È toccato a Luciano Floridi, professore ordinario di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford, dove dirige il Digital Ethics Lab, il ruolo di “guest star” dell’ultimo appuntamento dal titolo L’età ibrida, un percorso ideato dalla Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi, all’interno del più ampio progetto Punto Impresa Digitale che ha visto, dallo scorso settembre a oggi, esperti di marketing, giornalismo e comunicazione approfondire le potenzialità delle tecnologie digitali come leva di cambiamento e di nuova competizione per le PMI in rapporto alle grandi trasformazioni in atto, verso una “nuova normalità” di carattere sociale e di business. “Ma tu guarda se proprio deve toccare a un filosofo fare professione di realismo” ha detto scherzando alla fine del suo intervento, Floridi, sollecitando un po’ tutti a “scaricare a terra le buone idee, di cui ne abbiamo sacchi ma poi restano nei sacchi. E per farlo bisogna essere insieme, interconnessi in una società ibrida”.
Gli spunti di riflessione sono stati numerosi nell’intervento del filosofo, che ha ragionato sulle nuove modalità con cui le imprese, attraverso una corretta gestione delle informazioni e attuando ad esempio strategie marketing che diano priorità al valore della persona prima ancora che del consumatore, possono operare in questi tempi ibridi e complessi, da cui però si può generare cambiamento, innovazione e valore. Ricordo, su questo stesso tema, un bel libro di tanti anni fa, Blur– la velocità del cambiamento nella connected economy, che provava ad indicare proprio questa società “sfumata” in cui i tradizionali confini del business si stavano dissolvendo e non era più possibile aggrapparsi alle certezze del si o del no, del bianco o del nero, ma serviva ripensarsi per muoversi in un continuo orizzonte di sfumature dove flessibilità mentale, organizzativa e tecnologica erano le leve primarie su cui agire. Il libro è del 1998 e, fantastico, era possibile comprarlo anche in audiocassetta (2 audiocassette per 3 ore di ascolto a 17 dollari). Sentite questo passo: “Nel mondo Blur, prodotti e servizi si stanno fondendo; i consumatori vendono e i fornitori acquistano; le case sono uffici; non esiste una chiara demarcazione tra strutture e processi, possesso e utilizzo, conoscenza e apprendimento, reale e virtuale…Le immagini cristallizzate, ferme, sono false, la realtà è un continuo divenire”. 1998.
Dalle ibridazioni nascono idee e innovazione
È quindi ormai da tempo che questo concetto di trasformazione continua viene riproposto, nella sua evoluzione, da studiosi e ricercatori. Vediamone l’aggiornamento di Floridi, tenendo però in grande considerazione il monito del filosofo, quel fare collettivo e integrato che è l’unica via realizzativa del cambiamento. “Didattica on line, si o no; smartworking o in presenza? Bianco o nero? Questo è un modo novecentesco di pensare al digitale – ha detto il professore. – L’età attuale è fatta di ibridazione, di fusione tra approcci differenti che, interconnettendosi, generano valore. Se non accetti questo, non sei arrivato all’età dell’Onlife”, un felice neologismo inventato da Floridi per sintetizzare la continuità tra vita reale e digitale, e la necessità di vivere e fare business con un approccio ibrido. Il concetto viene rafforzato dalla metafora delle mangrovie, pianta bella, robusta e rigogliosa che nasce laddove acqua dolce e salata si mescolano e alimentano la crescita. “Bisogna stare nelle intersezioni, in un habitat di convivenze che sembrano contrapporsi e che invece sono linfa vitale”, citava una slide.
Clienti? Importanti non solo per le loro risorse
La riflessione su cui misurare, tra le tante opzioni, questa metafora dell’età ibrida è in una nuova visione del marketing cui Floridi ha accennato, cioè applicare nel concreto un approccio basato, da un lato, su un utilizzo massiccio del digitale ma al contempo rispettoso della specificità del consumatore e della sua dimensione umana (non di soggetto da sfruttare). Il ragionamento è lineare, ma ha alla base un fondamento etico e anche filosofico: utilizzare le nuove tecnologie e questa contiguità del digitale alle nostre vite seguendo un approccio onlife (valorizzando cioè sia la componente virtuale sia quella reale in un mix generativo di valore e di innovazione) che sia rispettoso della dimensione e del ruolo dell’individuo. Floridi è partito, in sintesi, dall’estrema accelerazione registrata nella produzione di informazioni che sta caratterizzando gli ultimi anni della nostra epoca rispetto a quelle precedenti (vedi figura). Più passano gli anni più la curva cresce. Tra il 2013 e il 2015 sono stati prodotti più dati che in tutta la storia dell’umanità, e ora quella quantità di dati si genera in un solo anno. Nel 2025 si presume una generazione di dati di 175 ZettaByte (ZB, dove 1 ZB = 1 099 511 627 776 Gigabyte) dovuta a un costante aumento della digitalizzazione e dell’interconnessione della società, delle persone e delle cose.
