La metafora del “canarino nella miniera” è piuttosto forte, ma è la più adatta a descrivere il ruolo di una persona con autismo in un ufficio. Ciò che le impedisce di lavorare al meglio, infatti, spesso disturba anche molti lavoratori neurotipici. Ciò che la rende produttiva, alzerebbe il livello di efficienza di qualsiasi dipendente. Sempre più aziende se ne rendono conto e accettano di mettere in discussione tecnologie, strumenti e consuetudini adottati da tempo per accoglierla. Selezionandoli con il filtro della neuro-inclusione si possono identificare quelli che impattano positivamente su ogni individuo.
Tecnologie e ambienti meno invasivi per dare il meglio
Per far fronte all’ipersensorialità dei soggetti autistici è essenziale minimizzare gli stimoli nell’ambiente che li ospita. Luci calde, colori pastello alle pareti, pochi oggetti sulle scrivanie, volume dei computer “off”. Gli open space sono sconsigliati, meglio una postazione lontana da ascensori e toilette per evitare il via vai. “Più che il numero di colleghi, contano la regolarità e la familiarizzazione: l’autistico ha bisogno di abituarsi e non gradisce cambiamenti continui. Può condividere lo spazio anche con tanti, basta che siano sempre lo stesso numero e sempre le stesse facce” spiega Giovanni Pioggia, ricercatore del CNR, responsabile della sede dell’IRIB di Messina.
Un elemento fondamentale da gestire è la tecnologia, ormai pervasiva. Se per molti la tempesta di notifiche quotidiana è fastidiosa, a una persona con autismo impedisce letteralmente di lavorare. Servono impostazioni “anti stress” quindi, ma anche accessori come le cuffie che attenuano i rumori in background. Per il resto le persone con autismo lieve non hanno un cattivo rapporto con le tecnologie, anzi, con l’informatica si interfacciano facilmente. È controllabile, infatti, molto più di qualsiasi essere umano. Alberto Balestrazzi, CEO di Auticon Italia, azienda che propone consulenti informatici autistici, racconta infatti come “eccellano in lavori schematici e ciclici. Utilizzando software con schemi a blocchi, con iter chiari e ripetitivi, danno risultati mediamente migliori dei neurotipici. Servizi di testing e reporting, data analysis, migrazione di piattaforme e gestione di RPA sono infatti le mansioni più adatte. Ciò che per noi è noioso, per loro è perfetto per dare il meglio”.
Organizzazione e comunicazione: le vere sfide dell’inclusione
Se per ambienti e tecnologie, potrebbe bastare un “vademecum dell’integrazione”, ciò non vale dal punto di vista organizzativo e operativo. È qui infatti che si gioca la vera sfida: trovare il punto di incontro “tra mondo divergente e mondo neurotipico”.
Alice Nova, psicologa e job coach, in Auticon svolge il delicato e indispensabile compito di spiegare ai team coinvolti nell’inserimento quali siano punti di forza e fragilità degli autistici e come diventare inclusivi “mettendosi in riga”. Questi i fattori chiave su cui si focalizza:
- Affidabilità: rispettare gli accordi e avvisare tempestivamente quando variano.
- Appuntamenti: da fissare con anticipo e precisando gli argomenti da trattare.
- Cambiamenti: segnalare ogni modifica di ambiente, programma, persone.
- Pause: frequenti e regolari per evitare sovraccarichi di cui non sempre si è consapevoli.
- Video call: ricorsive, non troppo affollate e con un ordine del giorno preciso e coerente.
Impegnativi anche i cambiamenti richiesti sul fronte della comunicazione, tema delicato per gli autistici e frequente motivo di carenza di engagement per i neurotipici. Il linguaggio deve essere diretto sia nel dare feedback che nel trasmettere incarichi e scadenze, da evitare giri di parole e sottintesi. Priorità e procedure vanno indicate da subito, segnalando ogni eventuale cambiamento con rapidità e precisione.
