Sesta al mondo per spese spaziali in rapporto al PIL, terza contribuente dell’ESA con quasi 600 milioni di euro e dotata di agenzia spaziale con budget a 9 zeri, l’Italia investirà nello spazio anche 1,49 miliardi del PNRR: queste cifre vanno moltiplicate per 5 per ottenere il valore che la filiera industriale può ricavare dalle tecnologie nate nello Spazio se saprà “metterle a terra” anche nell’ambito della mobilità sostenibile.
A sottolinearlo è l’astrofisica dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) Patrizia Caraveo, raccontando il contributo dell’astrofisica nel campo della mobilità e della sostenibilità terrestri. “I soldi spesi nello spazio non sono investimenti a fondo perduto, anzi: sono sempre più redditizi. Basta chiedersi da dove sono nate molte delle tecnologie oggi utilizzate nel quotidiano oppure quelle che compongono le auto a guida autonoma”.
Più sicurezza a terra con GPS e sensori lidar dallo spazio
L’auto ha smesso di essere solo una carrozzeria con all’interno un motore e accessori analogici quando ha cominciato a ospitare alcune innovazioni spaziali. Una delle prime (e principali) è stata il GPS, direttamente correlata alle soluzioni basate su trasmissione dati e triangolazione con cui la NASA monitorava i suoi astronauti nel progetto Apollo. “Ingegneri e astronomi hanno messo insieme spazio e tempo in questo strumento, ottenendo quel livello di accuratezza oggi fondamentale per i veicoli autonomi” spiega Caraveo. I primi hanno sollevato il problema della posizione della sorgente del segnale, i secondi hanno creato un sistema di riferimento universale a cui tutti i satelliti oggi si rifanno”.
L’internet globale su cui si baserà la mobilità del futuro “è una sorta di wi-fi generalizzato, e il wi-fi lo spin off di una tecnologia inventata dai radio astronomi” aggiunge Caraveo “Anche i sensori di prossimità si basano su tecnologie ottiche o radar sviluppate per utilizzi spaziali”. Due tipologie in particolare arrivano direttamente dai laboratori della NASA: il flash lidar e il doppler lidar.
Il primo è nato per avvicinare e campionare un asteroide. È uno speciale imager 3D, che offre una visualizzazione in reale time non distorta grazie a un impulso da 15mila invece che da 1 solo pixel. Lo si ritrova nelle auto, 8 volte più piccolo, ma molto efficace nell’identificare rapidamente altri guidatori, pedoni, ciclisti e altri pericoli.
Il lidar doppler permette ai veicoli spaziali di atterrare su una monetina e sicuramente è in grado di aiutarci a navigare nel traffico dell’ora di punta, anche sotto la pioggia battente o nella nebbia. La sua precisione nel rilevare movimenti e velocità è dovuta ad un laser con frequenza almeno tre ordini di grandezza più alta rispetto a quella dei radar.
“Dobbiamo quasi tutti i sensori delle nostre auto intelligenti alla ricerca nello spazio che o li ha creati, o li ha miniaturizzati perché diventassero leggeri, piccoli e performanti. Praticamente già pronti per l’automotive – spiega l’astrofisica – anche i microchip sono ‘micro’ grazie alla NASA, che ha mostrato per prima quanto potessero essere utili e ha dato la spinta economica necessaria per migliorarli. Solo in un secondo momento sono entrati con prepotenza nell’industria elettronica”
Per imparare a riciclare basta chiedere agli astronauti
Se i problemi di massa e dimensioni hanno spinto la tecnologia spaziale verso soluzioni oggi essenziali per la mobilità, quelli di risorse limitate stanno regalando idee per raggiungere i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU.
“Un avamposto umano nello spazio deve essere sostenibile al 100%, bisogna riciclare tutto” spiega Caraveo, citando come esempio i progressi fatti nel filtraggio dell’acqua. Per riutilizzare ogni piccola particella di acqua recuperabile durante i viaggi spaziali, la NASA usa filtri basati sulle nanotecnologie. Utilizzati in contesti dove non ci sono acquedotti, servono oggi per evitare che si beva acqua contaminata.
“Tutto ciò che è riciclo ha un esempio assoluto nelle tecnologie spaziali, ma non solo” aggiunge Caraveo. “Anche gli strumenti per misurare l’inquinamento da polveri sottili sono nati per lo studio di polvere di cometa”. Il know-how specifico acquisito per lo spazio su metodologie e tecniche innovative con livelli di accuratezza molto spinti, oggi permette controlli sulla qualità dell’aria terrestre estremamente precisi, affidabili e anche automatizzati.
Prossima missione spaziale: avvicinare ricerca e industria
All’interno di questi strumenti si ritrova nuovamente il laser, espressione di una “fisica quantistica allo stato puro, che ha dovuto attendere decenni il successo commerciale” spiega Caraveo per sottolineare tempi di trasferimento tecnologico “spesso lunghi e imprevedibili”. Un altro esempio sono le fotocamere incorporate in tutti i cellulari di nuova generazione, “pronipoti” di quelle usate per i telescopi. Tecnologicamente sono una derivazione diretta, ma non dal punto di vista del mercato: “è stato complesso e lungo commercializzarle, soggetti come la Kodak non gradivano questa innovazione”.
Ogni soluzione di origine spaziale ha una storia simile, ovvero ha una storia a sé che secondo Caraveo non è possibile né codificare né sistematizzare. “Gli uffici per il trasferimento tecnologico possono aiutare, ma non risolvono il problema: resta estremamente difficile far convergere due mondi così distanti” afferma la dirigente. “Lo scienziato che sviluppa tecnologie per lo spazio non ha la sensibilità di chi lavora nell’industria e cerca soluzioni ai propri problemi pratici”.
Da un lato, quindi, ci sono le grandi scoperte scientifiche, “soluzioni in cerca di un problema”, e dall’altro le domande dell’industria, che nella scienza non trova o non riconosce le risposte. Serve che le due strade si incrocino. Può avvenire per caso, come spesso si legge, oppure perché si inizia a comunicare per trovare aree di intersezione e di interesse comune.
Questa è la strada suggerita da Caraveo e che negli ultimi anni abbiamo timidamente imboccato, più consapevoli dal valore generabile. Il fondo di un miliardo dall’Europa per sostenere le nuove imprese impegnate nello spazio è infatti solo l’ultima conferma di un trend già avviato. Superano i 12 miliardi di euro gli investimenti privati nelle startup appartenenti a una Space Economy che nel 2021 ha raggiunto i 371 miliardi di dollari di ricavo a livello globale. Secondo l’Osservatorio dedicato del Politecnico di Milano, oltre il 73% è da attribuire all’industria satellitare, ricca di tecnologie che dallo spazio possono salvare la Terra. Tolto il rischio inquinamento spaziale e collisioni involontarie, infatti, proprio dai satelliti può arrivare un consistente contributo per raggiungere quasi tutti gli ESG (Environmental, Social and Governance), grazie all’osservazione della Terra (10 ESGs), alla navigazione (6 ESGs) e alla comunicazione (4 ESG).