio
(cliccare sull'immagine per visualizzarla correttamente)

I fattori di freno per le aziende italiane
Se quindi da un lato il modello cloud è particolarmente apprezzato dalle aziende più innovative che perseguono la rapidità di reazione, in generale dalle aziende italiane emerge uno scenario di adozione più conservativo rispetto a quanto accade in altri mercati internazionali, con una conseguente riduzione dei benefici potenziali realizzati nonostante le forti aspettative. Nelle aziende italiane pesano oggi il timore della perdita di controllo su dati e processi, una certa ostilità culturale a portare all’esterno i processi maggiormente core, forti preoccupazioni sul fronte della sicurezza, difficoltà non indifferenti sul tema dell’integrazione applicativa e una certa confusione sui modelli di riferimento, complici anche comportamenti disallineati da parte degli interlocutori dell’offerta. Inoltre, non può essere trascurato il limite reale cui si trovano di fronte molte aziende dovuto allo stato di diffusione della banda larga sul territorio nazionale. Tutto ciò rallenta l’adozione di soluzioni cloud o spinge una serie di iniziative emergenti verso il modello privato, dove peraltro vi sono maggiori gradi di libertà sul fronte della personalizzazione delle soluzioni.
L’evidenza empirica sottolinea inoltre un secondo motivo di disillusione: la sottovalutazione del cambiamento iniziale richiesto alle aziende. L’approccio cloud implica un ripensamento dei Sistemi Informativi aziendali: le imprese devono essere pronte a investire inizialmente non solo dal punto di vista architetturale, ma soprattutto sul fronte delle competenze, introducendo nella prassi operativa della Direzione It le logiche della gestione per processi, del supply management, del demand management e del service level management. Solo introducendo adeguatamente tali strumenti, il cloud costituirà a tutti gli effetti un’opportunità per rendere l’Ict capace di generare maggior valore per il business.

Figura 2 – Il trade-off insito nella scelta dei modelli di erogazione
(cliccare sull'immagine per visualizzarla correttamente)

* Stefano Mainetti è Codirettore Scientifico dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service della School of Management del Politecnico di Milano

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