Guardando alla media delle aziende italiane, dal punto di vista tecnologico basta qualche aggiustamento, ma da quello organizzativo-relazionale serve una vera e propria rivoluzione. Ne vale la pena? “Sì, sia per le capacità dimostrate dalla workforce neurodiversa, sia per il suo impatto su ambiente e qualità di lavoro. Tutte le aziende con cui abbiamo collaborato hanno riscontrato un alto impatto positivo sul proprio modo di operare quotidiano e sul livello di efficienza generale. Il team coinvolto è diventato più preciso e attento, meno stressato e capace di collaborare in modo più dinamico e proficuo. Condividere il lavoro con una persona autistica richiede di mettersi in gioco, ma migliora la qualità di vita” spiega Balestrazzi.
Realtà virtuale, QR code e robot mediatori per avvicinarsi al mondo del lavoro
“Parlare di un’integrazione lavorativa possibile, impegnativa ma appagante, è corretto ma non deve indurci a pensare che per tutti gli autistici sia così”. Pioggia lo sottolinea bene, spiegando che “non a caso si parla di spettro di autismo: è un disturbo che può essere ad alto funzionamento (meno impattante) o a basso (più impattante)”. Gli unici inseribili in un ufficio sono i primi che, grazie a IRIB, possono usufruire anche di un percorso di familiarizzazione basato sulla realtà virtuale. Attraverso un visore 3D si simulano le situazioni da affrontare in futuro e, con un supporto psicologico, si insegna a gestire in anticipo eventuali reazioni incontrollate.
La maggior parte dei soggetti con autismo è a un livello medio-alto, però, più adatto a esperienze di pre-lavoro. Anche in questo caso la tecnologia è un’ottima alleata, ma assume diverse forme. IRIB le sperimenta da anni applicandole in progetti concreti realizzati in collaborazione con fattorie sociali e realtà turistiche, agro alimentari o del manifatturiero.
In un ambiente lavorativo come un laboratorio o una cucina, si possono ad esempio distribuire dei piccoli supporti per QR Code contenenti istruzioni operative puntuali e chiare. “Leggendoli” con un’app, si viene guidati passo dopo passo nelle varie mansioni come da un personal assistant. Questo DDS spazialmente distribuito “non solo minimizza gli errori ma favorisce l’acquisizione di abilità utili all’inserimento lavorativo” assicura Pioggia.
Se app, QR Code e smartphone sono tecnologie accettate nel trattamento della neurodiversity, meno lo sono i robot. Almeno per ora, racconta Pioggia che però ne ha già uno in laboratorio pronto da utilizzare. Si tratta del QTrobot, un Humanoid Social Robot facilmente programmabile, con telecamera 3D in grado di riconoscere i volti e buone capacità sociali. “E’ un mediatore: le persone sono troppo difficili da interpretare per un autistico, il robot semplifica il loro messaggio e glielo trasmette. Così si evitano stress e incomprensioni, aumentando fortemente il focus sui task e la produttività” racconta Pioggia.
Oltre alla tecnologia che interagisce, c’è anche quella che ascolta silenziosamente e registra. Ed è altrettanto utile in questo contesto, anzi essenziale, per recepire il disagio che le persone autistiche non riescono a comunicare. Attraverso sensori indossabili si acquisiscono informazioni su battito cardiaco, risposta endotermica e movimento con cui sviluppare modelli di studio dello stress. “Ci interessa capire che livelli raggiunge in fase di interlocuzione e di lavoro, per innescare in automatico meccanismi che li abbassino. Queste tecnologie sono una macchina della verità per noi, permettono di essere più empatici con chi non sempre è in grado di comunicare ciò che prova. I device adeguati sono per ora molto costosi, però. Speriamo che diventino più accessibili, sarebbe una vera svolta per chi vive o lavora con persone neuro diverse”.