La tendenza del Design Thinking, come già abbiamo visto è mescolarsi con altri approcci all’innovazione nei quali perde un poco dei suoi tratti peculiari per assumere nuove caratteristiche. Quali restano le sue caratteristiche distintive? Quali le criticità da superare quando viene usato nella trasformazione organizzativa? Rispondono alcuni designer di grandi organizzazioni a partire dalla propria esperienza
La discussione prende avvio da un oggetto che ciascun partecipante alla tavola rotonda che si è svolta durante la presentazione dei dati dell’Osservatorio Design Thinking del Politecnico di Milano ha portato con sé per indicare le caratteristiche distintive del Design Thinking che permangono nonostante l’incontro con altri framework per l’innovazione.
Mattia Mori Service Design Lead, Assist Digital, ha scelto un meme che indica come un oggetto atipico, parte di un sistema di cultura e di comportamento, trasmissibile, replicabile e imitabile. “Molti elementi accomunano il meme al Design Thinking, soprattutto capacità di creare emozioni, anche di disagio a volte, necessarie per diffondersi e trasformare le organizzazioni, una persona alla volta, a partire dai partecipanti alle attività che andiamo a disegnare”, spiega.
Alessandro Piana Bianco, Strategic and Experience Design Director, Deloitte Digital, mostra una piccola cesoia da sarto, molto tagliente, che nella sua funzione originaria serve per tagliare fili e cuciture ma viene usata anche per tagliare le lenze delle canne da pesca o il nastro dei pacchi (come i tanti ricevuti nelle nostre case durante il lockdown). Piana Bianco la accosta per la sua malleabilità al Design Thinking, uno strumento che nel contesto di programmi di trasformazione digitale e organizzativa si adatta ad attività.
Ancora tagliente (le forbici) l’oggetto rappresentativo per Alessandra Fidanzi Head Digital Factory & Center of Excellence, ENI, che ne offre però una diversa interpretazione: è un oggetto auto-esplicativo del quale si può intuire la funzione attraverso la sua forma. La capacità intuitiva è una caratteristica del Design Thinking che analizza l’essere umano, il suo comportamento, il suo problema, i suoi obiettivi, il contesto e affronta la situazione in modo olistico. “La distintività del Design Thinking è la capacità di mettere al centro l’essere umano in maniera contestualizzata e con un approccio di progetto, disegnando una soluzione che ha caratteristiche tali da garantirne l’adozione”, sintetizza.
La foto di un workshop è l’oggetto portato da Giorgio Cordiner, Executive Director – Client Partner, Reply, per indicare l’obiettivo del Design Thinking. Si tratta di condurre il processo di innovazione in modo inclusivo e collaborativo con l’utente finale, nella progettazione di un servizio. Quando si lavora per la trasformazione digitale gli interlocutori sono invece le persone dell’organizzazione che vanno coinvolte nel processo di cambiamento. “La foto indica la focalizzazione sulle persone, oggetto stesso della trasformazione – precisa Cordiner – mentre spesso ci si focalizza più sulla tecnologia che sull’obiettivo finale della trasformazione stessa”. Far partecipare le persone porta due benefici: la presenza di tutti i punti di vista nel processo di trasformazione, l’automatica adozione del processo da parte delle persone che hanno contribuito a definirlo.
Un gomitolo di lana colorato e aggrovigliato è l’oggetto di Monica Gabrielli, Head of Digital Experience, Sogei. “È la prima immagine che mi evoca il Design Thinking, uno strumento capace di dipanare una matassa ingarbugliata, risolvendo in modo creativo e interdisciplinare problemi complessi”, spiega, precisando che il Design Thinking ci aiuta affrontare anche le situazioni quotidiane in modo diverso. “Un approccio Design Thinking è importante per chi come me sta affrontando processi di change management. Il Design Thinking spinge a pensare prima di agire e ci porta a un cambio di prospettiva nell’affrontare i problemi”, aggiunge.
Effetti indesiderati da considerare quando si usa il Design Thinking per la trasformazione organizzativa
Il Design Thinking non è la panacea, ma presenta alcune criticità di cui tener conto e sulle quali i designer che partecipano alla tavola rotonda ci mettono in guardia, sulla base della loro esperienza.
Attenzione agli entusiasti del Design Thinking, è l’avvertimento di Mori, che tendono creare, in modo autonomo e spesso anarchico, attività basate su Design Thinking, con il rischio di creare dispersione e ridurre l’efficacia del programma. Per evitarlo si deve essere coach su pratica e metodologia e monitorare costantemente il processo di diffusione del Design Thinking, cercando di canalizzare l’entusiasmo per creare valore.
Il side effect evidenziato da Piana Bianco è scoprire aree non previste che a volte esulano dallo scopo iniziale di un progetto. “Quando si vanno a “disturbare” ambiti non previsti, soprattutto quando è coinvolta la trasformazione di un’organizzazione complessa, bisogna allora usare la diplomazia”, suggerisce.
Il rischio principale, evidenziato da Fidanzi, è quello di non raggiungere i risultati perché le persone non affrontano la trasformazione con una mente libera, aperta alla contaminazione necessaria per sprigionare la creatività ma restano legati ai vecchi approcci. Serve allora accompagnare le persone nel percorso progettuale, aiutarle a comprendere il contributo che possono dare e con quale mentalità accostarsi ai tavoli di progettazione. “Se si è bravi e si riesce a liberare la creatività, c’è il rischio opposto di cui già hanno parlato i colleghi -aggiunge- Per canalizzare la fase divergente serve concretezza, ricorrendo a prototipazioni in tempi brevi per individuare l’idea migliore, grazie anche all’ibridazione con lean e agile”.
Cordiner preferisce indicare non tanto rischi quanto i prerequisiti necessari affinché un processo di trasformazione raggiunga l’obiettivo: il processo deve essere al tempo stesso top down e bottom up. Serve da un lato una direzione e una visione da parte del top management. “Gli esempi di aziende che performano meglio del mercato hanno alla base l’idea che l’innovazione e la customer experience siano la strategia; è dunque presente un forte endorsement da parte della direzione aziendale”, spiega. D’altra parte la visione va accompagnata da un processo bottom up, dove le persone coinvolte riescono a fare le cose giuste grazie alla cultura dell’innovazione che permea l’organizzazione, senza dispersione.
“L’attività di design non va vista come un esercizio di stile né come qualcosa che si aggiunge alle altre modalità, ma una pratica alternativa all’approccio tradizionale”, avverte Gabrielli portando ad esempio il caso di Sogei che integra il mondo del design all’interno del ciclo dello sviluppo del software.
In conclusione il Design Thinking per restare sé stesso, mantenendo le caratteristiche che ne costituiscono il valore come framework di innovazione, deve trasformarsi, superando criticità vecchie e nuove per poter diventare un potente fattore di trasformazione delle organizzazioni.