Il punto, tornando al ragionamento di Floridi, è quindi: questa mole di informazioni gigantesca e in aumento si deve usare. Rappresenta, ad esempio nel marketing, un elemento vitale per indirizzare le attività e la ricerca di opportunità di vendita. “Che cos’è il marketing secondo criteri tradizionali? – ha chiesto Floridi – Quando nella formula A+Q=I, (Answer+Question=Information), il marketing tradizionale presenta delle risposte (A) sperando si generi la domanda (Q), con un utilizzo limitato delle informazioni (I)”. Attraverso l’utilizzo massiccio delle informazioni è invece possibile arrivare alle risorse (tempo, soldi, condizionamenti culturali, orientamenti politici) dell’utente, vedendo quest’ultimo solo come interfaccia/barriera che si frappone tra l’impresa e lo sfruttamento delle risorse pregiate del potenziale cliente. Ciò di cui invece c’è bisogno è un approccio rispettoso dei valori, che traguardi la persona come fine ultimo e non come interfaccia da superare con pratiche più o meno lecite, facendo proprie almeno tre direttrici tra loro correlate: una economica (che ricerchi cioè obiettivi di business attraverso un cambiamento di practice e modelli differenti dai tradizionali fin qui usati), a cui si collega un approccio etico (definire una prospettiva, e una cultura, che non sia esclusivamente di business ma anche di interesse e di vantaggio per il cliente) a cui è collegata una dimensione legislativa (rispettando un disegno, che deve esserci, che definisce un contesto competitivo non di super liberismo ma prima di tutto di protezione della centralità dell’individuo, con diritti e privacy salvaguardati).
Cambiare modelli, approcci e cultura: ultima chance
Giunge alla fine, a degno completamento di questa “lectio” di Floridi, la sollecitazione proposta da alcuni ragazzi del college di Story Design alla Scuola Holden, fondata nel 1994 da un gruppo di cinque persone tra cui lo scrittore Alessandro Baricco. Guidati dal “maestro” Paolo Iabichino, direttore creativo, ex CCO di Ogilvy Italia e ai vertici di WPP, come EMEA Executive Creative Director per tutte le agenzie digitali del Gruppo impegnate sui brand FCA, hanno illustrato il loro Newtrain Manifesto. È un documento, presentato in realtà ormai un anno fa, che offre spunti e provocazioni per stimolare le imprese a fare mercato in maniera più sana. Raccoglie idealmente il testimone del ventennale Cluetrain Manifesto, un insieme di 95 tesi scritto nel 1999, indirizzato a un nuovo modo, per l’epoca, di essere impresa all’interno di un mercato interconnesso, dove Internet cominciava ad impattare con evidenza sia sui mercati sia sulle aziende, trasformando in modo radicale le pratiche commerciali fino ad allora utilizzate.
Il Newtrain Manifesto si ricollega a tanti elementi di etica e di ripensamento di modelli tradizionali, così come accennato anche da Floridi. Soprattutto traspare la preoccupazione, da parte di questi giovani, di aver assistito a tante dichiarazioni di buoni propositi etici e di tematiche valoriali a scapito poi di azioni che, proprio agevolate dal digitale, stanno brutalizzando il concetto di consumo e soprattutto di rispetto del consumatore.
Riflettere su questi punti è già un esercizio di sensibilità culturale perché, non dimentichiamolo, è un classico sottostimare le istanze delle nuove generazioni (etichettandole come utopie o estremizzazioni di giovanili passioni non ancora intaccate dalla vita e dall’esperienza), salvo considerarle appieno un target interessante dal punto di vista marketing, quando si riescono a clusterizzare in obiettivi di vendita.
Ecco quindi, in chiusura, solo pochi punti presi dai 30 proposti dai ragazzi, così, per farci riflettere un po’ mentre con la pazza voglia di un rinnovato consumo post-pandemia ci avviamo verso un punto di non ritorno che, se non ripensiamo alla radice i nostri modi di vivere e di consumare, segnerà il collasso, dicono autorevoli studi, dell’ecosistema globale.
1 – L’ecosostenibilità è un prerequisito per stare sul mercato. È una pretesa urgente e indispensabile, non potrà più essere un vanto pubblicitario o un’invenzione di marketing.
3 – Per anni ci avete studiato, analizzato, clusterizzato, ora tocca a noi: vogliamo conoscere ciò che siete, non quel che dite di essere. Vogliamo incontrare gli scopi del vostro agire, spogliatevi e lasciateci guardare.
4 – Se è vero che i dati sono il nuovo petrolio, non siate i nuovi petrolieri. Ce la fate a non inquinare anche il mondo digitale?
10 – Le intelligenze artificiali sono tra noi, non usate gli algoritmi per trasformarci nei vostri bancomat.
19 – Il traffico non è consenso: non siamo numeri, siamo individui. Le relazioni valgono più di milioni di view.
25 – Avete mai pensato alla bellezza come strumento di marketing? La bellezza è coerenza, consapevolezza, curiosità, stupore, coinvolgimento. Mettetela nei vostri Powerpoint.
30 – Scusateci, ora tocca a noi decidere le regole del gioco: la prima regola è che non si gioca più.
E ci tornano allora in mente le parole di Floridi all’inizio di questo articolo: “Dobbiamo provare con reale determinazione a scaricare a terra le buone idee, subito, insieme e interconnessi, in una società ibrida”.